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140 Polaroids da sogno, Sibylle Bergemann al C/O Berlin

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La galleria C/O di Berlino ospita fino al 4 Settembre una raccolta di 140 polaroid di una delle fotografe tedesche più importanti degli ultimi 40 anni. Sibylle Bergemann nasce a Berlino nel 1941, si avvicina alla fotografia nel ’66 come allieva di Arno Fischer e inizia la sua carriera come free lance. I generi che l’hanno resa nota sono la fotografia di moda, sia in bianco e nero che a colori, ed i ritratti. Lavora per la rivista di moda della Germania Est Sibylle e successivamente si dedica a documentari per periodici di grande tiratura come Stern, Spiegel e Geo. Nel 1994 diventa membro dell’Accademia delle arti di Berlino e per tutta la sua vita affianca il lavoro per pubblicazioni all’uso della fotografia come ricerca personale fino alla sua morte, avvenuta nel novembre del 2010.

Non sapevo fino a che punto avrei potuto farmi un’idea dello stile della Bergemann da una raccolta di polaroid, mezzo molto immediato ma dalle dimensioni ridotte per definizione. In questo caso confermo il detto che non sono i mezzi a fare l’artista. O meglio come sostiene una mia amica, se un ragazzo è bello con una maglia bianca stropicciata è bello sempre.
 Forse ho sbagliato metafora, ma immaginate questa sequenza di foto come tante piccole t-shirt bianche, geometriche, che vestono e contengono un mini universo, una mini storia che arriva da un tempo lontano, non si sa di quanti kilometri o giorni, o meglio non è importante. Una piccola storia dai contorni sfocati che sa di sogni, fatta di zucchero filato e bambine con le labbra sporche di rossetto. Lo sguardo dietro la macchina è senz’altro femminile, intimo, sa bene cosa siano i dettagli sullo sfondo, soprattutto quelli un po’ stonati. Si prende cura della casualità senza svilirla ne edulcorarla.

I colori sono eterei e sfumati, turchesi, rosa, gialli entrano l’uno nell’ altro ma non mischiandosi mai realmente, usati meravigliosamente per creare “uno spazio sospeso con un forte impatto su chi osserva” come diceva lei raccontando i suoi scatti. La parola è nostalgia, una nostalgia leggera, mista all’aria come l’odore di un dolce appena uscito dal forno, forse una torta di mele, con un po’ di cannella. Una nostalgia di ricordi lontani ma mai tanto forte da farti distogliere lo sguardo, più che una sensazione un palcoscenico su cui inscenare la realtà, piccole e varie realtà. Nei soggetti della Bergemann non c’è sfacciataggine né esibizionismo, c’è una sicurezza dimessa, il trovarsi fermati in un’immagine con tutta la sincerità ed immediatezza del reale, si tratti di un vaso di rose secche, come di vecchi soprammobili kitsch sul tavolo di un interno domestico.
Le bambine vestite da fate e truccate come per la recita di fine anno non sono in posa ma non sono neanche finite lì dentro per caso, sono lì, semplicemente.

Ecco, i soggetti della Bergemann ci sono, non troppo né troppo poco, sono presenti, nella quantità adatta per lasciarsi guardare, non per essere spiati né per accogliere lo sguardo come l’invito ad un duello con chi le osserva. Sono lì davanti ai tuoi occhi con la loro fragilità, graziosa e non artefatta, un po’ trasandata e malinconica. Hanno un’eleganza inedita, come i caffè francesi di Kreuzberg, arredati con mobili pescati in chissà quale mercatino. Come alcune ragazze berlinesi con i capelli biondi legati che incontro in metro tornando a casa e mi chiedo come facciano ad essere così belle con un vestito a fiori un po’ scolorito e senza un filo di trucco. Dopotutto “niente e nessuno è interessante se non ha almeno un dettaglio fuori posto”.

la Germanz

scritto da

Questo è il suo articolo n°102

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