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A Bologna nasce l’atelier di Teatrino Clandestino, intervista a Pietro Babina

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foto di Claudia Marini

Teatrino Clandestino è una compagnia teatrale nata a Bologna per opera di Pietro Babina, Fiorenza Menni e Manuel Marcuccio. I tre si conobbero all’inizio degli anni `90 quando, ancora giovani studenti dell’ Accademia di recitazione, si resero conto della comune passione per il teatro d’avanguardia e unirono i propri intenti fondando una compagnia teatrale che aveva la ricerca formale come principio estetico. L’accademia diventò il luogo di lavoro, il loro primo atelier-laboratorio, ma durò un attimo perché da quel momento in poi “Teatrino Clandestino” ha girovagato nomade per la città traslocando di volta in volta senza mai trovare un luogo stabile per poter lavorare in pace. Adesso, finalmente, una casa ce l’hanno e noi siamo andati a trovarli, essendo persone di buone maniere, per fare gli auguri e soprattutto per cogliere l’occasione di intervistare Pietro Babina. Oggi avete l’onore di conoscere, cari lettori di Ziguline, uno dei personaggi più importanti del panorama teatrale europeo.

Teatrino Clandestino rappresenta infatti uno dei gruppi teatrali italiani più innovativi e sperimentali della nuova scena contemporanea. Le loro produzioni hanno ormai un riconoscimento internazionale sancito nel `96 con il premio Eti-vetrine e il Premio Bartolucci, nel ’98 con il Premio Iceberg e, nel 2000 con il Premio Speciale Ubu per il progetto “Prototipo”. Il loro spettacolo, Madre e Assassina, ha raccolto un notevole successo di critica e di pubblico, vincendo il premio Ubu nel 2004.

Fino ad oggi hanno prodotto Il tempo morto (1989), A porte chiuse e M (Majakovskij) (1992), Sogno in tre quadri con cornice (1993), R.A.P. (Resuscitato Amleto Parla) (1994), Cantico dei Cantici. Exposition vivante, Senza titolo, e Il ginepro (coproduzioni con Fanny & Alexander (1994/95), Mondo (Mondo) (1995), 150.000.000Sinfonia Majakoskijana e L’idealista Magico (1996). Del `99 sono Tempesta (Melologo) e Si prega di non discutere di Casa di Bambola, del 2000 Otello e Hedda Gabler, del 2002 Iliade, del 2003 Prima l’immagine poi il titolo e La Bestemmiatrice. Un curriculum non indifferente che gli ha permesso di vincere il bando comunale per la gestione dell’atelier-laboratorio di via S.Vitale, 67.

Lo spazio, ribattezzato “Si”, è stato inaugurato con una grande festa la settimana scorsa e, come sentirete dalle parole dello stesso Babina, sarà inteso come un luogo d’arte aperto a tutti. Dopo la doverosa presentazione ecco cosa ci dice Pietro:

foto di Claudia Marini

Sig. Babina ci vuol raccontare come nasce il nome “Teatrino Clandestino”? Dalla condizione di clandestinità abitativa in cui siete stati costretti in questi anni?

In effetti…risale a quando abbiamo fondato la compagnia. Come tutte le compagnie appena nate (ma in realtà anche quelle che sono insieme da un pezzo) avevamo la necessità di un luogo fisico dove mettere in pratica l’attività teatrale e le nuove idee che avevamo. Quindi un’estate ci siamo trovati a partecipare alla prima occupazione di una fabbrica abbandonata, qui a Bologna, da cui è nato il centro sociale “Fioravanti”. L’occupazione ebbe vita molto breve, ma avevamo avuto il tempo di mettere su il nostro primo teatro in un piccolo spazio di questa vecchia fabbrica di scatolame. Dopo circa una settimana che avevamo terminato i lavori andammo al “Fioravanti” e trovammo un cordone di polizia e delle ruspe che buttavano giù tutto. Il nostro neonato teatro era stato brutalmente abbattuto e, in suo ricordo, abbiamo deciso di dare alla compagnia il suo nome: “Teatrino Clandestino”. Ovviamente eravamo ignari della precarietà che ci aspettava negli anni successivi.

La precarietà ora dovrebbe essere finita. Avete finalmente uno spazio da utilizzare come volete?

In effetti è quello che ci auguriamo..abbiamo vinto un bando comunale per l’assegnazione di questo spazio che utilizzeremo come atelier-laboratorio. Siamo entusiasti. I tanti progetti artistici che abbiamo in mente sembrano aver assunto più concretezza ora che abbiamo i mezzi. L’idea è di creare un luogo, un laboratorio aperto a tutti dove ci si confronta, si ricerca, si crea. Sabato prossimo ad esempio (Sabato 7 febbraio ore 18.30; n.d.i) ci sarà qui un incontro organizzato da Flavio De Marco (noto pittore bolognese; n.d.i) in cui diversi artisti saranno invitati a raccontare la propria formazione estetica attraverso gli oggetti-simbolo che l’hanno contraddistinta. Naturalmente invito ad assistere a questi nostri dibattiti-rappresentazioni. Il teatro è aperto, é una casa comune, un’officina di idee e progetti che poche altre città hanno.

Insomma vi aprite alla città? E Bologna sembra aver accettato con entusiasmo il vostro invito. Alla festa inaugurale di sabato scorso non sono riuscito nemmeno ad entrare, com’ è andata?

Si…eravamo “murati” e a un certo punto abbiamo dovuto limitare l’accesso per la troppa folla. C’è stato un monologo inaugurale di Fiorenza Manni in cui si annunciavano i futuri progetti teatrali e le attività che avranno luogo in questo spazio. Poi ho messo su un’installazione con lampade Wood e fluo montate su pezzi di scenografia in movimento su una base musicale live in Slow-vision. Mi spiego meglio: si tratta di pezzi di scenografia che si muovono lentamente con un ritmo contrapposto a quello della musica. L’idea é di contrapporre la sensazione visiva a quella uditiva per evocare uno stato percettivo particolare nello spettatore. È stata una bella serata. Speriamo di replicare presto.

foto di Claudia Marini

Lo studio della percezione fa parte della vostra vocazione formalista?

Noi siamo un gruppo dedito alla ricerca teatrale, sperimentiamo diversi metodi di comunicazione e utilizziamo, sulla scena, anche novità tecnologiche e multimediali. Indaghiamo il linguaggio del teatro per comprendere le necessità, trovare nuove possibilità di sviluppo, di cambiamento del teatro contemporaneo. Non è un discorso generalista-filosofico sulla forma e il contenuto ma piuttosto una nostra caratteristica quella di ricercare, per ogni contenuto, una forma che di tempo in tempo, di tipo in tipo, ha necessità diverse. Questa è la nostra estetica e lo dimostra il fatto che tutte le nostre opere sono diverse tra di loro nella forma Tuttavia in tutte c’è un immane lavoro di ricerca della forma più adatta a rappresentare il contenuto.

Riguardo al discorso sulla percezione penso che l’arte in genere, ma il teatro in particolare, è catarsi. L’artista è depositario di una sensibilità non accessibile agli altri e il suo compito, attraverso le sue opere, è restituire questa sensibilità, aprire le menti, svelare. Solo Orfeo può tornare dagli inferi e raccontare cosa ha visto, così come solo l’artista vero ha accesso ad alcuni luoghi della mente e quindi ha il compito morale di descriverli. Noi ricerchiamo semplicemente la forma più efficace e innovativa possibile e, per fare questo, abbiamo intenzione di tenere il “” aperto tutto l’anno in modo da ospitare, oltre che compagnie teatrali, chiunque sia in grado di ampliare, senza limiti di genere e linguaggio, la nostra attività di ricerca. Uno spazio aperto all’arte che si confronta e sperimenta.

In che modo la città può partecipare alle vostre attività? Avete un programma?

Un programma dettagliato con date ed eventi non c’è e non so se ci sarà. Altrimenti che “clandestini” saremmo? Basta visitare periodicamente il nostro sito teatrinoclandestino.org per scoprire di volta in volta cosa stiamo facendo e quali sono i nostri progetti a breve termine. Poi passate in via S.Vitale, 67…la porta è quasi sempre aperta..

Giuseppe Carchia

scritto da

Questo è il suo articolo n°4

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