A braccetto con il coniugato Gold Panda
C’era una volta una ragazza, più vicina ai trenta che ai venti, che voleva chiedere la mano a un dj inglese chiamato Gold Panda. E quando lesse del suo live all’Astoria pensò che qualche divinità avesse voluto aiutarla. Fu così che il 28 marzo si presentò nel suddetto locale per portare a termine la sua missione per conto di Ziguline.
Ora, chi ha letto i miei vecchi articoli sa bene del mio debole per John Talabot e per Throwing Snow, a cui tra l’altro sono andata molto vicina alla proposta, ma non ho potuto concludere perché fidanzato (anche se sono convinta che mi avrebbe risposto sì). Quindi non stupitevi se anche stavolta l’obbiettivo della serata è quello di portarmi a casa un marito dal buffo cappellino, che stavolta non indossa, purtroppo, ma lo rimpiazza con un bel pupazzo panda nei visual, oltre a un cane e un gatto. Ovviamente sono un colpo basso nei miei confronti: più guardo queste immagini e più mi dico: “al diavolo Talabot, io mi sposo lui”.
Non tengo in conto però il branco di ragazzine che mi circondano urlando “oh mio dio!! è luiii, quanto è bello! Guarda, ha un Macbook!”. “Guarda, ha un Macbook” penso, non lo dcevano nemmeno quando la Apple era l’alternativa nerd al personal computer. E comunque io sono più vecchia e quindi di diritto più legittimata ad accaparrarmelo, date precedenza a chi ha meno tempo per accasarsi, grazie.
Il live è tutto un crescendo, parte lento scaldando il cuore ma la pista è già calda, vuole ballare. Forse addirittura troppo scatenata. Possibile che alle 23: 22 ci sia già gente che collassa a terra? Sì. Questo è il bene e il male dell’essere ventenni e di andare a un concerto perchè poi c’è la serata. L’ho fatto anche io, ma almeno aspettavo la fine per sbronzarmi di brutto e non sprecare 15 euri delle mie tasche.
Qualcuno urla addirittura: “Metti della dubstep”. E tre ragazzine cercano di spintonarmi, per arrivare probabilmente sopra la consolle, ma purtroppo si sono fatte troppi pochi concerti nella vita per permettersi di togliermi il privilegio di un metro cubo di aria.
Il produttore sente la risposta esaltata del suo pubblico e ci delizia con i suoi pezzi migliori, partendo da quelli nuovi come Trust, fino a Marriage trova sempre le giuste ondate di bassi accompagnate da piccoli svarioni onirici. You sul finale scatena il delirio, dopo di che si scende di battiti ma non si finisce mai. Dopo due ore il Basement, sempre più sauna e sempre meno dancefloor, sta ancora ballando.
Lo ammetto: il live di Gold Panda è tra i pochi che riesco ad apprezzare a pieno ogni volta. Godi non solo di ogni sfumatura sonora ma soprattutto del fatto che lui, come solo pochi fanno, non si limiti a schiacciare il magico pulsante play. Questo fa di ogni live un piccolo gioiellino unico. Il suo spirito di adattamento alle esigenze della pista mi fa pensare che il suo soprannome sia poco adatto, visto che di solito “il panda non si adatta, il panda muore”.
Saliti al piano superiore, mi sto gustando una meritata sigaretta post coitale quando le mie amiche mi trascinano all’interno molto più decise di me nel farmi fare la figura del secolo. Mi avvicino mentre lui è intento a farsi fotografare con le fregnette di cui sopra scritto. Ho già i complessi di inferiorità, ma punto tutto sulla simpatia.
“Scusa, scrivo per un giornale. Non ti voglio intervistare, non sono qui per rovinarti la serata con il lavoro ma devo farti solo una domanda. Mi vorresti sposare?” la faccia con cui risponde alla mia domanda è impagabile, “Mi dispiace, sono già sposato.” Ma allora anni e anni di telefilm che ti insegnano a controllare minuziosamente ogni indizio di matrimonio non sono serviti a nulla. Ho controllato per bene, ma nessuna fede al dito! Mestamente, getto a terra il mio bouquet immaginario. Una amica mi confessa a posteriori che stava facendo il tifo per me, si vocifera ci fossero già i colombi pronti per essere liberati e le scritte con il riso sull’uscio dell’Astoria.
Va bene, non vivremo felici e contenti insieme ma almeno regalami il cappellino con il panda. Non può darmi nemmeno quello, perchè ha un valore affettivo e significherebbe che ci tiene a me. Insomma, il mio futuro marito proprio non ne vuole sapere di me, ma in compenso ho vinto le mie ansie e paure di approcciarmi a un artista di fama internazionale e d’ora avanti nessuno mi fermerà mai più.
Miei cari lettori di ziguline, se ho avuto la faccia di fare una domanda simile, preparatevi al peggio per le successive interviste. E, John Talabot, fossi in te inizierei a prepararmi per la cerimonia. Manca poco al Primavera Sound, d’altronde.
Per chi lo volesse, eccovi una breve lista di risposte alle possibili (e plausibili). Faq:
– no, non ero ubriaca
– no, non mi hanno drogata
– sì, l’ho fatto per pura sfida con me stessa
– sì, mi sono sentita davvero idiota
– sì, d’ora in poi lo chiederò a tutti
Foto di Al Zeninho.