A proposito del “Potere delle minoranze sociali”
Qualche settimana fa è uscito nelle librerie un interessante libro intitolato “Il potere delle minoranze” curato dal sociologo Massimo Ilardi al quale ha contribuito, tra gli altri, anche il nostro amico Warbear, autore del capitolo dedicato alle “Micropolitiche della libertà”. Abbiamo fatto qualche domanda all’autore Massimo Ilardi ed a Warbear su questo loro ultimo progetto editoriale che, nonostante la complessità degli argomenti trattati e l’uso di un linguaggio molto rigoroso e non immediatamente accessibile a tutti, rappresenta un interessante chiave di lettura su fenomeni che ormai riguardano la nostra quotidianità di cittadini metropolitani. Le rivolte nelle banlieu parigine, i sempre più frequenti scontri che interessano gli immigrati in Italia, i movimenti di protesta No Tav e No Dal Molin, come l’emergere di movimenti contro-culturali come Consumo Critico, Critical Mass ed il diffondersi della cosiddetta scena Queer, sono solo alcuni degli esempi più lampanti di cosa si intenda per minoranza sociale e di come queste realtà siano espressione del continuo mutamento della società contemporanea. Buona lettura.
Volendo ricorrere ad un linguaggio di facile comprensione, potreste darci una definizione di “minoranza sociale”? Nella presentazione del testo si afferma che il fenomeno delle minoranze sociali prende le mosse dalla “crisi dell’universo sociale”. Potresti chiarire meglio questo concetto?
Massimo Ilardi
L’avvento del primato del privato, la natura non collettiva dell’agire consumistico, il desiderio come esperienza individuale e come spinta all’azione che precede la formazione della stessa identità, lo spazio diffuso e continuo della metropoli contemporanea dove sono proprio le opportunità di libertà concesse dalla sua estensione e non il bisogno di stringere relazioni che inducono gli individui ad attraversarlo: sono queste alcune delle motivazioni che definiscono la crisi del sociale e delle sue tradizionali categorie, dalla classe ai movimenti fino alla scuola e alla famiglia. Questa crisi fa esplodere il fenomeno dell’essere minoranza (politica, culturale, religiosa, etnica, etc.) che non ha più nulla di minoritario o di subordinato e non è più sulla difensiva ma ha l’ambizione di possedere il mondo, di esercitare egemonia attraverso un punto di vista di parte che produce immaginario, culture e mentalità. Sono il consumo e le sue culture individualiste, impolitiche, distruttive che definiscono oggi i nuovi attori e i nuovi conflitti. A questo punto si può definire una minoranza sociale come l’aggregazione più semplice e più immediata dove si coagula la dimensione collettiva di una società del consumo.
Warbear
«Io sto in guerra contro quasi tutti. ma non ho paura di essere minoranza. mi sento estraneo alle menzogne della maggioranza. la libertà è tutto». Ho iniziato il mio saggio all’interno del libro con la citazione di un passaggio con una lirica di «mappe di libertà» – singolo dell’ultimo disco di Assalti Frontali – per sottolineare l’idea che il concetto storico di «minoranza» espresso dagli interventi del testo, non ha a che fare con un’ identità dialettica rispetto al concetto politico sociale di «maggioranza». Al contrario essa propone, più che uno strappo, un senso di estraneità, una distanza talmente lontana dal cadavere della politica e della società italiana da produrre conflitto “per-sé”, attraverso la configurazione di una cosmogonia di micro-politiche territoriali. In un quadro quale quello italiano, il soggetto contemporaneo è spinto in spazi privati – tramite garanzie economiche o schiavitù produttive – oppure semplicemente “è” in guerra permanente. Non ha altra scelta. La sfida del testo risiede nel tracciare questo tipo di concettualizzazione, posizionandola nei primi dieci anni del duemila.
Il libro affronta il tema del “potere delle minoranze sociali”, in cosa consiste questo potere e quali sono gli esempi più eclatanti del suo effettivo esercizio?
Massimo Ilardi
Il loro potere sta proprio nell’appropriazione di spazi. La metropoli si trasforma in un territorio frantumato da diverse frontiere, enclave, isole. Sono le culture di strada e il conflitto a dettare i modi di aggregazione e di appartenenza che si rendono chiari solo quando “sappiamo contro chi siamo”. E “contro chi siamo” vuol dire soprattutto contro chi restringe la libertà di movimento in nome del disciplinamento sociale. Per questo una minoranza non può mai essere presupposta e autonoma dalle forme di lotta, ma solo la conseguenza di un comportamento determinato dalle possibilità reali del conflitto.
Warbear
Il concetto di minoranza affonda le radici nella storia delle controculture ma il libro, e nello specifico ciò di cui io parlo nel libro, pone l’accento su quali sono le nuove pratiche di conflitto alla fine di un ciclo controculturale geo politicamente e socio culturalmente situato. Negli ultimi vent’anni la trasformazione sociale reale è stata prodotta da forme di conflitto come il movimento dello squatting, i rave illegali, il mediattivismo ed altre forme che hanno visto un tramonto allo scader del pensiero postmoderno. Il cambiamento radicale degli ordini mondiali dall’11.9, i nuovi liberismi e colonialismi orientali, l’istallazione di un mercato «sociale» dell’informazione in rete, i nuovi flussi migratori hanno tracciato una linea di confine tra ciò che è stato e ciò che è conflitto oggi.
Ci fate qualche esempio concreto? Quali sono in Italia ed in Europa gli esempi più noti di “minoranze sociali”? Ci sono degli eventi recenti di cronaca che secondo voi sono da ricollegarsi alle dinamiche sociali che vengono affrontare nel libro?
Massimo Ilardi
Tutti apparteniamo oggi a una minoranza. Ma è appunto solo il conflitto che la nomina e la definisce. In Italia si possono fare alcuni esempi eclatanti che hanno reso più evidente il fenomeno: la rivolta dei quartieri periferici di Napoli sulla questione dei rifiuti urbani; l’aggregazione sul NO TAV e sul NO DAL MOLIN; gli assalti degli ultras dopo l’uccisione di Gabriele Sandri; gli scontri quasi quotidiani nei quartieri multietnici. In Europa basta ricordare le sommosse della banlieue parigina.
Warbear
Per tracciare empiricamente il concetto di minoranza, io parto da una piccola storia vittoriosa che ha a che fare con il lato oscuro della gentrificazione di Roma est e che ricorda in fieri un film storico intitolato “La strategia della lumaca”. Il racconto del “comitato di lotta contro l’antenna” ha più o meno le stesse coordinate delle strategie di resistenza della casa occupata di Bogotà nel film di Sergio Cabrera ma rilette su un piano micro conflittuale locale. La storia parla di un boicottaggio all’istallazione forzata di un ripetitore di videofonini Tim nelle ombre del famoso quartiere del Pigneto. Da tale esempio fuoriescono tre variabili socioantropologiche che intervengono a definire un modello di minoranza: la composizione del gruppo, il legame mentale come attrattore identitario, gli spazi ed i tempi del conflitto. Da tale intreccio si produce un percorso con ponti linguistici che collegano il concetto di “reclaim” a quello di “critical” ed il concetto di “contro” a quello di “NO”. Su tali passaggi semantici ho attraversato possibili poli di minoranze come “Critical Mass”, “Consumo Critico”, “No Vat” e “Movimento queer”. Sulla linea di fondo di questo concetto si connettono gli altri saggi. Un ottimo intervento sul rapporto tra tifo violento e camorra a Napoli è sviluppato dallo scrittore Angelo Petrella (autore de “La città perfetta”, Garzanti) che per la prima volta propone uno lavoro a cavallo tra sociologia e letteratura. Sulla scia dell’esplosione del “Partito Pirata” e del revival mediatico del dibattito inerente alla liberta’ dell’informazione nelle sue forme di privatizzazione “sociale” (Social Networks), Il teorico di New Media Antonio Tursi prende in mano la riflessione sull’hacking come pratica di minoranza sociale. Giuseppe Scandurra, docente di antropologia, invece affronta da un punto di vista etnografico il conflitto micrologico per la presa del territorio della famosa piazza verdi di Bologna, in un quadro repressivo di sinistra quale quello Cofferatiano. Dulcis infundo, i docenti di letteratura Fabio Tarzia ed Emiliano Ilardi, ricordando lo shockante documentario intitolato “Jesus Camp”, affrontano il tema delle nuove minoranze religiose facendo un quadro dei nuovi movimenti evangelici negli Stati Uniti.
Perché a vostro parere è necessaria un’analisi di questo genere di fenomeno? Perché quindi un libro sull’argomento? A chi si rivolge principalmente e chi può trarne un concreto vantaggio od utilità dalla sua lettura?
Massimo Ilardi
Perché sarebbe ora di finirla con queste ideologie del comune, dell’interesse generale, della solidarietà, del fare società che nulla spiegano se non l’impotenza di una sinistra che vuole mettere al centro della vita degli individui invece che la libertà un’etica del lavoro che esiste ormai solo nei suoi sogni. E’ dunque a sinistra che cerca di rivolgersi, perché riteniamo che è comunque dalla situazione che descriviamo che bisogna far ripartire l’analisi.
Warbear
Perché è necessaria una visione che, al tramonto di certi linguaggi del conflitto che hanno performato desiderio e libertà con scelte dure e gioiose caratterizzando la bellezza degli ultimi venti anni, cerchi di intravedere e stimolare nuove albe. Il libro si rivolge a tutti e tutte coloro che riflettono sul tema della libertà. Come ho scritto nella mia conclusione: “le micro politiche, da rumori di fondo, devono farsi rombi di motori; non solo per emergere ma per frastagliare e significare nuove superfici, in innovate pratiche attiviste poiché il processo involutivo della politica europea testimonia un’asfissia dove la sinistra è l’ombra di se stessa, le destre sono realtà sedimentate nella maggior parte dei governi facendo i giochi dei poteri economici, e le destre territoriali sono violentemente presenti e armate sia sul piano organizzativo che nel sentire qualunquista individuale. In ciò, le condizioni storiche tenderanno all’eliminazione totale di ogni differenza che non sia stimabile in una commercializzazione di nicchia nel mercato multinazionale, tramite l’esilio coatto in espatrio o sistemi carcerari o l’eliminazione fisica.”
Per chi volesse saperne di più: mimesisedizioni.it