Abbiamo incontrato Irene Rinaldi
Come anticipava Eva nell’articolo di ieri, stasera al Ziguline Live Show, oltre alla musica di Ziguline Beans Collective, ci saranno due ospiti: Marcoabout e Irene Rinaldi. Entrambi presenteranno i loro lavori ed interverranno dal vivo a La Calzoleria.
Nell’estrazione nascosta a me è capitata Irene. Buona lettura!
Allora Irene, qualcosa a proposito di te: da dove vieni, dove sei e dove vuoi andare?
Beh sono nata a Roma ma ho vissuto a Perugia per i primi 11 anni di vita. In effetti mi sono sempre sentita romana. Dove sto andando? sto organizzando un periodo a NY, penso che mi ci farò un periodo. Mi piacerebbe girare il più possibile, ecco. Un fine specifico, in questo momento, è una cosa molto complessa. Non ho idee molto chiare, bisogna arrabbattarsi continuamente. Vabbé..famo che vado a NY.
I tuoi lavori sembrano un mix di cultura low-fi e delicatezza artigianale, cultura pop e autorialità. E’ un effetto ricercato?
E’ una contraddizione che fa parte di me, ma è anche frutto del mio lavoro. All’inizio avevo uno stile molto più crudo. Sono molto legata all’artigianalità, mi riporta a dei ritmi e un modo di ragionare che mi appartiene. D’altronde i miei riferimenti sono molto underground e davvero poco Pop.. non so, lavoro con l’incisione che è una tecnica poco diffusa, e mi permette di tenere una parta concettuale e progettuale e una parte di stomaco, di pancia. L’effetto nasce da questo, da un ibrido fatto di concetto e dal tirare fuori tutto quello che hai.
Ho visto un sacco di riferimenti alle favole, che ho sempre trovato un miscuglio strano ed enigmatico. Ce ne parli?
La difficoltà delle fiabe è che tu ti ricordi delle loro illustrazioni, viste da bambino. Per reinterpretarle devi liberartene. Illustrare le fiabe a modo tuo. Di solito la butto un po’ sul surreale.. Poi mi diverte l’idea di riuscire a raccontare in poche battute una storia, in 100 cm di foglio piegato in 8 parti. E poi mi piace lavorare pensando a dei bambini, ma bambini normali, non quelle caricature tutte gattini e coccole. Bambini che siano tali.
I tuoi riferimenti. Ho trovato una citazione alla Troma, per dire.
Il mondo Underground, che poi se dici Underground la gente pensa a Daniel Johnston, e quindi forse Daniel Johnston. Sono un’accumulatrice, accumulo robba che trovo per strada. Sono sommersa, mi piacciono visioni che vengono da mondi diversi e che non riesco mai a racchiudere in una cosa sola. Qualsiasi categoria mi è sempre stata un po’ stretta. Diciamo che cerco gli stimoli che mi servono in quel momento, non so.. per lavorare ascolto rap, mi concentra, per riflettere metto su Pj Harvey, e la stessa cosa accade per i riferimenti visivi. ho un piccolo blog sul quale pubblico le mille cose che raccolgo, giocattoli, fototessere, vecchie riviste porno anni 60 – che poi erano bellissime, con un sacco di politica, ma non voglio aprire la parentesi..
Ma apriamola pure. Parlaci di un buono stimolo che hai trovato in quelle riviste..
Beh per esempio all’interno di una, un giornale che in copertina aveva Patty Pravo che ammiccava sopra il titolo ‘sono sadica anch’io’, c’era un lungo articolo contro il Vaticano. Un sacco di figa e un po’ di riflessione. E comunque, per quanto riguarda i riferimenti, mi piacciono cose molto simili a quelle che mettono i Beat Soup, per intenderci. (* ndr è una marchetta: nei Beat Soup ci suona Marinucci, quello che vi prepara i Beans..). Mi piace Mos Def. Ma la settimana scorsa ho ascoltato solo CCCP, ma ero premestruale.
Hai disegnato la campagna ‘IO NON VI VOTO’ di Greenpeace. C’è un messaggio dietro quello che fai? se i tuoi lavori fossero parole, che direbbero?
Se c’è un messaggio posso arrivarci a posteriori. Poche volte c’è un messaggio a priori, qualcosa di deciso prima. I personaggi che disegno sono molte volte soli, ho notato questo. C’è molta incomunicabilità..
Soli. E’ una condizione di vittimismo?
No, non sono poveri e soli. Sono soli. Non c’è niente di progettato, è più un fatto di atmosfera.
Ti sei descritta come ‘orgogliosamente’ romana. Che cosa ti offre Roma? e cosa le offri tu?
E’ un discorso complessissimo. Roma è una città tosta, una città che non è friendly di nessuno. una città che mette un sacco di difficoltà e diventa sempre più dura. Difficile muoversi, difficile arrivare a fine mese coi soldi, difficile tutto. E poi, professionalmente, sembra tutto rallentato, tutto fermo. C’è tanta gente che prova in tutti i modi a lavorare a Roma, gente che fa una fatica mostruosa. A Roma è tutto politica.
Il fatto è che, però, una volta che arrivi a conviverci non te ne allontani: Mamma Roma, Roma diventa improvvisamente una parte di te. Una presenza che odi profondamente ma bastano 3 secondi di luce giusta per capire che non ce la fai a stare senza. E’ come andare a cena da tua madre, quella vera. Si sta bene, per carità, ed ogni volta è straordinario tornarci. Ma dopo un po’ non ce la fai più.