About Marco Morici
Marco Morici è un giovane artista romano che proprio in questi giorni (e fino al 26 novembre) espone il suo ultimo lavoro My heart is a mineral all’interno della mostra “Ossidiana” nei nuovi spazi della Galleria CO2 a Roma. La mostra vede la partecipazione anche di Ignazio Mortellaro, con cui Morici collabora anche all’interno del collettivo “Oblivious Artefacts”.
Guardando ai suoi ultimi lavori ci si rende immediatamente conto che il ragazzo ha dalla sua tutta l’utopia visionaria dei grandi esploratori. Allo stesso tempo, spaziando fra scultura, video, installazione e fotografia riflette il senso di frammentazione/ricomposizione di una sensibilità tutta contemporanea.
Lo abbiamo incontrato in occasione di Ossidiana ed è stato naturale partire dall’ultima domanda.
E ora, ora che sei “arrivato” al minerale, dove andrai?
Non ne ho idea. Non ne voglio avere una precisa. Per ora c’è il minerale. Continuo a lavorare su quello. Sulla simbologia che inevitabilmente la natura, presa per ciò che è, si porta dietro autonomamente. L’uomo s’instaura già in questo sguardo sorpreso, e sospeso, verso di lei. Basta saper evidenziare le connessioni, come per la serie di fotografie esposte in OSSIDIANA, My heart is a mineral, o come magnetizza lo spazio il blocco di roccia nera lucida appesa in galleria. Parla da sola, non ha bisogno di grandi inchini o scenografie.
Com’è nato il progetto My heart is a mineral?
E’ durato un anno ed è nato senza essere progettato prima. Lavoravo su delle fotografie di costellazioni per una grafica e ho cominciato a vedere quelle luci come radiografie stellari. La sovrapposizione con paesaggi naturali è stata un caso. Da lì è entrata in gioco una ricerca più precisa. Volevo andare a sottolineare come queste radiografie scure del cosmo potessero essere riecheggiate dai paesaggi terrestri. Sono stato a Maranola, vicino Gaeta, in primavera, per una residenza artistica. Lì sono rimasto colpito dalle montagne intorno al paese. E’ stato un bel momento, ho visto chiaramente la linea che doveva seguire il mio lavoro e, infatti, proprio da quell’esperienza sono uscite la maggior parte delle foto che compongono la serie. Compresa la mucca.
Com’è stato lavorare in coppia con Ignazio Mortellaro, tuo amico e collega anche in altri progetti, per la scultura a quattro mani?
Come dici tu Ignazio ed io ci conosciamo già da parecchio ormai. Sia a livello umano che artistico. Abbiamo già firmato a due mani molti lavori sia artistici che grafici e performance live. Era la prima volta che dovevamo confrontarci su una scultura. La prima volta che si parlava di metallo da modellare. E’ stato un lento affinamento di idee, partito da questa estate. Ci siamo visti per produrre il progetto di quella che è diventata la scultura, 2,8g/cm3. Devo dire che l’idea fondante è nata subito. Volevamo unire i nostri lavori in un unico pezzo che raccontasse il nostro sentire comune. L’idea iniziale era una sorta di risuonatore cosmico terrestre, qualcosa che captasse le energie stellari e allo stesso tempo parlasse dell’enorme simbolico nascosto nei minerali. Alla fine il risuonatore si è trasformato in uno scheletro animale non definibile. Più che sottolineare l’idea di un elemento animale riconoscibile ci premeva creare un volume spaziale, che ricordasse le mappature di Ignazio e che inglobasse la foto della mucca. E’ uscito fuori un ibrido, con una splendida cassa toracica che viene richiamato dall’Ossidiana. C’è chi ha letto anche il contrario, ovvero l’animale che mangia la pietra, come se fosse la sua preda. E’ una lettura giustissima, a noi interessava far dialogare questi due elementi, far risuonare l’eleganza grezza dei due materiali.
Sei giovane, ma sembri avere le idee molto chiare. Quando lavori a un progetto segui una determinata metodologia?
No, almeno non credo. Ci sono forse solo due linee guida nella stesura dei progetti. Tendo ad accumulare informazioni in grande quantità. Parlo di immagini, di testi, che mi facciano entrare in uno stato mentale vicino all’idea che sto inseguendo. La seconda linea guida è la musica elettronica. Sono molto legato, anche come esperienza lavorativa, all’ambito elettronico. Credo sia importantissimo per sottolineare la valenza storica delle produzioni artistiche che vengono fuori in questi anni, e anche tutta la riflessione letteraria che se ne fa oggi, accostare molti lavori agli ambiti della musica elettronica. Lavorando con un’etichetta di Berlino, la Stroboscopic Artefacts, come grafico e come visual (con Ignazio), ci viene naturale sprofondare in certi ambienti sonori per arrivare al nocciolo dell’idea che ricerchiamo. Non è un caso se abbiamo montato su un collettivo di video arte (gli Oblivious Artefacts) con l’intento voluto di collegare l’arte visiva all’elettronica. Crediamo moltissimo in questa sincronia, nella qualità della ricerca che scaturisce da quest’unione.
Ci sono degli artisti che ti piacciono, che ti entusiasmano qualunque cosa facciano?
Dei mostri sacri ce ne sono a profusione. Tra loro voglio solo citarti Eliseo Mattiacci. La sua ultima produzione, ti parlo dagli anni dal carro solare ad oggi, è un continuo stimolo per un giovane come me che vorrebbe trattare tematiche forti come quelle cosmologiche. L’eleganza, la massività, e allo stesso tempo il controllo silenzioso che ogni sua scultura si porta dentro, è disarmante. Portano la forza di un pensiero così puro e così lineare, e allo stesso tempo totalmente misterico. Tra i giovani ce ne sono tre che continuo a seguire con estremo interesse. C’è Petrit Halilaj, visto alla biennale di Berlino per la prima volta, con The places I’m looking for, my dear, are utopian places, they are boring and I don’t know how to make them real, un’enorme installazione che ricrea la struttura della sua casa in Kosovo, poi sicuramente Adrian Lohmueller, e un italiano, Arcangelo Sassolino, il suo cubo al MACRO era fenomenale.
Si può parlare di circolarità nel tuo lavoro? Quindi…dove tornerai?
La circolarità è un concetto molto complesso. Se esiste nei miei lavori non me ne sono accorto. Per ora mi sento semplicemente di proseguire. Ti ripeto, non decido mai a priori dove andare a cercare le nuove idee, so solo che c’è una poetica, ed una serie di tematiche che mi interessano per ora. Mi piace essere sorpreso e sconvolto dalle idee, dagli altri artisti, o da qualsiasi cosa mi passi davanti il cammino. Non sono uno che traghetta i progetti verso porti stabiliti. Se si definirà nettamente una linea nei miei lavori ne parleremo tra dieci, venti, trent’anni.
Per ora c’è un continente che va esplorato, e ne voglio godere lentamente.
La foto di Marco Morici è di Jose Florentino
Per saperne di più:
www.marcomorici.com
www.co2gallery.com