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Acqua, aria, terra, fuoco, amore, odio, vita, morte

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È il filosofo ionico Empedocle (ca. 450 a.C.), benché storicamente preceduto nella sua formulazione sostanziale dal Buddha, ad elaborare ed immettere nella tradizione occidentale la teoria dei quattro elementi, hydor (acqua), aer (aria), gaia (terra), heile (fuoco). Essi, permanendo eternamente uguali e indistruttibili, per mezzo del loro mescolarsi e dissolversi costituiscono le “radici di tutte le cose”. Ma come e quanto la considerazione di tale teoria, evidente prodotto di un pensiero scientifico meno che embrionale, nel contesto di una concezione del sapere cui è ancora completamente estranea la divisione in branche, può suscitare un qualche interesse nell’uomo contemporaneo? Risulta intanto non privo di rilievo constatare come il percorso intrapreso dalla civiltà occidentale, a partire dall’antichità fino ai nostri giorni, risulti assai più improntato ad una fede nell’immutabilità e nell’incorruttibilità di tali elementi, che, come le attuali dinamiche ci mostrano (e l’odierna scienza conferma), alla coscienza della loro finitezza. Anche se l’uomo occidentale continua ad attingere alla biosfera a mo’ di riserva di risorse illimitata, non vi è infatti chi non veda che come per Empedocle questi elementi, in virtù dell’azione rispettivamente aggregante e disgregante di philia (amore) e neikos (odio), sono all’origine della vita, così, nel nostro presente, il continuo sottoporli ad uno sperpero e/o ad un uso improprio potrebbe rappresentare, in un futuro non lontano, la fine della vita stessa. Dalla presa di coscienza di tale situazione scaturisce l’idea di affrontare in arte il tema dei quattro elementi senza indulgere ad alcun substrato mitico o motivo alchemico, ma nemmeno concentrandosi sulla loro mera fisicità. La chiave di lettura prescelta è invece proprio quella della sostenibilità ambientale.
I quattro artisti selezionati, Domenico Di Martino (acqua), Giuditta Nelli (terra), Alessandro Ratti (aria), Ur5o (fuoco), pur nel rispetto delle loro singole poetiche, abbinano una sempre rigorosa, ma estremamente flessibile ricerca sul piano del linguaggio, che li conduce ad adoperare una pluralità di media (fotografia, video, installazione, performance…), ad una costante attenzione per la dimensione sociale dell’esistenza. Caratteristica quest’ultima che, se da una parte li spinge a fondare il loro lavoro a pratiche partecipative, nell’ottica della trasformazione dell’opera in un paradigma di autentica democrazia, dall’altra determina il loro porsi in esplicita antitesi rispetto alle logiche del sistema vigente.

La mostra è compresa nel cartellone della 30° edizione del Festival di Città Spettacolo di Benevento.

Il gran capo

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Questo è il suo articolo n°3459

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