Al MADRE in un giorno così bianco, così bianco
Giocando a fare le libere associazioni di idee, la prima cosa che mi viene in mente, pensando alle opere di Ettore Spalletti, è il morbido tratto del pastello. Nonostante i suoi lavori invadano lo spazio e senza alcun riguardo lo totalizzino, a contraddistinguerle resta una sensazione di grande leggerezza, che si respira già nel titolo della mostra Un giorno così bianco, così bianco, inaugurata al MADRE il 13 aprile e visitabile fino al 18 agosto.
Il museo napoletano è stato il punto di arrivo di due esposizioni, con tappe al MAXXI di Roma e alla GAM di Torino, musei nei quali l’aura regna sovrana, cioè quel luccichio invisibile che circonda l’opera, dandole quell’aria di santità ed eternità. Per l’occasione, il maestro ha aperto il suo studio, lasciandone uscire opere inedite e non. Avvolti dalla bella luce limpida di una giornata primaverile, percorse le vie del centro storico ed entrati nel museo napoletano, sembra di occupare un suolo sacro. Le opere, avvolte quasi in un mantello di pastoso colore, emergono solitarie e la figuratività è del tutto assente. Con le dovute eccezioni!
Un esempio è il profilo di montagna, sinuoso e ruvido, che sembra staccarsi totalmente dai monoliti che sorgono come strutture preziose, nelle altre sale. E la strana installazione “Foglie”, del 1969 e finora inedita – quasi una stonatura ricercata, con i suoi colori blu, verde e rosso accesi – che sembra la muta di un rettile lasciata sul pavimento del museo. La sensazione è quella di essere immersi in un liquido amniotico dai toni opachi e vibranti, contro cui impatta la luce, tra oggetti ignoti dai bordi dorati che sprigionano un bagliore vivo.
Certo, bisogna esercitare la concentrazione, per vedere tutte le sottigliezze che compongono questa materia apparentemente omogenea ma lo sforzo verrà ricompensato. Si potrà scoprire, così, che dietro una tavola esposta in modo irregolare, un pastello appuntito, in un gioco di equilibri, trattiene l’opera lontana dalla parete, rischiando di trafiggerla. Insomma, non è tutto immediatamente visibile e, nei cubi di alabastro dai tagli irregolari che si incontrano nelle sale, mi ci sono persa per minuti interi, sperimentando tutta la consistenza della roccia sedimentaria.
Se guardando le opere vi state chiedendo “ma che vuol dire?” siete fuori strada. Invece mettetevi comodi, scegliete l’angolatura giusta e guardate come si fa davanti a un paesaggio, che di significati proprio non ne ha ma, non per questo, smettiamo di guardarlo.
Ettore Spalletti | wiki