Arcade Fire | Reflektor l’album
Sono al terzo ascolto di questo disco. Prima che uscisse il video della title track lo ammetto, avevo altissime aspettative, che si sono infrante come uno specchio caduto a terra, portandomi 7 anni di disappunto. Sì, perché la prima impressione è stata di sincero disgusto nei confronti di una canzone che ben poco aveva di Arcade Fire, e così tanto era fatta di LCD Soundsystem.
Ora, dopo aver ascoltato, immagazzinato, riascoltato e letto tante cose su questo disco, voglio provare a dire la mia.
L’opinione di una “conservatrice” che ha amato i canadesi dal primo disco, che ha apprezzato l’anima di The Suburbs, così complicata e semplice, e la maestosa imponenza di Neon Bible: il parere di una persona a cui pezzi come “Crown of love” o “My body is a cage” mettono i brividi. Gli Arcade Fire per me sono e rimarranno un gruppo corale, che vive e scrive di sensazioni e le porta in musica, che ti parla con un tocco delicato e disperato di lutti (“In The Backseat”), che scava nel passato riportando alla luce ricordi d’infanzia (“Sprawl I”), che ti racconta storie del passato di qualcuno fino a farle diventare tue (“Intervention”). Non mi dilungo oltre, ma avrei qualcosa da dire su ogni pezzo da loro scritto.
Qui in “Reflektor” è tutto troppo: caotico, eccessivo, ripetitivo, lungo. Si perde il senso, che c’è, ma è troppo nascosto: la favola di Orfeo ed Euridice vista come metafora dell’ora, di un’epoca dove tutto si vive nel riflesso di uno schermo. Ma un brano come “Reflektor”, in 7 minuti, ti spolpa la pazienza. Che sia una giusta deviazione nel loro itinerario musicale può anche essere, ma è un percorso pericolante, fatto per piacere ai più (e così è stato: tutti a proclamare quanto è bello “ballare ed emozionarsi allo stesso tempo”, ma per quello ci sono i Knife, al massimo), con un’invadenza di James Murphy che supera il puro contributo stilistico: “Porno” è una versione rimaneggiata di “Dance Yrself Clean”. Per carità, niente da dire, se fosse un pezzo degli LCD Soundsystem e non degli Arcade Fire.
Questa riflessione ha le sue dovute eccezioni, nella seconda parte del disco: “Here comes the night time II”, “Awful Sound”, “It’s never Over”, ”Supersymmerty” (nonostante i suoi 11, lunghissimi, minuti), per me rappresentano la parte di un discorso più ampio e trovano un senso compiuto nel percorso musicale da Funeral in avanti. Non dico che debbano solo scrivere pezzi tristi, ma mantenere una coerenza anche nelle deviazioni, quella sì.
Probabilmente al settimo ascolto inizierò a capire la complessità ricercata dei suoni che regge tutta la struttura, ma al momento, la mia perplessità rimane: quando di vero c’è, nell’immagine del gruppo riflessa da questo album?
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