Around Ai Weiwei, dall’uomo all’artista
Artista, designer, blogger dissidente, attivista, sconcertante, provocatorio, adulato, criticato: Ai WeiWei è una delle personalità più discusse dell’arte contemporanea, creatore di opere degne di stupore e scalpore.
A Torino fino a febbraio, presso CAMERA – Centro Italiano per la fotografia, è possibile ripercorrere le tappe che hanno fatto di quest’uomo il più grande artista cinese vivente, grazie alla rassegna Around Ai WeiWei organizzata in collaborazione con Fondazione Palazzo Strozzi di Firenze (dove si trova la più monumentale retrospettiva Ai WeiWei. Libero) e sostenuta da Eni e Magnum Photos.
La mostra, curata da Davide Quadrio, si pone prima di tutto come approfondimento degli elementi documentaristi che circondano la vita dell’artista, ponendosi come testimonianze del suo ruolo non solo come artista, ma anche come narratore del suo tempo e della sua nazione. All’ingresso un tappeto lungo 45 metri accoglie i visitatori: è Soft Ground, un’installazione che raffigura in scala reale le tracce lasciate dai carri armati a sud ovest di Pechino, e che si stende a ricordare il trauma degli avvenimenti di Piazza Tienanmen. La morbidezza del tessuto contrasta il dolore del ricordo e calpestandolo, si è costretti a prendere parte a una memoria collettiva apparentemente lontana, a riviverla e a farla propria.
Sulla destra, lungo il corridoio si può vedere la prima serie di fotografie, risalenti al decennio 1983-1993, in cui Ai WeiWei si trasferì a New York. Sono scatti caratterizzati da una lucidità di sguardo alla Cartier-Bresson, che svelano l’ordinario in tutta la sua straordinarietà: la caduta di un cavallo ripresa come un mini reportage; un gruppo sparuto di poliziotti neri; una ragazza sdraiata sul prato che ricorda Le dejeuner sur l’erbe; due sconosciuti che si baciano all’ingresso della metropolitana; un autoritratto a letto.
L’attenzione al particolare, all’istante perfetto è quasi un’ossessione, che si ripete anche nella sala successiva con la serie Bejing Photographs 1993-2003. Ai WeiWei in questo periodo torna a Pechino per prendersi cura del padre morente – di cui documenta il ricovero all’ospedale in un drammatico susseguirsi di dettagli del letto e delle flebo – e raccoglie immagini finora inedite del suo entourage, tra cui numerosi performer. Vediamo allora uomini legati e appesi, oppure cosparsi di miele rimanere immobili per ore: sono le prime performance artistiche che, in una Cina di inizio anni ’90, facevano ancora più scalpore e per questo diventano testimonianza ancora più significativa del Paese prima della sua trasformazione in una metropoli globale.
Tantissimi sono gli scatti del dito medio, un gesto banale che in questo contesto diventa performance, ripresa attraverso il mezzo fotografico che documenta e tramanda l’atto elevandolo a simbolo universale di ribellione. E allora ci si ribella al potere, ai nuovi grattacieli, ai gatti e ai prati. Si arriva anche a disprezzare il poster di un dito medio, vanificando così la potenza del gesto fino a farlo diventare un gesto vuoto.
Se vuoto riesce a essere il senso di una performance, vuoto può essere l’effetto che si prova di fronte alle 17.000 fotografie che compongono il Refugee Wall, ultima sala e ultimo progetto in ordine cronologico (il 12 novembre a New York, infatti, Ai WeiWei ha presentato la seconda parte di questo progetto, un’installazione composta da vestiti). Il colpo d’occhio spezza il fiato: le quattro pareti sembrano indistinte chiazze di colore, che solo avvicinandosi rivelano sequenze di immagini come frame di una pellicola. Gommoni, tende, sole che tramonta, deserto, autoscatti con profughi. Ecco nuovamente l’ossessione alla documentazione, al dettaglio, alla raccolta di singoli istanti. Ma anche qui, la potenza delle singole immagini può sgretolarsi di fronte alla domanda: qual è il confine tra l’attivismo, la documentazione e lo spettacolo? Dove arriva la spinta umana e dove il voyeurismo artistico?
Ai WeiWei è una personalità complessa, in grado di smuovere l’indignazione di tanti, e tra le decine di fotografie raccolte in questa rassegna è difficile rispondere non solo a queste domande, ma anche a quella su cui Quadrio si interroga: di fronte a una mole così ampia di immagini, noi vediamo e capiamo di più o di meno? Chi è veramente Ai WeiWei e come si approccia alla sua auto-rappresentazione?
C’è però un’immagine che spicca sulle altre, un autoscatto appeso tra gatti, edifici e diti medi: Ai WeiWei nudo che si fotografa allo specchio.
Forse la vera risposta è contenuta in quello scatto, così candido e reale, dove l’artista smette i suoi panni e svela, finalmente, l’uomo.