Baliana
di Marco Lipford
Nella mia corsa trafelata per uscire dal locale, travolgo sulla soglia il tizio che entra. Non lo vedo in faccia perché riprendo subito a correre, ma sento i suoi improperi. Divoro la strada, inciampo, quasi mi spalmo sui sampietrini. Dannazione a questa città che non ti fa mai trovare parcheggio a meno di cinquecento metri. Torno dove abbiamo lasciato la macchina, e sento l’antifurto che si chiude. Anita è lì che mi guarda.
“Beh?” mi fa, e infila le chiavi nella borsetta. “Perché corri?”.
Qualcosa cambia nell’aria, l’atmosfera si fa insolita, suggestiva ma devo credere che sia merito del suo bel sorriso. Poi un colpo di vento più forte, e uno stordimento. Già. Perché corro?
“No,” dico, “credevo… non ti vedevo arrivare, e avevo paura ti fosse successo qualcosa”.
“E che dev’essermi successo? Andiamo, altrimenti danno via il tavolo.” Si avvicina, e mi dà una carezza sulla guancia. Ci avviamo verso il ristorantino. Il vento della sera autunnale accarezza le nostre mani che si giungono come ramoscelli rampicanti. A metà strada Anita si blocca.
“Merda!” esclama.
“Che c’è?”.
Comincia a rovistare nella borsetta e si fruga le tasche del giacchetto. “Ho scordato il cellulare in macchina”.
“Torniamo a prenderlo,” e già sto per fare un passo, ma lei mi ferma.
“No, vai a fermare il tavolo, che già siamo in ritardo. “Si allontana da sola sbuffando alla sua sbadataggine. Così, torno verso il locale, che è ben distante, e nel momento in cui sto per entrare una botta tremenda mi toglie l’equilibrio. Quasi cado, e vedo un tizio vestito come me saettare via. “Deficiente!” gli urlo appresso “Che ti corri, imbecille!” ma quello è già lontano.
Stranito dall’impatto entro nel ristorante. Seduto al tavolo mi guardo intorno, il locale è sempre quello, accogliente e intimo, con i rivestimenti di legno scuro alle pareti e i lampadari a candelabro. Agli altri tavoli gente di svariate età, gruppi di single che brindano ai buoni propositi, coppie che risplendono nel loro personale isolamento. Mi sembra di essere ognuno di loro, e a momenti sento una familiarità pesante con quel luogo.
“Ciao.” La voce di donna che ha parlato alle mie spalle non è quella di Anita. Mi giro e il cuore subisce un tuffo.
“Che sorpresa!”.
Baliana. E che diavolo ci fa lì? È in piedi accanto a me e ha addosso una specie di grembiule. Mi coglie un orrendo sospetto. “Lavori qui?” le chiedo.
“Dici sempre così,” risponde con un sorriso arcano.
“Quanto tempo…” cerco di spiccicare parola mentre lei si siede davanti a me. Ingoio a vuoto e comincio a sudare: Baliana, la mia ex, un anno di stranezze ed episodi bizzarri, lavora come cameriera nel locale in cui sto aspettando Anita, la ragazza che adoro e con cui sto da due settimane? Non è possibile, ditemi che è un brutto sogno, uno scherzo di pessimo gusto!
“Quanto… tempo…? Cosa intendi?” mi cita. “Forse il tempo che sei qui dentro? O forse i sei mesi che sono passati dacché mi hai lasciato…” dice, e le si oscura il sorriso.
“Sei mesi…” ripeto, ma penso soltanto che Anita starà per arrivare, e non voglio che mi veda seduto con un’altra. Con Baliana, poi!
“Sì. Sei mesi, tre settimane e due giorni” il suo sguardo mi fulmina. “Già ti sei scordato?”
“No, affatto… Non sapevo che nel frattempo lavorassi qui”.
“E invece sono qui. Anche per me è stata una sorpresa vederti. E ancora di più scoprire che esci con un’altra.”
“Come sai di Anita?” le dico di getto, e poi mi mordo la lingua.
“Io Anita la conosco benissimo…” nicchia lei, e sorride.
Non so cosa dirle. Di Baliana non avevo più parlato con nessuno. Una storiaccia, quando finì fu uno strazio pieno di polemiche, telefonate nella notte e strascichi vari. In fondo non era sorprendente che sapesse, in un periodo storico in cui tutta la nostra vita è sulla pubblica piazza.
“Ma mi fa piacere vederti qui, non sai quanto,” mi dice prima che possa farle delle domande. “Ti ricordi? Questo era il nostro posto. E’ qui che ci siamo messi insieme… dicevamo che era il posto ideale per passarci l’eternità…” La sua espressione cambia quando aggiunge la nota dolente: “E non mi sembra carino che ora tu ci torni con un’altra”.
“Che c’entra? Mica lo sapevo che lavori qui!” protesto.
“C’entra invece,” gli occhi le si accendono. “Se sei qui c’è una ragione.”
“Ovvero?”.
“Ma come? Vuol dire che una parte di te ancora mi cerca. Il tuo spirito vuole venire qui. Da me!” Il suo sillogismo è tanto forzato quanto esultante.
Sempre la solita Baliana, con la passione dell’inconscio e una particolare predilezione per gli studi esoterici. A dire il vero, è stato proprio quello il problema tra noi: appassionata di manuali di magia e riti strani, aveva preso a coinvolgermi nelle sue uscite con il circolo Amici del Voodoo il martedì, poi le c’erano sedute spiritiche con l’associazione Una vita da medianico ogni luna nuova… Quando la tavola di casa mia ha cominciato a sparecchiarsi da sola – rompendo piatti e bicchieri a tradimento – ho capito che dovevo prendere un po’ le distanze. Adesso è inquietante ritrovarsela davanti. Il suo sguardo – quello non me lo ero scordato – è sempre così penetrante…
“E ti sei persino messo allo stesso tavolo, che Giuda!” mi prende le mani nelle sue. La sua pelle morbida mi accarezza.
“Baliana, finiscila, sono un uomo impegnato”. Cerco di liberarmi le mani ma lei le trattiene, e piantandomi gli occhi in faccia mi ripete tre volte:
“Ti do ragione, abbiamo avuto guai
ma una volta fuori li dimenticherai.
Scappi, ma in due sei diviso ormai,
e sempre da Baliana tu ritornerai”
La sua voce è suadente, cavoli quanto ho faticato per togliermela dalla testa!
“Ma cosa vuoi da me?” le domando dopo un istante di stordimento.
“Cosa voglio?” gongola, “Questo: che tu torni da me. Sempre.” La sua allegria è tanto enigmatica quanto fuori luogo. “Starei un’eternità qui dentro con te…”.
“Adesso basta!” dico, e con uno sforzo di volontà mi riprendo le mani. Mi guardo intorno sempre più nervoso e incerto sul da farsi.
Baliana si ricompone e mi chiede “Cerchi Anita bella?”. Sono i miei occhi a fulminarla stavolta. “Beh…” ghigna, “forse avrà avuto dei problemi con i miei amici zingari, gli avete pagato il parcheggio?”.
A quelle parole mi si gela il sangue e balzo in piedi. Senza degnarla di risposta comincio a correre fuori: temo per Anita, cosa le ha fatto questa matta? Schivo i vari avventori e mi precipito verso l’uscita. Apro la porta e sulla soglia travolgo il tizio che entrava. Suppongo la parte di me che ancora vuole tornare da Baliana.
Testi di Marco Lipford. Fotografie di Francensco Ormando (Flickr, Facebook, Vogue).
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Marco Lipford è nato a Roma nel 1978, e gli è sempre piaciuto scrivere storie. Artisticamente ha inseguito una carriera nel fumetto, che ha poi abbandonato per concentrarsi sul versante letterario della narrazione. Nel 2009 ha scritto i versi per la mostra “Sforzo e leggerezza”, accompagnando così gli scatti di Togaci con cui ha poi collaborato nell’organizzazione di mostre e eventi d’arte nei locali romani. Ha completato il suo corso di studi con una laurea in Comunicazione e una in Editoria, entrambe prese all’Università di Torvergata. Scrive recensioni artistiche, musicali, ed è parte del Cantiere di letteratura notturna.
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