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Bill Viola fa il bello e il cattivo tempo della video arte

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Le lente immagini di Bill Viola mi ricordano la forma dei pensieri, le immagini della mente. Mentre comincio a percepire le sfumature e a cercare di immedesimarmi nelle tragiche espressioni dei volti sulle “tele”, mi accorgo che tutto è cambiato. Credo che Viola cerchi di minare le certezze, destabilizzando ciò che sembra stabile, certo e immobile. Esattamente come succede quando stai pensando a qualcuno e repentinamente la sua immagine si dissolve nei tuoi pensieri.

Transfiguration | Bill Viola

Queste sono state le primissime impressioni che ho avuto alla mostra di Bill Viola al Museo di Capodimonte, che rimarrà visibile fino al 23 gennaio 2011. Il nostro “video-artista” – e lo metto tra virgolette perché in realtà si tratta di un artista multitasking – non solo è un cultore del bello e un ottimo direttore della fotografia, ma la sua biografia e il suo curriculum mettono a nudo la figura di un vero e proprio secchione. Dall’arte medioevale italiana alla musica elettronica avanguardistica, dallo studio pioneristico del video al sufismo e il buddismo, dalla filosofia orientale all’arte digitale, tutto rientra nei suoi studi e traspare nei suoi lavori.

Union | Bill Viola

I video in mostra sono sei e a quanto pare è la prima volta che vengono esposti in Italia. Nella prima sala entro subito in contatto con The Quintet of the Astonished e con lo stile unico di Viola accorgendomi immediatamente che i conti non tornano. Uno schermo dove l’immagine che vediamo sembra assolutamente immobile, anche a causa dell’assenza dell’audio, fino a quando non ci rendiamo conto che i movimenti dei protagonisti sono impercettibili, ma ci sono. Si tratta del video più lungo e in assoluto il più inquietante perché trasmette angoscia e sofferenza. Nella seconda sala Tranfiguration che ci pone di fronte alla figura di un dark-punk di cui si fa fatica a distinguere il sesso e che quando si avvicina alla fonte d’acqua anteposta alla telecamera, fissa il pubblico mostrandosi come una silenziosa creatura. Un’immagine meravigliosa dietro alla quale si deve necessariamente celare una forte capacità empatica e un profondo studio filo-antropologico da parte dell’artista. Le scene sono semplicemente rappresentazioni di una realtà, ma dal forte impatto emotivo ed estetico. I video sono davvero molto belli, nel senso più classico del termine. Il buio accompagna queste sensazioni come all’appuntamento con una bella donna, aiuta sempre.

The Raft | Bill Viola

Nella sala successiva Union del 2000, un altro lentissimo video nel quale mani, capelli, muscoli e vene sono i protagonisti di micromovimenti leggerissimi che catturano la mia attenzione meglio di una soap opera. E’ evidente che Viola indaghi il malessere dell’uomo moderno strizzando l’occhio a Caravaggio, infatti la mostra lascia , come i curatori dell’evento amano tanto dire, “dialogare” alla perfezione i due artisti.

Three Women | Bill Viola

La più audace delle opere risulta sicuramente The Raft del 2004, che parte sbalordendoci già con le sue titaniche dimensioni. Una cascata di acqua travolge le persone alla fermata dell’autobus , cosa che personalmente interpreto molto come una metafora della vita. Fermi ad aspettare indifferenti e un po’ sospettosi l’uno verso l’altro, vengono improvvisamente colpiti da una sciagura rappresentata dalla cascata, cascata che li rende complici e in un tripudio di disperazione ci si aiuta condividendo il momento di dolore.
In Observance del 2002, che rappresenta un estremo saluto, Viola riesce invece a rendere molto bene l’incredulità della perdita e della sofferenza.
Fondamentali rimangono la scelta delle luci e dell’audio che contribuiscono notevolmente a “fomentare” la sensazione di estraniamento dalla realtà e d’immedesimazione nelle opere. Di fronte a questi quadri digitali si rimane ammaliati e angosciati.
L’ultima opera, Three Women, assicura ancora una volta il carattere esplicito delle opere di Viola che non hanno bisogno di molti pensieri, sono lì e sembrano esattamente ciò che sono.

foto di Federico Righi

Per saperne di più: museocapodimonte.it

Bill Viola: billviola.com

Maria Caro

scritto da

Questo è il suo articolo n°444

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