C215 alla Wunderkammern
Il discorso sulla cultura in Italia mi risulta essere, paradossalmente, culturalmente molto basso. Da una parte ci sono vari professoroni dalle credenziali garantite dalla numerose citazioni su Tv Sorrisi e Canzoni che, svestiti i panni dei professionisti del libro, si ritrovano nelle trasmissioni di Giletti a discutere con Klaus Davi di quanto siano importanti i fondi all’istruzione ed alle fondazioni museali. Dall’altra ci sono gli Sgarbi che, applauditi dai lettori di Federico Moccia nelle trasmissioni di Barbara D’Urso, rispondono con sottili argomentazioni a favore del liberalismo culturale. Spesso dicono “Capra”.
Entrambe le fazioni sono però concordi su una cosa: la cultura in Italia non paga. L’arte non dà da mangiare, l’apprezzamento per il talento da parte del pubblico italiano va di pari passo alle avventure sessuali di un ballerino diciannovenne di Amici. In pratica si lascia a Flavio Briatore il compito di difendere la possibilità che l’Italia punti le sue energie economiche sulla fruizione delle opere d’arte.
Sabato pomeriggio la galleria romana Wunderkammern ha inaugurato la personale dello street artist parigino C215. Ora, la Wunderkammern è una galleria giovane, molto d’effetto ma con uno spazio che non definirei enorme. La street art, da parte sua, secondo molti di quei professoroni di storia dell’arte prima presi in considerazione ha da qualche tempo concluso il suo ciclo di rinascimento commerciale, e si avvia silente sul viale del tramonto della nicchia e della compravendita a prezzi da studente fuorisede.
L’inaugurazione, per di più, era alle 19.00 – di sabato – in un orario in cui solitamente i giovani studenti dello IED soggiacciono al richiamo dell’aperitivo a Monti. Fatto sta che quell’inaugurazione era strapiena, talmente tanto che io, esimio redattore di Ziguline, raffinato surfista di tendenze artistiche e giovane manovratore di tendenze commerciali, ho dovuto accontentarmi di due misere dita di vino in un bicchiere di carta.
La mostra, dal canto suo, è davvero notevole. C215, al secolo Christian Guemy, è stato un ricercatore universitario in storia dell’arte e nell’esposizione compie l’estremo tentativo di trasfigurare Dipinti con la D maiuscola attraverso lo stencil: basti per tutti l’enorme riproduzione di un Caravaggio – un francese che rifà Caravaggio a Roma con lo stencil dico, enorme, sul muro d’entrata della galleria. E poi gatti, e volti, e cassette della posta e pezzi di strada a colorare le mura di un posto che sembra incarnare la freschezza che gran parte di Roma ha oramai abbandonato.
Una volta ho sentito un’intervista di Guemy in cui lo street artist diceva che il suo scopo era fare in modo che le città, nel senso in cui incarnano i posti in cui vivono persone reali, fossero migliori. Se è così, non credo ci sia nessun divieto di portare delle opere di street art tra le mura di una galleria: la galleria è solo un luogo che ci indica dove guardare, laddove per la strada gli incontri possono essere solo fortuiti. La galleria, se fa bene il suo lavoro, diventa una parte integrante della città, diventa un luogo di libertà in cui i dogmatismi, anche quelli della street art nuda e pura, hanno poco senso. Se è così, ancora, Christian Guemy raggiunge ampiamente il suo scopo: le sue opere, anche racchiuse tra quelle mura, omaggiano Roma in molti modi (Caravaggio, l’abbiamo detto, ma anche il grande cinema romano), e fanno da ponte alla miriade di altre apparizioni che C215 ha all’attivo per le strade della città. Le sue opere traspirano strada, dovunque esse stiano.
È tanto tempo che sento dire di quanto la cultura sia degenerata in Italia, di quanto Berlusconi e le sue televisioni abbiano fatto del male alle menti di noi giovani cresciuti a pane e Bim Bum Bam, di come la mia sessualità debba essere confinata alla farfallina di Belen e la mia cultura sia necessariamente confinata alle idiozie di Cecchi Paone. Può darsi che per molti sia così, può darsi che io non sarò mai in grado di apprezzare un Mirò come quel ragazzotto che nel 68′ rimorchiava le compagne alle assemblee proletarie e oggi va a teatro dopo aver concluso il suo turno come capo del personale di qualche cazzo di multinazionale francese. Può darsi.
A volte, però, bisognerebbe che quella strana razza che sono gli adulti (e non è un’accezione anagrafica) capissero che tra la realtà e i salotti della tv pomeridiana passa un sacco di differenza. In quel caso, infatti, imparerebbero a guardare che cosa succede, e da ciò a dare giudizi. Per quanto ne so quello che succede è che il vernissage della mostra di C215 era strapieno di gente, e non regalavano di certo lavatrici. L’arte di C215, un’arte talmente poco presuntuosa da starsene dispersa per la strada, ha spinto un sacco di persone a muovere il culo e ad andarla a vedere tutta in un posto solo.
E se questo Giletti, o la simpatica Barbarona, non lo vogliono vedere, nessun problema. Perchè noi, a loro, non li vediamo da un sacco di tempo.
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