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Carmine Cervone, giovane tipografo d’altri tempi

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Carmine è un padre di famiglia che da alcuni anni gestisce un’officina di arti grafiche, dove la produzione di libri avviene esclusivamente utilizzando macchine di inizio ‘900. Giuseppe, il padre, lo aiuta nella stampa e nei suoi futuri progetti quali quello di realizzare un museo nella sua tipografia e “dulcis in fundo” stampare la Bibbia come Gutenberg fece nel lontano 1450. Impresa ardua, che Carmine cerca di realizzare giorno per giorno, alimentando questa sua passione per i “ferri vecchi”, come lui stesso ama chiamare le sue macchine. Di certo la burocrazia e le leggi italiane non aiutano chi, in una città dove il tasso di disoccupazione è critico, cerca di inventarsi un lavoro originale ed unico. L’officina è piena di stampe di artisti, il rosso domina le pareti e il rumore delle macchine accompagna la nostra conversazione, a volte interrotta da papà Giuseppe che continua imperterrito nel suo lavoro.

foto di Lia Zanza

Quando nasce l’officina delle arti grafiche?

Nasce nel 2003, dopo un lavoro di ricerca, di raccolta e di rimessa in funzione di macchine che erano state messe fuori produzione. In effetti queste macchine hanno un problema: sono fuorilegge, nel senso che io per questo tipo di progetto non riesco ad avere il permesso, perché tutto quello che vedi non è contemplato nelle normative vigenti. Sono macchine precedenti a determinate leggi. Al’inizio della raccolta non lo sapevo, non pensavo che fosse così drastica la situazione quando ho cominciato questa avventura. Tanto è vero che sono stato all’ASL, dove mi hanno cominciato a proporre una serie di interventi che se io avessi avuto quei soldi non avrei mai pensato di lavorare. Credo però che si possa ovviare questo tipo di problema e sto pensando di far diventare la tipografia un museo. Il mio obbiettivo è quello di realizzare un museo produttivo, ovvero un museo non statico. Il bello sarebbe vedere ciò che le macchine fanno, per produrre e stampare libri che in realtà sono libri d’artista.

Dalla prima macchina da stampa del 1450, quante cose sono cambiate nell’ambito dell’editoria?

La tipografia tradizionale dal 1450 non ha avuto evoluzioni particolari a parte la linotype, che è l’unica vera rivoluzione della storia della tipografia. Questa macchina ha una differenza produttiva di materiali e di carta e quindi credo che sia uno sbaglio metterla da parte. Ad esempio quando nel 2000 è stata stilata la classifica di tutte le cose più importanti del millennio, la stampa è risultata l’invenzione più importante. In effetti è vero. Gutenberg non inventa la stampa, la stampa già esisteva. Lui inventa i tipi mobili, quindi è da quella invenzione che si può sancire una fine del Medioevo, perché da quel momento i monaci, che da soli producevano libri, non sono più i detentori della cultura. Il mio progetto iniziale era prima quello di rimettere in funzione tutte queste macchine, che hanno una bellezza infinita per quanto riguarda la meccanica, poi di avere un posto di lavoro. Il mio investimento è stato pari a zero, nel senso che tutto quello che ho trovato l’ho pagato come ferro vecchio. Io non ho dovuto acquistare macchine paragonabili a quelle di una tipografia moderna, ho un po’ scavato nella “monnezza”. Inoltre la mia passione per la grafica, per il segno e per la stampa mi hanno portato qui. Questo tipo di stampa è realizzabile per impressione, non per trasmissione e quindi tu puoi toccare tutto quello che stampi. La mia è una terza generazione di tipografi e, giocando con queste macchine, mi è preso questo “pallino”. Purtroppo qui diventa sempre difficile realizzare quello che vuoi. Le mire politiche hanno tanti altri interessi, non riusciranno a realizzare i miei progetti.

foto di Lia Zanda

In Italia ci sono altre tipografie che utilizzano queste macchine “obsolete” per la stampa?

Ti posso dire con certezza che in Italia ci sono almeno tre o quattro realtà come questa, solo che stando in Regioni diverse, hanno trattamenti diversi. A differenza di queste officine io però ho realizzato e raccolto macchine capaci di comporre un ciclo completo, nel senso che riesco a fare un progetto finito con la composizione, la stampa, l’allineamento e l’infusione. La raccolta di queste macchine è diventata nel tempo per me quasi una fissazione: in qualsiasi luogo io vada, sia in Italia che all’estero, la prima cosa è vedere dove c’è un’antica tipografia dove acquistare qualcosa. In un’epoca in cui si parla di riciclaggio, posso dimostrare che c’è sempre qualcosa che può servirti e che invece viene gettata. Il mio lavoro purtroppo non è agevolato da niente e nessuno. Io penso che la Camorra non è quella che viene a chiederti il pizzo, ma è quella che ti proibisce di fare qualcosa, il non fare. Se io non lavoro, non so come vivere e crescere la mia famiglia. Vivo nei debiti e se non ho un aiuto dallo Stato è facile chiedere prestiti “illeciti”. Se vengo da una realtà difficile è facile cascare in situazioni irrisolvibili.

Carmine comincia un discorso sui media e sulla politica. Che chiacchiera! Certamente l’argomento è coinvolgente, ma cerco di evitare voli pindarici per poter continuare a parlare del suo entusiasmante progetto.

Chi sono i vostri clienti?

Noi produciamo principalmente libri d’artista. I nostri clienti sono coloro a cui piace l’immagine e lavorare con un’artista è un piacere, perché c’è uno scambio culturale e un discorso iniziale. Mi piacerebbe che il mio lavoro sia visto come qualcosa di dimostrativo, cioè capace di dare spiegazioni anche ad un grafico che potrebbe avere una preparazione migliore nel conoscere le macchine moderne.

Sei contrario alle nuove tecnologie?

No, io le amo. La mia produzione è totalmente diversa da quella moderna, sono solo contrario alla sostituzione totale. Io amo il computer, amo internet. Tutte le macchine moderne non sono una concorrenza. Realizziamo lavori diversi.

foto di Lia Zanda

Possiamo vedere la linotype, magari ci spieghi come funziona?

Questa macchina ha un enorme pregio, quello di realizzare delle linee di caratteri direttamente da sola. Prima di questa macchina dovevi comporre delle linee di caratteri mobili. Funziona così: si digita su una tastiera la parola da comporre, come una normale macchina da scrivere, digitando vengono fuori delle matrici, cave nel retro, allineate in uno spazio che si chiama compositoio. Queste matrici vengono inviate alla caldaia che fonde il piombo in continuo. Nella fusione il piombo viene spruzzato nel retro della matrice che produce poi una riga. Dopo questo c’è la scomposizione della linea di matrice. Immagina quanto tempo ci volesse per realizzare un giornale, che agli inizi del Novecento era di una sola pagina. Infatti questa macchina nasce proprio per produrre lavori editoriali. È una macchina complicatissima, pensa che chi l’ha inventata era un orologiaio Ottmar Mergenthaler che la realizzò a New York nel 1866. Logicamente in Italia questa macchina è arrivata nel Novecento.

Qual è il suo valore?

È ferro vecchio, vale tanto ferro quanto pesa. Quest’altra è una macchina per la doratura, quando stampi copertine. È un normale torchio ed è molto antica, risale al 1920. Sicuramente un vero pezzo da museo è la prima macchina da stampa moderna del 1800. Questa ha un carrello dove si sistema la matrice da stampa e sotto la carta. Vengono prodotte così litografie. È stata realizzata nel 1840 ed era usata in Inghilterra anche per stampare la valuta, infatti ha una sua numerazione.

Quanto tempo si impiega a stampare un libro di 40 pagine, più o meno?

I nostri libri sono a tiratura limitata e non superano le 50 pagine. Possiamo impiegarci su per giù un mese o 15 giorni. Anche la carta è particolare, noi ci serviamo di altri artigiani che ci forniscono la loro carta.

foto di Lia Zanda

Ho letto sul vostro sito che tra i progetti da realizzare c’è anche quello di riprodurre la Bibbia come la produsse Gutenberg, a che punto siete?

In realtà è un’idea, che spero di realizzare. Per stampare la Bibbia in questo modo ci vorrebbero parecchi anni, ma sicuramente gli appassionati che acquisterebbero queste opere ci sono ed i costi di una produzione tale sono notevoli. Io credo in questo progetto e anche le persone che vengono a trovarci alimentano questa passione, come un ragazzo francese che ha prodotto su di noi un documentario. Certo lavorare a Napoli è terribile, perché in una città diversa con un progetto del genere io non avrei avuto questi problemi, però sono anche convinto che se non fossi stato in una città come questa, in cui la “monnezza” abbonda, magari non avrei mai trovato tutto questo.

Stefania Annese

scritto da

Questo è il suo articolo n°51

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