Cena al buio al Dans le noir?
Dans le noir? fa parte di una serie di ristoranti con sede a Londra, Parigi, New York e Barcellona, dove puoi tranquillamente esclamare: “Non ci vedo più dalla fame!”.
Non mi ha assunto la Michelin, né Il Gambero Rosso, è solo che trovavo davvero molto interessante capire di cosa mai si trattasse. Dopo una discussione un po’ intellettualoide dove questo guy londinese mi diceva: “Sai, lavoro in un ristorante dove si mangia al buio”, la mia curiosità era partita spedita, curiosità che purtroppo non avevo del tutto soddisfatto. La tenacia e il caso mi hanno portato a prenotare una mini-vacanza a Parigi e una cena al Dans le noir? dove la mia curiosità è stata a dir poco soddisfatta. Direi più che altro sfatta.
I vantaggi sono che non devi davvero preoccuparti di cosa mettere, se il tuo partner sia attraente oppure no o, più semplicemente, se ti sia rimasta dell’insalata tra i denti. Gli svantaggi che, una volta tornati alla realtà, determinate cose restano come sono.
Quando ho preso in considerazione l’idea di andare a visitare questo particolarissimo ristorante, ho pensato che fosse divertente, qualcosa da provare e da raccontare agli amici. Non avrei mai pensato che si potesse trattare di un’esperienza forte, al di là di ogni aspettativa.
Alle 20:00 circa, io e il mio amico ci presentiamo al rendez-vous (è obbligatoria la prenotazione) e veniamo accolti da poco accoglienti ristoratori che in un velocissimo francese prima e, su nostra richiesta, in un francesissimo inglese poi, ci spiegano come comportarci all’interno della sala. Il menù è rigorosamente a sorpresa e possiamo scegliere tra un piatto principale o un secondo piatto, preceduti da un antipasto e seguiti da un dessert. Dopo la burocratica ordinazione ci viene presentata la nostra cameriera Nejla, che sbuca da una tenda nera e, dotata di un professionalissimo auricolare, è pronta a condurci al nostro tavolo. Nejla è cieca, come tutti gli altri camerieri che servono nella sala.
Abbandonato il bar, appoggiamo le mani sulle sue spalle e, in un simpatico trenino (ma posso fare queste cose a ventisette anni?), entriamo nella sala. Il buio più nero e totale ci risucchia. Arrivati al tavolo, mi accomodo e mentre l’altro ospite si sistema di fronte a me, vengo colta inaspettatamente da un attacco di claustrofobia. In quel preciso momento nella mia testa sono passati circa un milione di concetti che non sto qui a raccontare. Per ovviare in modo diplomatico alla situazione ho pensato bene di avvisare dell’evento in corso il mio accompagnatore e la cameriera, evitando di correre via come una pazza furiosa.
Poi correre dove? Il buio della sala è talmente nero e pesante che lascia davvero tutto all’immaginazione. Mentre cerco di spiegare nel mio scarso francese, nel mio nervoso inglese e nel mio perfetto, ma a lei sconosciuto, spagnolo la crisi passa e quando finalmente lei capisce la mia necessità ho finalmente preso coraggio e stringendole il polso le comunico che sono determinata a restare. Non avrei mai permesso a un disturbo psicosomatico di rovinarmi la serata.
Tutti si aspettano, probabilmente anch’io quando ho orgogliosamente prenotato, che una volta dentro gli occhi si abituino al buio permettendo di scorgere qualcosa, ma questo non avviene e la cena si trasforma davvero in un’esperienza unica.
Confesso che una leggera ansia mi ha accompagnato per tutta la durata della cena, ma questo non mi ha impedito di trovare magnifica quest’esperienza. La cosa bella è che sai quando un piatto sta arrivando perché riesci a sentirne il profumo e percepisci in modo abbastanza chiaro i movimenti della cameriera.
La sala sembra gremita di gente e i tavoli sono tutti attaccati, facilitando così la socializzazione. Ho passato tutto il tempo a toccare il tavolo, le posate che puntualmente andavano perdute, la sedia sulla quale sedevo e il gomito del mio vicino, cercando nel frattempo di capire di che nazionalità fosse e cosa stesse mangiando. La gente, tra eccitazione e spaesamento visivo, in pratica urlava e urlavamo pure noi per sentirci un po’ meglio.
L’esperienza sensoriale si realizza a pieno e persiste la curiosità di sapere cosa abbiamo nel piatto, costantemente preoccupati di quello che ci ha riservato lo chef, soprattutto per una persona come me che ha il libro nero dei cibi. Arrivati a un certo punto, si comincia letteralmente a frugare nei piatti, a mangiare con le mani e a sporcarsi come bambini perché non si riesce a centrare la bocca con la forchetta.
Le pietanze erano buonissime. Una serie di tartine con salse e paté per antipasto, una bisteccona di vitello alle erbe per piatto principale e per finire un tris di meravigliosi dolci al cioccolato e frutta flambé. Il vino rosso era ottimo.
Quest’esperienza ve la consiglio, ma andateci con una certa preparazione mentale perché sarete stravolti da un tripudio di emozioni che vi porteranno a pensare alla condizione dei non vedenti, alla mancanza di certezze e alla necessità di imparare il francese.
Per saperne di più: danslenoir.com