Christofer Morris racconta la New York degli anni ottanta
Tiriamo fuori la macchina del tempo, torniamo a quando io ero una bambinetta cicciottella e in Italia erano gli anni della bomba alla stazione di Bologna, della strage di Ustica, del terremoto in Irpinia, dello scandalo della P2, di Craxi, della morte di Berlinguer, del capolavoro di Umberto Eco Il nome della rosa e dei mondiali di calcio vinti in Spagna. Insomma, non sono stati degli anni facili per noi italiani ma è proprio in quella decade che accadevano tante cose di cui ora sentiamo ancora la loro influenza.
Torniamo quindi agli anni ottanta quando gli Stati Uniti e la Russia erano ancora in guerra fredda ma non troppo, quando i soldati americani invadevano Panama, quando al cinema usciva ET e in televisione il primo vero canale dedicato alla musica, MTV, il quale mandava in onda a ripetizione Madonna e Micheal Jackson, d’altronde quelli erano gli anni di Like a Virgin e Thriller. Non si scappava. Ognuno ricorda quegli anni per qualcosa mentre a me piace ricordarli come quelli della nascita dell’hip-hop e dei graffiti, due arti che si sono reciprocamente influenzate creando la cosiddetta cultura urbana, madre della street art e delle dell’iPod. Erano proprio gli anni in cui a New York i fratelli Russel e Joseph Simmons fondavano i Run DMC e Keith Haring era all’apice del successo.
Che la storia dei graffiti e dell’hip-hop vada di pari passo è un dato di fatto e ne sono testimoni le esperienze fotografiche di alcuni artisti americani come Martha Cooper con cui io e Ponz abbiamo avuto il piacere di scambiare due chiacchiere qualche mese fa a proposito dei suoi lavori esposti a Palazzo Incontro per il festival Outdoor. Leggete l’intervista se ancora non lo avete fatto perché la fotografa ci ha raccontato come si viveva per le strade di New York in quegli anni in cui gli artisti vivevano a contatto con le trasformazioni urbane e sociali molto più che in qualsiasi altra epoca storica.
Restiamo negli Stati Uniti ed esattamente a New York perché un altro grande fotografo americano in quegli anni trascorreva le sue giornate nelle metropolitane della Grande mela per catturare la quotidianità della gente che attraversava le stazioni per prendere il treno.
Lui si chiama Christopher Morris ed è un fotografo nato in California nel 1958, potremmo definirlo un artista cresciuto con un obiettivo chiaro: documentare attraverso la fotografia.
Gli scatti che più lo hanno reso celebre negli Stati Uniti e in tutto il mondo sono soprattutto quelli che raccontano storie di guerre, quella in Iraq, in Somalia, nella ex Jugoslavia, in Afghanistan, in Cecenia e prima ancora quella ai cartelli della droga avvenuta in Colombia, foto che gli hanno valso premi e riconoscimenti internazionali.
Dalle grandi esperienze della guerra si impara a stare in mezzo alla gente e a immortalare una frazione dell’esistenza umana che acquista valore nel corso del tempo. Ed è proprio da questo presupposto che Christopher Morris ha continuato a raccontare la storia dell’uomo attraverso la fotografia e oggi vi parlo del suo documentario fotografico realizzato proprio negli anni ottanta nelle metropolitane di New York, “New York 1981!, dove ogni soggetto racconta la propria storia attraverso uno sguardo o un gesto.
Le sue foto raccolgono scene di vita quotidiana di gente che percorre lo stesso tragitto da tempo, che ogni giorno si reca al lavoro, a casa, compiendo le stesse azioni da sempre, gente che legge il giornale o ascolta la musica che passa il suo walkman, ballerini improvvisati che provano passi tra una carrozza ed un’altra, pavimenti invasi da pagine di giornali lasciati a terra mentre sulle porte e dove c’è un po’ di spazio compaiono grandi graffiti colorati, proprio come quelli di Haring, di cui New York è patria indiscutibile.
I lavori realizzati dal fotografo americano sono parte integrante della memoria storica di quegli anni in cui il mondo assisteva a dei grandi cambiamenti culturali e sociali che avevano la base proprio a New York che da da sempre viene considerata la patria delle culture moderne e di tutti i suoi derivati. Nel bene e nel male. Christopher Morris è riuscito a descrivere con le immagini una città in movimento attraverso dei luoghi che forniscono spunti per la creatività come la metropolitana, perché, come sostiene l’antropologo Marc Auge’ nei suoi saggi, la città e soprattutto la metropolitana è un non-luogo, ovvero un contenitore di esperienze singole che si mischiano e rendono possibile la comprensione di cambiamenti sociali in atto.
E Christopher Morris fa proprio questo, racconta senza parole. Perché l’immagine arriva prima di qualsiasi testo.
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