Club to Club 2014 | Il meglio del meglio
Prima di iniziare questo racconto sul Club To Club vorrei fare una piccola ed egoistica introduzione.
Finalmente, dopo anni e anni di duro lavoro, di articoli, di fatica e di sudore altrui appiccicato alle braccia in Sala Rossa ho ottenuto il riconoscimento più grande della mia carriera: la gloria. In questi giorni di Club To Club in tanti mi avete avvicinata e, indicandomi, mi avete riempito di domande come “Tu che hai il pass: secondo te è meglio se la giaccia la lascio al guardaroba o la porto?” o “Tu che hai il pass: sai dove posso trovare la droga?”. A tutti voi grazie. Soprattutto lo spagnolo che era seriamente convinto di star parlando con un’artista famosa, grazie. Mi avete fatto vivere i miei 15 minuti di fama.
Dopo queste change doverose entro subito nel vivo del week-end più intenso di Torino: Artissima, Paratissima, Levissima (no scherzo, la terza costola artistica si chiama The Others: forse non volevano darsi dei superlativi, ma di gran lunga lo sono, in confronto ad Artissima) e il sempre molto atteso Club To Club.
Quest’anno il quartier generale è l’hotel AC Torino: purtroppo per questioni di orario ho saltato il live dell’italiano che più mi interessava, Clap! Clap!, oltre a How to Dress Well. Sarebbe stato molto bello sentirli suonare nel vivo dell’evento, venerdì o sabato. Un piccolo rimpianto che non riesco a perdonarmi.
Il clou del festival s’è svolto in un’unica location, il Lingotto Fiere, con molti pro ma anche qualche contro: ottima la scelta dei live in sala grande, peccato che per le logiche questioni di cambio palco si fosse costretti a lunghe pause durante le quali il pubblico transumava in massa verso la sala rossa, di capienza troppo limitata per riuscire a contenere tutti. Il venerdì sera entrare in sauna rossa è stata un’utopia.
Quindi, tra quelli che sono riuscita a vedere, ecco a voi (in ordine di “vorrei sposarmi con”) i 3 migliori set che ho vissuto al #C2C14:
1) Chet Faker
MI dispiace per tutti quelli che hanno vissuto male il live di Milano, ma quello di Torino è stato un concerto degno di nota. Alcuni hanno il sospetto che abbia cantato esclusivamente in playback, ma mi sembra molto strano che sia riuscito a farlo in modo così impeccabile (il playback, intendo). Più che altro per “Talk is cheap”, rifatta in piano version, più lenta e calda ancora del disco. Se poi ha fatto tutto in play, complimenti, può sfidare Jimmy Fallon in una gara di lipsync.
2) Evian Christ
Sul palco subito dopo il Maestro, Evian Christ mi ha abbagliata per i suoi visual, per i bassi che risuonavano talmente forte che per la prima volta nella mia vita ho davvero pensato: suoni così forti li ho sentiti solo a Berlino. Lo smacco finale con il taglio dei volumi e del pezzo proprio non ci voleva.
3) Pantha Du Prince
Fosse stato subito dopo Christ sarebbe stata una line up da volare fuori di testa. Ma Pantha du Prince suona subito dopo il live di Caribou, che termina con le atmosfere albeggianti di “Sun”. Il tedesco dalla luce del sole ci porta fin dentro i suoi abissi: scuro e profondo.
Non Classificato: Apparat
Tu sai che se suona Apparat vivrai un certo tipo di esperienza e lui non ti deluderà mai. Che sia a volte “un po’ la stessa cosa”, che sappia lasciarsi andare in territori azzardati con nuovi progetti, Apparat è sempre una conferma, un dj che sa farti ballare, sempre e comunque. Una cosa però ho imparato durante il set di Dettmann: c’è a chi frega solo la musica e a chi frega solo la droga, ma una cassa che gracchia è un peccato capitale condannato all’unanimità.
Menzione sempre speciale: Talaboman
Voi tutti sapete che amo John Talabot. Che ancora non l’ho fatto ma prima o poi ve lo prometto, arriverà un articolo in cui gli chiederò la sua mano. Raffinato e tamarro, intenso e divertente, Talabot riesce sempre a soddisfarmi, che sia un live o un djset. Anche con il suo nuovo progetto insieme ad Axel Boman, la perfetta chiusura del venerdì sera, una sferzata di gioia dopo le atmosfere scure e intagliate geometricamente di Pantha du Prince.
Non mi ha convinto: Caribou
Ah, li ho visti i peli delle vostre braccia rizzarvi a questa dichiarazione. Ma no, non mi ha convinto del tutto perché l’ho sentito senza band ed era molto più emozionante, perché è stato un live in salita, forse anche rovinato dagli zarri che avevo intorno che si lamentavano perché non stava facendo ballare come loro volevano. Come per SBTRKT, ha funzionato tutto meglio dalla seconda metà del live in avanti. Forse avevo semplicemente aspettative troppo alte nei confronti di entrambi e si sa, quando si hanno troppe aspettative, è molto facile farle crollare. Ciò non toglie che Caribou rimanga un grande artista, che sa suonare e sa farlo da anni. E che SBTRKT secondo me sia riuscito a scaldare la pista, dopo.
Nel complesso il Club to Club secondo me si sta confrontando con se stesso e con la sua filosofia di festival underground itinerante che è cresciuto fino a diventare imponente, ma non solo: l’edizione di quest’anno ha messo ancor più in luce quella volontà di offrire sempre il massimo in tutto e per tutti. E accontentare tutti è una sfida che davvero solo chi crede seriamente in quel che sta facendo può affrontare.
Le domande che mi ha lasciato questo C2C sono tante, così come le conferme. Aspettiamo con ansia e vediamo quali porte riuscirà a sfondare il nostro cavallo di Troia torinese nel 2015.
foto di Matteo Bosonetto