Da Picturin al Sudamerica senza passare per il via
Ebbene, questo sarebbe dovuto essere un volo pindarico sulla questione della street art a Torino, e se pensate che sarà così potete anche smettere di leggere quando arriverà il punto. (Questo). D’altronde Colombo quando è finito in America voleva andare in India, quindi passatemi questo racconto su come sono arrivata a ballare la salsa partendo da una gita alla ricerca di murales.
È una bella domenica pomeriggio, perciò io e il mio fidato amico inforchiamo le bici e andiamo verso il Parco Dora per fotografare un po’ di Picturin. Un po’ di Wikipedia a riguardo: Picturin è un festival di street art nato nel 2010 che ha lo scopo di rivalutare parti squallide di città invitando artisti a prendersi un muro e rifarlo, nella sua prima edizione aveva per esempio tentato l’invano compito di rendere colorato il muro di Palazzo Nuovo (la favolosa sede delle facoltà umanistiche, talmente bella che i ¾ abbandonano gli studi presi dalla sindrome di Stendhal). Quest’anno si svolge nella surreale cornice del Parco Dora, uno spazio assurdo che ti ricorda Berlino e il post industrialismo. C’è una grande struttura di ferro rosso coperta in parte, con una grande passerella che la percorre tutta e tanto di orribile chiesa post moderna all’orizzonte. Quando oltrepassi uno strambo “monumento” sponsorizzato dalla DC (sì, non chiedetemi perché) ti trovi davanti a un muretto sezionato con i colori dell’arcobaleno, dove gli artisti si sono dati da fare. A dir poco da vedere dal vivo, in molti hanno semplicemente eseguito la loro tag o creato forme astratte ton sur ton dando vita a effetti evanescenti, contrasti, in una cornice fatta di enormi condomini e bambini che giocano a palla contro il muro. Chissà se si rendono conto che ci sono nomi internazionali su quei muri che prendono a pallonate. Ve ne dico giusto un paio: Truly Design, V3rb0, Arsek, Graphic Surgery, Zoer e Kofie.
Mentre terminiamo l’esplorazione, decidiamo di fermarci ad abbeverarci sotto l’enorme tendone di ferro, dato che sembra esserci una festa con tanto di ballerini in costumi peruviani. Decidiamo di inoltrarci tra il pubblico alla ricerca di una Coca Cola, e scopriamo che sì, è una festa e sì, è la festa dell’integrazione a cui partecipano varie associazioni provenienti dal Sudamerica. Temporeggiamo sorseggiando il drink e una signora in completo giallo, che farebbe rabbrividire Lana del Rey ma anche Mick Jagger da tanto è animale da palco, ci fa decidere che questo è un gran festone. Dopo i ballerini peruviani, quelli ecuadoriani, e una bambina che mi fa vergognare di non saper muovere i miei fianchi, siamo praticamente esaltatissimi. Ci sono pure due coppie di bambini argentini che ballano il tango, e votiamo anche i nostri preferiti. Non ho mai visto così tanta fierezza nello sguardo di una bimba di otto anni che agita una gonna.
A un certo punto il presentatore, che fino a quel momento ha sempre parlato in spagnolo senza che noi capissimo una fava, decide di fare un gioco per gli italiani presenti e di regalare dei churros al primo italiano che avrebbe correttamente indicato le capitali di Colombia, Ecuador e Venezuela. Mi guardo intorno e noto che siamo effettivamente gli unici italiani presenti, ed io VOGLIO quei churros.
Quindi da buoni italiani quali siamo, io ignorante in geografia e lui possessore di iPhone, freghiamo tutti e cerchiamo su Google. A mia discolpa posso confermare che Bogotà la sapevo senza cercarla, le altre manco a pagarmi. Dopo un battibecco con il mio amico su chi dovesse presentarsi a fare la marchetta, e praticamente obbligata da una signora sorridente, prendiamo coraggio, fermiamo il presentatore e, sperando non ci chiedano altre capitali, vinciamo i churros. E non solo, i signori sono così felici di averci con noi che ci offrono da bere e ci invitano a ballare quando parte la musica. Musica proposta da un favoloso gruppo in cui praticamente gli unici non in playback erano i due cantanti dalla rrrrrrrocambolesca r. Si, molto Speedy Gonzales). Offriamo un dolcetto alla sorridente signora e torniamo a goderci lo spettacolo di culoni e panzotte che si scuotono a ritmo di salsa.
Ormai ci vogliono tutti bene e allora perché non cenare? L’unico problema è che il mio amico è vegetariano, e come dice: “non esistono i vegetariani in Sudamerica, questi mettono la carne anche nei dolci”. Difatti il presentatore gli rifila una salsiccia, dopo che un simpatico signore si mette a ridere sentendo che lui non mangia animali. Ah, non ditelo a nessuno che s’è scofanato tutta la salsiccia, il mio amico vegetariano, ma d’altronde non poteva offendere i “padroni di casa”, no? (Un metro più in là comunque abbiamo trovato un piatto vegetariano, e ha mangiato pure quello). Il simpatico signore dello stand mi dice che per me c’è dell’ottimo pollo con patate. Quando arriva il piatto scopro che è “metà pollo”.
Ovviamente la mia peggior paura si avvera quando il suddetto presentatore ci domanda la capitale del Cile. Io sbianco e penso: ecco, la rivalsa alfine è giunta. Bella figura. Ma lui non si scompone e addirittura ce la indica sulla cartina. Quando mi rassegno a imparare la geografia, sognare polli volanti che mi perseguiteranno la notte, a imparare da una bambina di cinque anni come si seduce un uomo e dopo aver sentito la versione merengue di (in spagnolo ovviamente) giunge l’ora di andare a casa. Non prima di farci trattenere per provare la chicha morada, una bevanda a base di grano nero e frutta peruviana, e di promettere che torneremo per assaggiare le loro prelibatezze alla prossima festa che si terrà il 23 settembre, con tanto di proclamazione della reginetta della festa in costume locale (se abbiamo capito bene quel che han detto).
E magari noi ci torniamo, perché non ci siamo mai sentiti così ben voluti e ben accetti come in questa festa.
E magari terremo d’occhio anche il proseguimento di Picturin, perché è quello che ci ha fatto scoprire un mondo tutto nuovo.
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