Dacci oggi la nostra fame quotidiana
“Racconti poco illustri, già illustrati” è la rubrica che, partendo dalle illustrazioni di un artista inconsapevole, narra brevi racconti immaginari.
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Le case intrise di nebbia si perdono da qualche parte, tra il non detto e il non saputo. Allucinazioni indigene in cui camminare è pensiero, incrociarsi un affanno. Riverbero di una città sprofondata nelle cronache di quarant’anni fa; qualche osso spunta fuori dal suolo. Il fumo della sigaretta, il fumo della marmitta, il fumo della fabbrica, il fumo di gennaio, il fumo del camino, il fumo che compro, che creo, che vendo, il fumo che ignoro. Metto in bocca sostanze informi, eteree ma senza il fragore dell’aria, inermi anche loro. Lo spazio per chi non ha fame è ristretto. Come le domeniche dalla vecchia, cucchiai di cibo che non voglio, non chiedo, assediano la mia gola. La vecchia offre il pane, più ingoio mollica più insiste: “Prendi ancora, altro pane, insisto!” lei insiste. Il pane non manca, per chi non ha fame.
“Io voglio un hamburger di polistirolo” “Io un iPhone nuovo” “Hai visto in Giappone sta uscendo il nuovo annaffiatore per ombrelli secchi” “Oh! Ti prego, ti prego fermiamoci guarda che zoccoli meravigliosi in stracchino di bufala campana!” “Possiamo fermarci a prendere un gelato?” “Che bella la nuova pubblicità dei sacchetti profuma intimo!” “Per Natale mi prendi una sedia elettrica?” “Io per Pasqua voglio un tritone dorato con i sigilli di tutti i mari del mondo” “Domani è il mio onomastico, non ti dimenticare, hai preso quella crema per le emorroidi facciali che ti avevo chiesto? Mi serve per perdere peso!” “Se non compro quello sbiancatore nasale non farò mai sesso con nessuno…” “Secondo me quel cappottino starebbe benissimo a tutte noi!” “Ti prego, dai, un gelato al volo!” “Oh, un giradischi!”
Piano, piano piccole mie, non tirate.
Me la ricordo bene la vecchia, il suo terrore negli occhi mentre rifiutavo l’ennesimo tozzo di pane. Era come se mi implorasse di non farla scomparire. “Non farmi sparire” diceva. La sua vita dipendeva da quel gesto ricorrente, meccanico, compulsivo della proposta. Al contempo, intimamente legato alla mia potenziale ingordigia. “Non far sparire il pane” diceva. Rifiutarmi di mangiare avrebbe comportato, seduta stante, la chiusura di tutte le panetterie, un rogo violento nei campi di grano, la fine del pane stesso come idea e concetto. Me la ricordo bene, ricordo che, spaventata dalla mia fermezza, mi disse infine:
“Non c’è spazio a questa tavola per chi non ha fame, il suo destino è segnato: sarà cibo a sua volta, a sua volta scarto, pane per far digrignare i miei cani”.
Presi la mollica che aveva in mano e la mangiai.
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Se fossimo sinceri, non dovremmo pregare “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”, ma “Dacci oggi la nostra fame quotidiana”, come suona un aforisma molussico, affinché la fabbricazione del pane rimanga quotidianamente assicurata. Anche se la preghiera dovesse uscire ancora oggi dalle nostre bocche umane, in realtà a pregare sono i prodotti: “Dacci oggi i nostri mangiatori quotidiani…”.
Günther Anders
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L’artista inconsapevole è Virginia Mori.