Dear Photograph e l’arte della memoria amatoriale
Ho 26 anni e secondo i titoli di Repubblica.it e la biglietteria del Maxxi non sono più degno rappresentante della comunità dei giovani. Sono in quell’età per cui si è giovani solo negli sguardi dei 60enni che ti prendono ad esempio del periodo delle loro migliori esperienze sessuali. Non essere più giovani, per me, non significa forzosamente averla fatta finita con le droghe e con il vandalismo da provincia noiosa: è qualcosa di più complesso, è l’essere arrivati a determinate consapevolezze.
Ora, dal momento che non sono più giovane e che non sono nemmeno vecchio e che sono un neolaureato e che vivo in Italia al tempo delle crisi e dei tuttiacasa e dei ricominciamodaccapo e che siamo in un secolo tanto relativista da aver fatto dimettere un papa, ebbene dal momento che sono tutto ciò ho dovuto spesso avere a che fare con determinati argomenti: il tema della scelta, la necessità di fare qualcosa della mia vita, la responsabilità di me stesso che cadeva tutta sulle mie nonpiùgiovani spalle.
Questa cosa della possibilità di scegliere qualsiasi cosa, di scegliere di vivere qua o là e di essere questo o quest’altro cambiando tipo di pantaloni è un mito con cui gli attuali nonpiùgiovani hanno avuto spesso a che fare. Tutti quei discorsi sul fatto che il sogno è a portata di mano, sul fatto che bisogna farsi da sé, sul fatto che mostrando i capezzoli si possa cambiare la storia. Tutte queste cose sono roba degna di un vituperato programma di Maria de Filippi, e i programmi di Maria de Filippi sono programmi molto giovani: dunque non sono più roba per me. C’è un tizio che piace un sacco ai giovani che non lo capiscono, e che scrisse che la fede nella libertà del volere è un errore originario di ogni essere inorganico, che esiste sin da quando esistono in esso gli stimoli del pensiero logico (no, non è Maurizio Costanzo, n.d.r.).
Tutto questo per parlare di un progetto che si chiama Dear Photograph. Dear Photograph è una piattaforma che permette a chiunque di condividere scatti del proprio passato a loro volta fotografati negli stessi ambienti, tempo dopo. Sotto ogni scatto c’è una didascalia in cui l’autore si rivolge alla foto stessa, spiegandone il senso e il ruolo. Le foto, quelle foto cui le persone si rivolgono, sono perlopiù molto vecchie, amatoriali, quasi casuali. Quelle foto sono state fatte senza nessuno scopo particolare, senza nessuna scelta alla base che non fosse la semplice possibilità di poter fermare il tempo. Non sono frutto di una libertà estetica, ma di una necessità affettiva.
Ebbene, quelle foto entrano – grazie a Dear Photograph – in contatto con il presente. Le linee di spazi e tempi diversi vengono fatte combaciare, e in quel contatto esplode il percorso vitale della persona, la storia di una famiglia, la creazione di una biografia umana. Noi siamo il frutto di una storia, e quei ricordi, quelle foto sono la testimonianza della nostra essenza, la nostra origine. Fanculo scientology, fanculo gli alieni, essere nonpiùgiovani significa anche essere realisti. I mattoni che ci compongono non sono atomi, ma persone e cose e fatti.
Quelle foto raccontano ciò che noi siamo molto meglio di qualsiasi parola che potremmo scegliere. Credo sia per questo che la cosa migliore che si possa fare con qualcuno d’importante sia vedere le proprie foto d’infanzia, e che il modo migliore per scoprire se quel qualcuno importante lo è davvero sia capire se le apprezza oppure no (non tutti comprendono appieno questo metodo sperimentale, e i neo-sposi che comprano il proiettore per lunghe serate a raccontare agli amici gli splendidi luoghi del loro viaggio sul Mar Rosso lo dimostra).
Insomma, quello che voglio dire è che il fatto di poter scegliere la propria vita mi sembra una cazzata. La nostra vita ci precede, la nostra vita è sempre più passato che futuro. Accettare ciò che siamo ed accettare la nostra vita è il primo passo per riconoscere il nostro posto nel mondo. Quel tizio di prima dice anche che A prescinder da ogni teologia e da ogni confutazione di essa, è evidente che il mondo non è né buono né cattivo, e tanto meno il migliore o il peggiore, e che questi concetti di ‘buono’ e ‘cattivo’ hanno senso solo in rapporto agli uomini’. Esattamente come il concetto di scelta (che esiste solo dove ci sia un’alternativa). Esattamente come il fatto che una foto fotografata nel luogo della sua esecuzione possa raccontare qualcosa.
Per saperne di più:
dearphotograph.com