Domenico Romeo: la litania del segno
Segno, gesto, flusso.
Queste tre parole sulla homepage di Domenico Romeo racchiudono esattamente il senso della sua estetica e nel pronunciarle tutte e tre, consecutivamente, si ricrea davanti agli occhi la ripetizione di caratteri neri su fondo bianco che caratterizzano il suo linguaggio.
Si avverte un’energia che spinge verso l’alto, un esercizio ascetico che parte dai grafismi ripetuti e raggiunge un’ipnosi visiva che costruisce e svuota forme sempre diverse ma tutte figlie di una stessa matrice.
I muri di Domenico Romeo parlano di spiritualità, di contrapposizione di luce e buio, di una ricerca personale e intima che segue il ritmo di una danza. Un rito liberatorio, una formula magica, una litania estetica e mistica che parte dal segno.
La mia prima domanda è un po’ stupida ma anche un po’ dovuta. Tu non usi pseudonimi, come mai?
Quando ho pubblicato il mio primo progetto personale non avevo bisogno di trovare un nome che non fosse il mio, il mio nome sono io, mi rappresenta e non mi servono altri nomi. Non provenendo da un ambito di graffiti e tag non ho mai avuto l’esigenza di nascondere il mio vero nome.
Tra i tratti distintivi del tuo stile ci sono la calligrafia e la gestualità del segno. Da dove hanno origine questi due filoni?
Il mio lavoro si basa sul “conoscere le lettere” probabilmente perché la mia intera vita è stata segnata da esse. Fin da ragazzino mi sono ritrovato a disegnarle per striscioni, fanzine e per grafiche varie. Tra tutti i font che esploravo, quello che trovavo più stimolante era il gotico perché era molto elegante ma anche molto ricco. Quindi da subito i font gotici sono diventati pane per i miei denti al punto di ridisegnare la silhouette lettera per lettera. Successivamente, i miei studi da graphic designer hanno portato la mia conoscenza delle lettere ad uno stadio superiore, quasi scientifico. Facendomene apprezzare a pieno il valore progettuale e allo stesso tempo fornendomi gli strumenti per stravolgere del tutto la sacralità stessa della loro perfezione. Dunque quando ho dato vita a progetti artistici paralleli la cosa che mi è venuta più naturale è stata scomporre e ricomporre le lettere come se andassi a smontare di notte ciò che costruivo di giorno. Ho iniziato questo percorso calligrafico e gestuale per liberare me stesso e il mio corpo in questa sorta di danza dove il gesto ha fatto da driver in questo processo psicomotorio.
Una cosa che si percepisce in modo molto forte nel tuo lavoro è un richiamo al mondo del mistico. In particolare io ci vedo un legame molto stretto con il mondo religioso…
Assolutamente si. Per me la cosa più importante nella vita è elevarmi attraverso il mio studio personale, un’elevazione spirituale, che avviene attraverso la ricerca artistica. Di conseguenza questo tipo di argomenti rimandano sempre ad un universo religioso.
Su quest’aspetto della tua arte ha influito anche l’essere un “ragazzo del Sud” nato in Calabria?
Sicuramente, la mia famiglia è cristiano-cattolica praticante, io provengo da quel mondo e senza scendere in discorsi di dottrine o di pratiche religiose per me l’importante è cercare un’elevazione, che sia rivolgersi al concetto di “Dio”, di “Luce” o di “Sole”.
Ho avuto a che fare con la religione da sempre anche per dei fattori stilistici e l’essere stato a contatto con testi antichi probabilmente ha contribuito nello sviluppo del mio stile.
Il tuo lavoro di graphic designer cosa aggiunge e cosa toglie al tuo lavoro di artista?
Il mio lavoro di graphic designer in realtà non aggiunge né toglie alla mia ricerca artistica, anzi la completa. In quale modo?
Premesso che il graphic design per definizione risolve problemi di comunicazione, è dunque l’emisfero bianco del mio lavoro, la parte leggibile, chiara e semplice.
La mia ricerca artistica è l’esatto opposto. è qualcosa di strettamente personale, chiuso, illeggibile perché criptico. Da me per me. Quindi nero.
Come vedi dunque non c’è una cosa che prevale sull’altra. Senza l’una non ci può essere l’altra, c’è un bianco che convive con un nero e tale dualismo cromatico ritorna anche nelle mie opere.
Tu hai studiato e vissuto per molti anni a Roma e poi ti sei trasferito a Milano. Quali sono le differenze fondamentali tra queste due città viste attraverso i tuoi occhi?
Ritornando ad un discorso mistico Roma da sempre per me è “la città”. Roma è la luce, è stato il faro dei popoli per secoli. Però a livello pratico ci ho vissuto e ad un certo punto ho sentito il bisogno di spostarmi per la mia crescita personale e per ampliare il bagaglio delle mie esperienze.
Milano da un’ottica professionale, di ricerca e di esposizione verso circuiti internazionali è una città in cui mi sto trovando molto bene, cosa che sta avvenendo anche per quanto riguarda i rapporti umani con le persone che incontro e frequento.
L’opera perfetta. Se dovessi immaginarla dove e come sarebbe?
L’opera perfetta per me è l’opera che coglie perfettamente l’attimo in cui la si fa, che rappresenta quel momento e i sentimenti di quel momento, quindi non saprei dire dov’è, se è una superficie murale, una carta, una tela. Sicuramente è un’opera concepita in una fase di ricerca e maturità piena.
Se dovessi scegliere degli artisti con cui collaborare sempre rimanendo nel discorso dell’ “ideale” quali sarebbero?
Questa domanda mi mette un po’ in imbarazzo e un po’ in difficoltà… credo che la migliore collaborazione sia quella che nasce in maniera spontanea, magari preceduta da un’amicizia. Ma visto che almeno in questa sede si può sparare alto allora ti dico che avrei voluto “mettere al mondo il mondo” con Alighiero Boetti o sempre con lui aver progettato un arazzo a Kabul.
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