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Donato Maniello, artigiano digitale

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Donato Maniello è un’artista digitale o meglio, come lui stesso ama definirsi, un artigiano digitale. Tutti i suoi lavori sono frutto di esperimenti fotografici, in cui le varie tecniche si mescolano per dar vita ad un risultato conclusivo che ben si allontana dalla fotografia convenzionale. La città si arricchisce di “ectoplasmi” gialli e blu, i paesaggi si sovrappongono in più scatti per assomigliare ad un perfetto quadro figlio dell’impressionismo francese e la cupole delle più belle chiese italiane appaiono quasi come degli specchi d’acqua in cui un sasso gettato genera cerchi concentrici. La fotografia si trasforma, si modifica, diventando la base, la tela di una nuova creazione. Interessanti ed innovativi tutti i suoi progetti fotografici, che Donato con attenzione certosina ci descrive in una piovosa giornata di gennaio.

foto di Lia Zanda

Potresti parlarci dei tuoi lavori?

Lavoro molto su Napoli. Ho composto 6 serie fotografiche: “Liquidscape”, “Tube Station”, “Landscape”, “Urban levels”, “Versus Caelum” e “[de]compose”. “Liquidscape” è un progetto fotografico su varie città europee, pubblicato nel 2007, partendo proprio da Napoli. In realtà il 2007 è una data convenzionale, perché già lavoravo su questo progetto e quindi il 2007 è stato l’anno conclusivo in cui sono riuscito a mettere insieme tutto il mio lavoro. Sono raffigurate città quali Napoli, Basilea, Zurigo, Londra ed oltre alle foto sono compresi anche quattro video. In “Liquidscape” ho utilizzato una tecnica che io scherzosamente chiamo “blu-yellow photos liquid”, perché presentano questi colori che si adattano alle immagini.

Come realizzi queste foto?

Le foto sono realizzate partendo dallo stesso punto di vista e scattando foto in spazi temporali differenti. Ogni foto ha un suo nome. Sono molto legato a questo concetto, mi piace giocare con i nomi, come in “Lux”, in cui le figure convergono verso un punto centrale, una luce. Io lavoro quasi esclusivamente su prospettive centrali. Il giallo e il blu sono un pretesto per differenziare ciò che viene prima dal dopo. È un modo funzionale ed i tempi di esposizione con cui lavoro sono molto lunghi. Questo progetto è stato fatto su città notturne, è una cosa che io amo, perché durante la notte la città cambia molto e se fosse di giorno, io non avrei la possibilità di utilizzare questa tecnica. Io elaboro le foto in modo tale da far sovrapporre più di uno scatto sulla fotografia, facendo dialogare più elementi temporali su uno stesso scatto.

foto di Lia Zanda

Perché hai scelto il giallo e il blu nelle tue foto?

La scelta dei colori è stata del tutto casuale. Andavano bene, mi piacevano come apparivano soprattutto nelle foto notturne. Mi avevano anche proposto di utilizzare altri colori, ma il risultato era differente. Un giorno mi ha contattato l’ENI per occuparmi della loro campagna pubblicitaria, progetto che non è andato in porto per varie questioni. Loro mi chiesero di utilizzare il rosso e il giallo, i colori dell’azienda, che tra l’altro sulle foto non erano belli da vedere e l’inquietudine che gli altri colori evidenziavano non era più presente.

Perché definisci le tue foto inquietanti?

I contorni delle immagini non sono mai evidenziati e questa tecnica nasce anche in funzione di una teoria a me molto cara, filosofica ed aristotelica della metempsicosi. Inquietudine, non ti so dire perché la utilizzo nella mia fotografia, però mi ha sempre attratto. Non riesco a darti una spiegazione razionale, è una cosa per la quale mi sento molto empatico. Ad esempio nella raccolta “Liquidscape”, c’è una foto dal titolo “Merry go around” che ritrae una giostra di Napoli. Era una giostra che girava sempre senza bambini, tanto che per scattarle una foto in movimento ho dovuto pagare due volte il biglietto. Da questa giostra ho anche estrapolato un video, inserendo delle risa di bambini un po’ angoscianti.

Che tipo di macchina fotografica utilizzi per queste foto?

La maggior parte di queste foto sono fatte con una semplice macchina fotografica compatta, digitale. Sono passato alla Reflex solo nel 2008.

Ho notato che alcuni personaggi non sono colorati con il giallo e il blu, come mai?

Non c’è un vero motivo, mi piace però che queste figure diventino un punto di attrazione per gli spettatori.

foto di Lia Zanda

Nonostante una laurea in Architettura, hai scelto la fotografia come tua professione. Quando hai cominciato a fotografare?

Ho cominciato a fotografare grazie ad una macchina fotografica che mi fu regalata per la mia laurea nel 2004, anche se già lavoravo da tempo sull’immagine. Era una Fujifilm F700 Finepix, che all’epoca era una delle macchine fotografiche compatte migliori ed i primi scatti di questi miei progetti li ho fatti con questa. Ho iniziato però a fare soprattutto fotografia in 3D, lavoro che poi è confluito nella mostra “Spirito e Spiriti di Napoli”, che gioca sul concetto dello Spirito come essenza della città. In queste foto non c’è presenza umana. Certamente non sono un fotografo purista. Io intendo la fotografia come immagine, non sono vicino a coloro che intendono la fotografia come un modo di riprendere la realtà. Amo definirmi “artigiano digitale”, perché come un artigiano classico lavoro con vari mezzi sull’immagine.

In realtà sei uno sperimentalista, puoi spiegarci che tecnica invece hai utilizzato nel lavoro “Urban Levels”? Qui le foto ricordano molto i quadri degli artisti impressionisti.

In questa serie fotografica ho giocato su un aspetto che era quello di cercare di trovare su google la stessa immagine. Ho inserito nel motore di ricerca la parola Colosseo, ho fatto partire la ricerca ed ho scaricato quante immagini più potevo dello stesso soggetto. La foto del Colosseo non è stata fatta materialmente da me. Il risultato è un’immagine che somiglia ad un ritratto, dove circa 80 fotografie del monumento sono state sovrapposte variando l’opacità. Tutte queste tecniche derivano dalla mia voglia di sperimentare. All’inizio questa foto era così sbiadita che mi sembrava un paesaggio di Turner, poi ho deciso di inserire una linea verticale per dividere gli elementi architettonici.

Inoltre sei anche pittore, un’artista poliedrico insomma?

Provengo da una famiglia di artisti. Mio padre è un pittore, per questo ho sempre respirato l’arte a casa mia, ma mai nessuno aveva fatto fotografia. Volevo iscrivermi all’Accademia delle Belle Arti, ma poi i miei genitori mi dissero di intraprendere gli studi di Architettura, così avrei avuto più sbocchi professionali. Un altro mio interesse era ed è la Filosofia e l’Astronomia.

foto di Lia Zanda

In Italia si può vivere di fotografia?

Io credo che la cosa migliore sia sempre credere in ciò che si fa. Io non vivo di fotografia, però sono riuscito a trovare un campo che non mi allontana da questa mia passione, come la grafica. Curo i siti web di artisti ed i miei, ho seguito un corso di mostre ed eventi d’arte a Venezia. Ho lavorato in studi di Architettura a Napoli, però era un lavoro che non mi piaceva.

L’ultimo tuo lavoro è invece [de]compose …

Questo lavoro nasce dall’interlacciato video. I video vengono realizzati sovrapponendo due tipi di informazioni. Ritorna il concetto temporale e ciò che mi piace di questo progetto è che non si sa se l’immagine si stia componendo o decomponendo.

Stai lavorando a qualche altro progetto?

Mi piacerebbe prendere alcune fotografie e mandarle via etere nello spazio. L’immagine viene scansionata e mandata come file audio. Una volta ricevuta, l’immagine risentirà di tutto il rumore atmosferico. Ho fatto già una prova. Nell’errore digitale si riesce ad essere creativo.

foto di Lia Zanda

Stefania Annese

scritto da

Questo è il suo articolo n°51

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