Due chiacchiere e una sciocchezza al bancone del DalVerme
Con alcuni personaggi che se vai lì trovi sicuramente.
Per chi si fosse perso l’antefatto: L’antefatto.
Cinque giorni dopo la chiusura avete incontrato il Presidente del V Municipio Giammarco Palmieri e l’assessore alla cultura Nunzia Castello, la quale, cito dal vostro comunicato ufficiale, “ha dichiarato che durante i 3 anni di assessorato, non è mai venuta a conoscenza di alcun fatto che potesse giustificare accuse di tale natura (riferendosi al dispositivo in cui si cita a causa della chiusura immediata del circolo l’articolo 100 del Tulps, che, ricordiamolo, associa il dalVerme ed i suoi soci ad attività criminose e delinquenziali), ed ha ribadito anzi di essere consapevole della altissima qualità delle proposte culturali avanzate in questi anni sia nelle sedi dell’associazione che in manifestazioni come Pigneto Spazio Aperto”. Entrambi si erano impegnati a sollecitare la Questura a fornirvi delle – dovute – spiegazioni entro il 17 maggio. Ci sono stati sviluppi?
Ndriu Marziano – Ci hanno detto che la Questura ancora non ha risposto. Sullo sfondo di questa cosa a noi resta esattamente quello che è il segno distintivo dell’azione politica di Giammarco Palmieri, cioè, aspettare e lasciar correre. Rispetto a quest’accusa infamante che infama innanzitutto il Municipio che ha più volte patrocinato le nostre iniziative culturali, speravamo si riuscisse ad ottenere una risposta più repentina.
Parlando dell’assessore alle politiche culturali Nunzia Castello, sono stupito di vedere che sui suoi volantini elettorali rivendica la seconda edizione di Pigneto Spazio Aperto quasi come fosse una sua iniziativa, si legge che occupando uno spazio che era lasciato al degrado con un’iniziativa dell’Estate Romana restituiva un parco all’uso di una cittadinanza che oramai l’aveva dato per spacciato.
C’è da dire una cosa fondamentale: Pigneto Spazio Aperto nasce l’anno prima e nell’anno prima aveva già effettivamente recuperato uno spazio che era ormai un campo abbandonato a ridosso del centro di Roma, nel primo settore di periferia oggetto della gentrificazione del Pigneto che tutti conosciamo, ma che nessuno al tempo conosceva. Un luogo in mano alla prostituzione, allo spaccio… un dormitorio. Un qualcosa che rendeva impossibile fruire del parco.
Pigneto Spazio Aperto nasce dal basso, nasce dall’iniziativa di alcuni circoli Arci del Pigneto: dalVerme, 30 formiche e Belleville, siamo incredibilmente riusciti nell’azzardo di realizzare un festival riconosciuto come una delle più innovative ed interessanti offerte dell’Estate Romana 2012 con una quantità di risorse veramente esigua. Comunque, ogni volta che qualcosa si manifesta in termini di suono trova dei comitati seppur piccoli di cittadini che sentono leso il loro diritto al silenzio. Nel corso della seconda edizione si è creata una forte opposizione di pochi cittadini molto determinati. Nunzia Castello, che adesso sta rivendicando Pigneto Spazio Aperto come una sua iniziativa, fu la promotrice di una memoria di giunta municipale che sottraeva il Parco del Torrione alla disponibilità del bando dell’Estate Romana. Questo è stato fatto appositamente per impedirne una terza edizione, senza neanche provare a cercare vie alternative che non privassero il Pigneto del suo pezzo di Estate Romana. Quell’estate il parco fu chiuso e reso inaccessibile per più di un mese.
Al contempo, abbiamo apprezzato un atto che, ache se secondo noi dovuto, non era scontato come la richiesta di spiegazioni da parte della Questura. Questa cosa però non cancella il fatto che il circolo dalVerme, come polo di promozione culturale, non ha avuto nessun supporto da parte dell’amministrazione. E aggiungerei che il fatto che ci sia un’attenzione così alta sul quadrante roma est dal punto di vista della ricerca artistica e della proposta culturale prodotta, è qualcosa che loro hanno ricevuto in dote da posti come il circolo dalVerme, il Fanfulla, il 30 Formiche, lo Sparwasser, dall’ Ex Snia, da posti come il Blutopia e di tutti i tantissimi altri laboratori creativi e sociali del quartiere. È in questi posti che si è dato un senso a questo settore di città. Loro l’hanno ricevuto in dote, ed è emblematico che citino di Pigneto Spazio Aperto sui volantini elettorali. Io vorrei che chi si troverà ad amministrare avesse finalmente la lucidità di scegliere tra gli operatori culturali i suoi assessori alla cultura, tra chi ogni giorno tra i mille ostacoli che si incontrano in Italia continua caparbiamente a promuovere la cultura e creare nuovi pubblici, ai soli che possano veramente mettersi al servizio di quel fermento creativo che attraversa Roma e di cui solo la politica forse non si è accorta.
Il dalVerme in sette anni di attività, parallelamente a tutti i riconoscimenti, ha ricevuto anche centinaia di controlli sollecitati da parte di chi si lamentava per il rumore e che non hanno prodoto praticamente nulla dal punto di vista giudiziario. Vorrei ricordare che la democrazia si fonda sulla separazione tra i poteri. Il potere politico amministra e gestisce i processi, il potere poliziesco reprime su mandato del giudiziario, il potere giudiziario decide chi ha torto e chi ha ragione. Noi stiamo subendo un abuso perché dopo sette anni di controlli negativi riceviamo un dispositivo di polizia che è stato sollecitato probabilmente da una politica che decide di sostituirsi al potere giudiziario, producendo degli effetti aberranti. E’ la stessa cosa che stiamo vedendo in cose ben più gravi come la repressione subita da tanti spazi sociali, spazi che suppliscono a bisogni primari di affermazione di una controcultura e di visioni diverse, ma anche bisogni ben più fondamentali come il diritto all’abitare, all’assistenza ai malati di SLA, una palestra popolare, solo per fare alcuni esempi. Quando si arriva al dalVerme si arriva al ridicolo ma stiamo parlando della stessa cosa, partendo dalla delibera 140 che prova a cancellare esperienze più che decennali, che hanno contribuito in molteplici maniere a far sì che Roma fosse una città più vivibile e meno ingiusta, senza nemmeno entrare nel merito, parlando solo di affitti in nome di un’idea di legalità che trovo abbastanza ignorante e non condivisibile per arrivare al quadro di una città che tra crisi economica e amministrazioni inadeguate si vede ogni giorno meno vitale, più grigia, nevrotica ed incattivita.
La vicenda del dalVerme è il tassello di un puzzle più ampio e parimenti grottesco che raffigura una colata nera di sgomberi, minacce e chiusure, a picco sulla testa di esseri mitologici come l’Esc, l’Init, la Palestra Popolare di San Lorenzo, l’Angelo Mai, il Teatro Valle, il Cinema L’Aquila, il Cinema America, il Volturno, Auro e Marco a Spinaceto, La Torre, Astra, Il Grande Cocomero… Cosa sta succedendo a Roma?
Marco Bonini – Allora, a titolo personale debbo dire che credo che ogni storia sia un pó a sé stante, di molti luoghi citati non conosco neanche bene le faccende, diciamo che le ragioni sono complesse e molteplici e noto con rammarico che molta stampa sta facendo un po’ di confusione. Diciamo che nessuno di noi può avere la prova che ci sia un disegno “generale” dietro a tutto questo, e molti luoghi hanno delle storie mooolto diverse da quelle del dalVerme Circolo che per vicinanza e frequentazione conosco meglio. Sicuramente peró si possono tirare le somme, l’effetto di qualcosa che magari non è neanche così controllato da chissà quali piani superiori è devastante e desolante. Personalmente ho più la sensazione di una città (senza sindaco ormai da tanti mesi) in mano alle procure e ai prefetti, commissari speciali e assessori burocrati, che si muovono alla cieca in un marasma incontrollabile fatto di denunce, esposti e quant’altro, entità che per propria indole e posizione forse non hanno proprio un senso “civico” della cultura, parlo di quella cultura che è resistenza, fatta di sforzi quotidiani per esistere e non affogare, dello sbattimento di centinaia di persone che fanno tutto da soli, dal basso e non della cultura fatta dai red carpet della festa della fiction di Veltroniana memoria. Ecco, credo che questa storia della cultura non abbia niente a che fare con la legalità, il che non vuol dire che i posti che sono stati chiusi abbiano commesso illeciti, le accuse mosse al dalVerme Circolo sono ridicole… prostituzione… narcotraffico… Stiamo parlando di un luogo aperto 3-4 sere alla settimana, con una capienza massima di 60 persone… solo nelle serate più intense. Non per sminuire, per tanta gente di Roma il Verme è un luogo di culto, dove si fanno incontri e ci si scambiano idee. Io personalmente gli individui pericolosi (a detta dell’articolo usato per ottenere la chiusura) che ho incontrato al Verme sono in ordine un libraio che si occupa di testi antichi, un illustratore quotatissimo, un dottorando in filosofia che partecipa a convegni internazionali, svariati musicisti anche plurisettantenni provenienti da tutto il mondo, speaker radiofonici, giornalisti musicali da tutte le testate, questa la gente che prima incontravo lì per caso e adesso debbo sperare di incontrarli per strada. Per tornare al clima generale, ci sono le elezioni, sembra quasi che qualcuno si stia preparando a farsi bello per i nuovi arrivati. Con questa nuova parola d’ordine della legalità, si badi bene ho detto “sembra” perché nessuno di noi ha la percezione di cosa realmente stia accadendo per caso o per volontà. Certo, la coincidenza con le elezioni è sospettosa, ma la politica ha da “sempre” le proprie responsabilità, non basta questo ultimo anno per tirare le somme, responsabilità ambivalente e ambigua quando si tratta di veri e propri “feudi” che quando sfuggono al controllo (leggi protezione) del bureau politico diventano luoghi forse troppo indipendenti e incontrollabili per essere usati come merce di scambio dai piani superiori.
Qualunque sia la motivazione dietro ciascuno sgombero o serranda abbassata, c’è questa immagine che ho in mente di fuochi sparsi sul territorio urbano che si spengono piano piano. Fuochi che, partendo da contesti, premesse, necessità diverse – culturali, sociali, abitative – costruiscono, nel tempo e col sudore, delle possibilità dove prima era il vuoto. Penso al Parco del Torrione riportato in vita grazie a un festival estivo di culture indipendenti, a una palestra dove lo sport è a prezzi accessibili per tutti, a luoghi dove i ragazzi autistici o con problemi psichiatrici possono incontrarsi e trovare sostegno. Al di là della fetta di città direttamente interessata a mantenere questi posti attivi, per quale motivo l’altra fetta, che in genere è ostile o noncurante, dovrebbe invece avere cura di proteggerli?
Ilaria Doimo – Eh, mi domando talvolta “perché c’è una fetta di cittadinanza ostile?”. Che ci siano persone noncuranti è una sorta di zaino che bisogna accettare di portarsi sempre sulle spalle lungo qualsiasi cammino, la storia dell’uomo ce lo insegna. Ma perchè essere ostili? Jung in un intervista del 1933 a Radio Berlino spiegava come nei momenti di instabilità e mutamento è logico che siano i “giovani” a portare avanti delle battaglie, perchè sono loro che hanno le energie, l’audacia e l’entusiasmo. Questo perché è il loro futuro che è in gioco, è il loro azzardo. E’ dunque abbastanza logico che i più anziani magari non partecipino a queste battaglie, ma la storia dovrebbe aver loro insegnato che è necessario assecondare questo inevitabile corso degli eventi. Per questo faccio fatica a capire non tanto chi non partecipa, ma chi ostacola. Le realtà che hai nominato hanno un’utilità vitale su almeno due livelli, volendo semplificare al massimo. Voglio prendere ad esempio realtà che conosco personalmente per evitare di alimentare questo fiume di parole e populismi che sta strabordando in questi giorni. Prendiamo il Parco del Torrione che hai nominato. Tre Circoli Arci del Pigneto hanno voluto fare una scommessa, portare L’Estate Romana in un quartiere che nelle sere d’estate è riempito solo da bottiglie di peroni ai bordi dei marciapiedi. Hanno rilanciato la scommessa: c’è un parco nel cuore del nostro quartiere, incorniciato da una delle tombe circolari più antiche d’Europa, che è seppellito tra la Tangenziale Est, la Prenestina, il buio e lo spaccio. A questa manciata di ragazzi viene affidata la gestione del parco, si tirano su le maniche e puliscono il parco da ogni singola siringa e carta buttata per terra; io c’ero e vi posso assicurare che ci sono scese delle lacrime durante queste notti. Questa manciata di ragazzi non si accontenta di prendere il parco e fare il loro festival, mantiene aperto il parco tutto il giorno, mantiene l’ingresso gratuito fino a sera per i vicini, facendo terminare i concerti entra la mezzanotte e costituisce un comitato per la gestione del parco di modo che finito il festival il parco si auto gestisca e possa rimanere aperto a tutti. La storia finisce quando al secondo anno il Municipio toglie il parco dall’Estate Romana e lo richiude con le catene, facendosi portavoce di un malcontento manifestato dalla parrocchia che si trova al di là di Prenestina e Tangenziale. Per altri due anni il parco è rimasto chiuso.
Un altro esempio che mi turba molto è quello del Baobab. Un’ associazione mette in piedi una vera e propria fabbrica di energie autogestita ed indipendente, che coinvolge attivamente la cittadinanza romana (cosa che già di per sè ha dell’incredibile), a far fronte ad un’ emergenza impellente. Possiamo dire che la città di Roma si trova un grande regalo tra le mani: qualcuno investendo risorse ed energie proprie riempie un buco che la cosa pubblica non riusciva a fare. Questo è il primo livello di utilità strategica che hanno questo tipo di realtà! Tutti si lamentano della politica, della corruzione, delle solite facce, dei favoritismi, delle miopie e delle caste. Io vedo nelle associazioni e nei movimenti sopracitati una possibile soluzione, certo parziale, a questi malcontenti. Queste realtà possono essere slegate dalla politica e dalla miopia della dimensione temporale della politica odierna, delle idee e delle azioni che durano quanto un mandato, riuscendo a portare avanti idee e pianificazioni di lungo periodo. Queste realtà rispondono generalmente a istanze che vengono dal basso, rispondono a bisogni irrisolti e impiegano le loro risorse per colmare questi vuoti. La forza motrice è il bisogno, l’entusiasmo, la voglia di creare qualcosa e la voglia di aggregare persone ed energie. Il secondo livello di utilità è più terra terra se vogliamo. Penso ai vicini che si lamentano dei rumori e porto anche qui un esempio che conosco. Prendiamo il dalVerme che sta in una parte residenziale del quartiere, tra il Pigneto della zona pedonale e Torpignattara. E’ una zona buia dove di notte non c’è quasi null’altro di aperto nei dintorni. A dalVerme in sette anni non è mai successo che due persone si spintonassero dentro o fori il locale, attrae diciamo un tipo di clientela molto sobria ed educata. Io sono una ragazza che abita a cinque minuti circa a piedi da lì, ma sfortunatamente abito vicino ad una grossa strada dove i posti aperti di notte sono covo degli ultimi della società. Per tonare a casa dopo un concerto di musica jazz, noise, punk, sono stata inseguita, molestata verbalmente, mi sono dovuta nascondere tra le macchine in attesa che risse sulla porta di casa finissero, non vi dico quante volte. Ecco, caro vicino che ti lamenti delle vibrazioni dei concerti, io ti dico che pagherei per avere sotto casa un luogo che mantiene un piccolo faro di sicurezza e legalità; caro vicino, pensa a tua figlia che può rientrare da sola a casa senza la preoccupazione di trovare uno che piscia sulla sua porta di casa o uno che cerca di convincere l’amico ad accoltellare quel tipo che ha rivolto la parola alla sua fidanzata. Lo stesso penso per il Pigneto quando hanno chiuso il Cinema L’Aquila: oltre ad aver chiuso un luogo di importanza culturale critica per il quartiere, hanno cancellato un luogo strategico per la sicurezza e la legalità. Sfido chiunque a passeggiare tra via L’Aquila e via Macerata di sera. Ed ecco che il secondo livello di importanza strategica è dato.
C’era una volta un architetto francese che, a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70, andava raccontando questa storiella del “diritto alla città”: la possibilità, per tutti, di fruire dei beni costituiti dall’organizzazione urbana del territorio e di partecipare alla costruzione/trasformazione della città, in barba a una comunicazione a senso unico, dall’alto in basso, delle scelte già compiute da chi governa. I soggetti che per primi rivendicano questo diritto sono gli stessi che subiscono puntualmente minacce di chiusura e sgombero.
Francesco D’Achille – «Les tracés d ’Haussmann étaient tout à fait arbitraires; ils n’ étaient pas des conclusions rigoureuses de l’urbanisme. C’ était des mesures d’ ordre financier et militaire». Le Corbusier, Urbanisme, Paris,1925, Walter Benjamin, I «passages» di Parigi.
Con la chiusura del 6 maggio è emersa appieno la vitalità della rete culturale e musicale indipendente romana di cui il dalVerme è parte integrante. Da una parte la solidarietà di avventori e artisti, chi vi ha seguito davanti al Municipio V, chi ha contribuito mandando email per la “Riapertura immediata del dalVerme” o donazioni, chi ha realizzato la serie di ritratti con le magliette #riapriamoildalverme, il video dei The Pills, il secret show di Calcutta. Dall’altra, il supporto di locali come il Fanfulla, il Trenta Formiche, il MONK, che vi ha permesso di portare avanti la programmazione prevista per questo mese. La rete esiste e resiste nonostante le tantissime difficoltà (cit. vedi sotto).
Toni Cutrone – Il DalVerme fa parte di una rete del tutto DIY, creata dal basso da persone che cercano di animare culturalmente gli spazi e le città che vivono: organizzatori di concerti, mostre, teatro, cinema indipendente, produttori, etichette indipendenti, studi di registrazione e di grafica… E via dicendo. Una rete fatta di persone che combattono per questo e spesso lo fanno senza nessun tornaconto economico, esclusivamente perché “va fatto” e serve qualcuno che lo faccia. La chiusura del DalVerme ha palesato questa unione, che non è solo localizzata in città, ma si dirama in Italia e all’estero. Da una parte la disponibilità di spazi amici ad ospitarci in città (siamo riusciti a tenere quasi tutta la programmazione di maggio nonostante la chiusura!), dall’altra eventi paralleli in altre città, foto di Band che hanno suonato da noi, magliette e foglietti di #riapriamoildalverme, etichette e gruppi che hanno messo la loro discografia in vendita per il DalVerme… Insomma, tante diverse manifestazioni di solidarietà: ma non un semplice supporto! Un modo per dire che il DalVerme è necessario a Roma e non solo… Un modo per dire che bisogna tenerlo aperto e vivo!
La rete non è solo locale. A Milano, lo scorso sabato, è stata organizzata una serata a sostegno del circolo alla Cascina Autogestita Torchiera in cui hai suonato anche tu come Tab_ularasa e di cui hai curato il manifesto. Raccontaci la storia di Tanzini e il dalVerme, qual è il collegamento?
Luca Tanzini – Il collegamento è molto semplice, io quando ha iniziato il dalVerme ero li. Vivevo e suonavo nel quartiere balzato da anni all’attenzione dei blog e delle riviste patinate che scrivono cose a caso senza sapere assolutamente nulla della sua storia e di cosa fosse 6 o 7 anni fa. C’era il Fanfulla 101 e c’era il dalVerme. La gente che suonava, disegnava, scolpiva, viveva là dentro. Senza il dalVerme e il Fanfulla non ci sarebbero stati tutti quei dischi che sono usciti. Molti gruppi italiani e stranieri non avrebbero mai avuto la possibilità di suonare a Roma. Posti istituzionali del genere in Italia sono praticamente assenti o in mano a gestioni di altre epoche storiche. Abbiamo suonato coi Duodenum al secondo compleanno del locale e tantissime altre volte con gruppi e progetti diversi. Ci ho registrato dischi, organizzato serate, fatto mostre ma soprattutto conosciuto persone con cui sono nati progetti, collaborazioni musicali e amicizie che mi mantengono tutt’ora legato con quei luoghi. I ragazzi di Milano hanno avuto questa bella idea del benefit, mi hanno scritto per suonare e io ho detto sì senza pensarci un attimo. Ho sempre supportato posti come il dalVerme e molti altri che ce ne sono in Italia, così come loro hanno fatto con me. La rete della musica e cultura indipendente in Italia esiste e resiste nonostante le tantissime difficoltà.
Hanno organizzato, sostenuto e spinto la serata per il Dal Verme: TRoK!, Ca’ Blasé, Piattaforma Fantastica, SOTTO La Sacrestia, La Società Psychedelica, Standards, Legno, Holidays Records, Wallace Records, Plunge, Bubca Records, O’, URSSS.com, Die Schachtel, SoundOhm, Vida Loca Records, Neonparalleli, Lepers Produtcions, Megaplomb, S / V / N / Savana… Cosa vi lega a quel covo di criminali e com’è al momento la situazione a Milano rispetto a sgomberi e chiusure?
Cauz. (TRoK!) – Cosa ci lega tra noi è la comunanza di intenti. Tutti ci muoviamo a vario titolo nel mondo del DIY musicale da diverso tempo, chi più e chi meno tempo a seconda dell’età :) , ognuno con caratteristiche diverse. In fondo è un mondo “piccolo” (virgolette obbligatorie), specie in una città grande e piena di “offerte di intrattenimento”, il che rende inevitabile conoscerci quasi tutti. Diciamo in definitiva che siamo amici. Il discorso vale su Milano (e ne parliamo dopo) ma si può estendere anche su tutta Italia, e questo ci lega ai criminali del Dal Verme e al loro covo. Dal Dal Verme ci siamo passati tutti, così come i vari elementi dela cosca criminale sono passati più o meno tutti dalle nostre parti, in fondo facciamo le stesse cose a latitudini diverse. Personalmente, ho avuto la sfortuna di conoscere gli Hiroshima Rocks Around dieci anni fa quando organizzai una loro data in Torchiera a Milano e abbiamo scoperto immediatamemente di essere della stessa specie di inguaribili cazzoni, motivo per cui negli anni i contatti si sono fatti frequenti, le date dei vari progetti hanno sempre trovato casa qui e io ho sempre trovato un bancone accogliente al Dal Verme in ogni mia discesa romana. Il discorso credo sia molto simile per quasi tutti gli altri partecipanti a questa serata (che siano organizzatori o musicisti), ma a prescindere dall’amicizia è evidente che tutti siamo stati toccati da un attacco del genere, perchè la distanza conta poco, quello che pesa è il fatto che a venire colpito sia chi si sbatte per la musica in Italia, proprio come facciamo noi.
Riguardo alla situazione a Milano, la domanda è ovviamente complicata e aperta a cento risposte differenti.
Tralasciando i problemi “congeniti” alla città (che dovrebbero però essere il punto di partenza, parlando di economia, moda, eventi, ecc…) quello che posso osservare io -parere del tutto personale- è che Milano sta uscendo da un terribile “anno zero” in occasione di Expo2015. L’economia del grande evento ha portato forzatamente ad un azzeramento delle iniziative “controculturali” in città, perchè troppo forte era il rischio di “rovinare la festa”. Da questo punto di vista, la motosega degli sgomberi e delle chiusure è passata con particolare forza negli anni passati, mentre ora la situazione sembra un po’ più tranquilla, ma c’è poco da coltivare grandi speranze. Nel frattempo l’uomo immagine della repressione culturale milanese, l’ex prefetto Tronca, si è trasferito a Roma e siamo qui ad affrontarne le conseguenze. Il problema in fondo è a livello nazionale, finchè la gestione delle iniziative culturali è affidata ad uno strumento di controllo come il TULPS, è probabile che situazioni come queste le dovremo affrontare ciclicamente, a prescindere dal luogo e dai protagonisti. Di covi e di criminali è pieno il mondo.
A proposito di Milano. Appena arrivata hai sentito molto la mancanza di posti come il dalVerme e il Fanfulla, che a Roma ti hanno fatto un po’ da casa. Cosa pensi ti sia mancato di più di quei posti? Soprattutto, ora che sei a Milano da mesi, quella cosa ti manca ancora?
Yulia Kachan – Anche se sono passati parecchi mesi posso dire che un posto come quello qui io non l’ho trovato. Mi manca perché lì ci vanno quelli come te, locale dove tu puoi andare in qualsiasi giorno, non solo per il concerto, ma anche per fare due chiacchiere con i ragazzi che ci lavorano, quali sono diventati i miei amici, oppure dove incontri sempre qualcuno che è passato a bere una sciocchezza. E non parliamo della programmazione musicale, quale mi ha fatto scoprire un sacco di gruppi e generi. Le feste, festival, concerti, le proiezioni, un posto come quello è l’unico. Per me fa la parte del mio triangolo delle bermuda (Hop Corner, dalVerme, Fanfulla) lo chiamo così perché 80% del mio tempo libero sono in uno di questi locali, è la mia casa.
Fatece rientra’ a casa.