Ecco cos’è il Bunker
Un anno fa Torino ha vissuto la sua prima botta di vita estiva con la Fabbrica, in via Foggia 28. Il concetto di questa Fabbrica era quello di prendere uno spazio inutilizzato e reinventarlo, sfruttandolo al meglio prima dello smantellamento. Street artist da tutta Italia si riunivano a dipingere un pezzo di questi muri entro la fine di luglio, la gente accorreva per vedere cosa c’era di nuovo e intorno a questo non luogo si creava un vero e proprio locale frequentatissimo (per la grande gioia del vicinato).
Fabbrica era un piccolo paese delle meraviglie. Urbe, l’associazione che ci ha regalato questo piccolo sogno di mezz’estate, ha riproposto l’idea del “contenitore di cultura” l’inverno scorso con Cantiere 25, che per un mese ha gestito una svariatissima programmazione che spaziava da musica a workshop di scrittura all’interno dello spazio di un locale che stava cambiando gestione.
Arriviamo ora al Bunker. A distanza di un anno, Urbe ripropone una piccola “fabbrica due la vendetta”, spostandoci verso una delle zone calde della città, Barriera di Milano dove, in effetti, non è che ci sia molto da fare, anzi, di norma non è proprio frequentata: nessun locale, nessuno spazio attivo. Il concetto di Urbe è sempre stato e sarà sempre quello di riorganizzare spazi e creare contenuti in fìeri, quindi anche quest’area è stata presa e adattata alle esigenze: hanno preso un ex stabilimento in disuso dal 2007 e l’hanno messo a disposizione del quartiere e del pubblico. C’è un palco, un bar (progettato da Menodesign) e, giustamente, tanti muri su cui dipingere.
Chi è stato alla serata inaugurale a luglio però è tornato con le pive nel sacco: ancora non c’era nessun dipinto. Soltanto da fine agosto, infatti, è iniziata la Sub Urb Art 2, la seconda edizione della mostra di street art che ha avuto origine proprio in via Foggia 28, ma stavolta con uno sguardo rivolto anche fuori dallo stivale. Troverete un occhio gigante di Gola, Kenor e H101 (da Barcellona) a fare da sfondo alla consolle dei dj, Andreco, Nespoon (polacca, ha reso un muro un grande ricamo, penso una delle opere che mi ha colpito maggiormente insieme a quella di Gola, ecc.), Mattia Lullini, Ak, Phlegm, penso di essermi persa molte parti nascoste dal buio della notte e quindi mi scuso se non nomino o non ho trovato alcuni artisti.
Facilmente raggiungibile anche in bicicletta nonostante sia “lontano dal centro”, una volta passato tra i rovi del parchetto antistante ti trovi di fronte a questa grande costruzione con due ingressi: da un lato un cortile, dove si svolgono i live e all’opposto un altro cortile con zona chill (amache, sedie e un fantastico carrello della spesa trasformato in divano vagante) e capannone con il bar (ci sono anche i gelati!). L’ambiente e molto più strutturato rispetto all’anno scorso, dove tutto è accaduto ed è stato vissuto in divenire.
Forse proprio qui sta la grande differenza con la Fabbrica, differenza che tutti sentono e di cui tutti parlano una volta provato il Bunker: un anno fa ciò che spingeva le persone era il gusto per la novità, per la brevità del progetto, c’era la voglia di esserci per poter dire “ci sono stato anch’io prima che l’abbattessero” e la spontaneità con cui tutto si è evoluto ed è cresciuto è stata quasi disarmante. Per la prima volta ho sentito muoversi un reale interesse nel mantenere un luogo il più a lungo possibile perché si stava creando qualcosa di bello, quante volte ho sentito dire “vorrei che non la buttassero giù, è splendida” e alla fine di luglio non c’era nemmeno un centimetro vuoto. Il soffitto stesso era stato dipinto, il muro della casa di fronte ospitava una proiezione, era spuntata addirittura una piscina gonfiabile.
Com’è logico che sia, quest’anno c’è stato un miglioramento progettuale: c’è una struttura ben definita, una programmazione da seguire, funziona tutto secondo le classiche regole di un locale e va bene così, è la conseguenza della portata di un anno di aspettative che forse si sono rivelate troppo alte per alcuni che speravano di ritrovare esattamente lo stesso tipo di luogo e di provare lo stesso stupore. Purtroppo queste esperienze si vivono una volta sola, e non buttiamoci subito in discorsi tipo “ecco, ora ogni anno ci sarà una fabbrica nuova” con il rischio di far entrare un bellissimo progetto com’è quello di Urbe nel circolo vizioso dell’abitudine e della quotidianità. I metodi organizzativi cambiano, lo spirito invece necessita rimanere quello pronto a vivere ogni novità per quello che è senza continui paragoni con il passato.
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