Felice Varini è un genio
“Felice Varini è un genio” è quello che ho pensato quando ho visto per la prima volta una sua opera. Immagino tutti gli appassionati d’arte roteando gli occhi e pensando “c’è ancora gente che non lo conosce?”, ma purtroppo signori miei, io questo interessantissimo artista l’ho conosciuto solo pochi mesi orsono. Lo scorso autunno ad Artecinema, Festival Internazionale di Film sull’Arte Contemporanea, ho avuto modo di vedere un documentario dedicato all’artista in questione e sono rimasta a bocca aperta, perché con pochi ma miratissimi interventi di pittura riesce a creare qualcosa di spettacolare.
Nonostante il suo nome inganni, non è italiano ma svizzero e, in effetti, la nazionalità spiega un sacco di cose, o almeno spiega tanta proverbiale precisione, tipica di questo popolo. I suoi sono degli interventi pittorici di land art e nonostante non indossi una felpa con cappuccio e non si avvalga di bombolette spray, possiamo considerarli serenamente anche degli interventi di street art o di urban art, dipende dai punti di vista. Ed è proprio sui punti di vista che si basa il lavoro di Varini, infatti, le sue sono delle opere che esistono in funzione del punto dal quale vengono osservati.
Solitamente si tratta di creazioni geometriche che vanno da cerchi concentrici a immagini più complesse come scritte o scacchi. Guardando dal punto di osservazione ideale si può visualizzare una di queste forme, ma basta spostarsi di poco per perdere l’orientamento, in quanto l’immagine risulterà scomposta e indecifrabile. Le pitture in questione sono la realizzazione di interventi pittorici su pareti e superfici diverse, dove i molteplici segni convergono nella costruzione prospettica di una forma geometrica semplice che appare dal punto di partenza potenziale, al di fuori del quale la proverbiale precisione sopracitata diventa caos. Ma Felice Varini ci ragguaglia sulla sua visione e ci informa che, non di caos si tratta, bensì di libertà dello spettatore di scegliere cosa, come e dove guardare, ma soprattutto la possibilità di muoversi nello spazio dell’installazione.
Varini afferma che la tela è un universo troppo limitato, dove disegnare un cerchio, significa conservarne la piattezza, così per complicarsi la vita si è messo a disegnare semplici forme geometriche su muri, corridoi, stanze, skyline, edifici e addirittura su un intero paese, utilizzando esclusivamente colori primari.
Le sue possono essere definite opere anamorfiche (‘ana’ di nuovo, ’morfé’ forma) che si rifanno a un tipo di arte che distorce l’immagine della realtà attraverso una trasformazione proiettiva, tanto da renderla irriconoscibile. L’immagine può essere “formata di nuovo” osservandola da un determinato punto di vista o attraverso il riflesso in uno specchio con una particolare forma. Un avo di questa tecnica è il “San Francesco di Paola”, un affresco lungo circa sei metri, dipinto a Trinità dei Monti a Roma da Emmanuel Maignan nel 1642.
L’innovazione di Varini sta nell’applicare questa semplice tecnica a paesaggi molto estesi e soprattutto a molteplici superfici, permettendo allo spettatore di entrare nell’opera e stabilire un punto di vista sempre nuovo per poi avvalersi di quello prospettico, necessario alla visualizzazione dell’opera nella sua precisa costruzione. Oltre il punto di vista, l’interpretazione di queste opere richiede la messa a fuoco e l’inquadratura, che concorrono alla realizzazione dell’illusione ottica percependo delle immagini piatte come se fossero tridimensionali.
All’artista non importa che lo spettatore guardi l’opera dal punto di vista ideale e non si preoccupa del fatto che possa attraversare l’opera senza neanche notarla, perché questa esiste non solo come cerchio posizionato in un luogo e visibile da una certa angolazione, ma l’opera è anche il frammento del cerchio al di fuori di quella prospettiva. E’ interessante capire, infatti, come si può interagire con essa senza guardarla solo da un preciso punto.
La creazione di queste spesso titaniche installazioni, a parte l’aiuto della natura, richiede ovviamente la collaborazione di un team che lavora sotto la guida di Varini e che impiega circa una settimana per completarle.
Spero di riuscire presto a vedere dal vivo uno di questi capolavori e vi lascio sempre con la stessa raccomandazione, manco fossi vostra nonna, guardatevi intorno perché, non si sa mai, potreste finire in un’opera di Varini e neanche accorgervene.
Per chi volesse saperne di più: varini.org