Giappone: onigiri, games and rock’n’roll!
Il Giappone è un posto meravigliosamente assurdo. Non potrai mai lontanamente immaginare cosa ti può riservare Tokyo ascoltando i discorsi di chi ha viaggiato prima di te, questo perché tutto quello che ti capita è una continua sorpresa, che ti lascia a bocca aperta.
Il primo impatto che hai con i bagni, per esempio, quei luoghi magici automatizzati e talmente puliti che potresti dormire seduto sulla tavoletta del water. Ecco. Probabilmente tu lettore starai ridendo, ma quando, dopo il tuo viaggio a Tokyo, tornerai in Italia, in quelle latrine che la gente chiama bagni dei locali pubblici, piangerai di nostalgia. Se il livello di civiltà si misurasse dai bagni, noi saremmo nella merda. In tutti i sensi.
Tra tutte le sensazioni che puoi provare c’è il senso di pace che provi quando, tra i suoni, le luci e le folle delle vie dello shopping, giri l’angolo e ti ritrovi in una stradina silenziosa, tra caffè e parrucchieri che sembrano negozi di design. O l’impatto che provi all’ingresso dei templi, immersi in enormi parchi dove improvvisamente il rumore degli spot riprodotti sui maxischermi viene sostituito dal frastuono delle cicale (grandi come passerotti. Veramente, sono degli esseri infernali. Ora capisco perché i Power Rangers combattevano contro esseri insettivori: perché esistono per davvero). Anche solo il caos di una sala giochi è in grado di lasciarti senza fiato.
Oppure puoi rimanere interdetto in un sexy shop, dove tra travestimenti da liceale, completi maglioncini e mutande e costumi da bagno interi e vagine riprodotte in modo realistico, con tanto di utero e peli, la cosa più eccitante per noi occidentali è sentire dagli altoparlanti del locale il live dei Kraftwerk.
Puoi stupirti dell’ordine delle stazioni dei treni: tutti fanno la fila, e la rispettano. Ci sono file anche per le cose più assurde, come i pop-con caramellati e le granite. E rimani sicuramente sconvolto dal rispetto reciproco delle persone, dalla sensazione di sicurezza e protezione che ti permette di lasciare cellulare e borse tranquillamente su un tavolo mentre effettui un’ordinazione al bar, oppure di percorrere una strada buia e tempestosa, con il solo pensiero che spunti un demone o un fantasma, ma non di certo un rapinatore.
La lista sarebbe lunghissima, e non di certo esaustiva. In 24 ore puoi assistere a una cerimonia scintoista, vedere una boy band esibirsi in un centro commerciale, giocare a pachinko fumando in compagnia di business men e guardare le barche arcobaleno scintillare silenziose sulle acque del fiume.
Ma il vero motivo che mi ha spinto a Tokyo, oltre a tutto questo, oltre al vedere Godzilla e all’assaggiare onigiri (quelli che mangiava sempre Sailor Moon), è il poter assistere a una esibizione di rockabillers giapponesi.
Li ho scoperti vedendo un video dei Peter Bjorn and John, e mi sono ripromessa di andare a cercarli, non appena avessi avuto modo di andare al di là del mondo. Trovarli è piuttosto facile, se sai dove cercarli: si trovano ogni domenica pomeriggio al parco Yoyogi, alla fermata di Harajuku.
Dopo essere rimasta appostata due ore nello spiazzo che poteva essere quello giusto, sono arrivati due gruppi di signori di mezza età, pronti a sfidarsi ballando canzoni rockabilly giapponesi d’annata sparate da amplificatori portatili collegati con iPhone.
I primi ad esibirsi sono gli Strangers: tutti vestiti in jeans, tutti con il nome cucito sulle giacche. Sono in 8, e tra di loro c’è anche un ragazzino, probabilmente il nipote o il figlio di qualcuno della gang. Lo lasciano esibirsi per primo, accerchiandolo e ogni tanto ballando con lui, per insegnargli qualche mossa. Non puoi che provare subito un impeto di affetto e simpatia per loro, il signore con i capelli e i baffi bianchi, il duro con il gilet di jeans e la sua ragazza, mentre si impegnano nel fare air guitar. Ti rendi conto che per loro quello non è solo un appuntamento domenicale, è l’essenza della loro stessa esistenza. Non lo sai, ma lo senti, lo vedi nei loro gesti precisi e studiati, nelle loro mosse sincronizzate, nel loro stesso sguardo.
I miei preferiti però, devo ammetterlo, sono i Black Shadow. Quella domenica sono solo in quattro (apprendo più tardi da amici italiani che un’altra delegazione era a Odaiba a ballare, cacciata subito in malo modo dalla polizia), ma sono meravigliosi. Avvolti nei loro pantaloni in pelle, guardano con finto sprezzo gli Strangers esibirsi, mentre si pettinano e si avvolgono gli stivaletti con il nastro adesivo nero, per non farle consumare più di quanto già non lo siano. I capelli sono ingellati a forma di enormi banane perfette, che non esitano ad aggiustare con il pettine, anche durante le canzoni, se un ciuffo ribelle decide di staccarsi dall’impalcatura.
Mi vergogno a chiedere una foto, ma quando vedo il boss (per intenderci, quello più grosso di tutti spiaggiato su un seggiolino da campeggio intento a bere birra Asahi e mangiare un bendo) sciogliersi davanti a un bimbo in un passeggino e chiedere ai signori di fare una foto di gruppo con loro, prendo coraggio. E sì, ho realizzato il mio più grande sogno: poter avere uno scatto insieme a loro, i miei beniamini.
Ballano in modo strano, devo ammetterlo: coniugano twist e calci volanti, mosse di arti marziali e breakdance. E infine, ogni gang si esibisce con il proprio ballo di gruppo, praticamente la trasposizione ribelle dei loro balli tradizionale. Ordinati, in fila, ripetono la successione di passi per 4 minuti e concludono tra gli applausi dei presenti.
Ogni domenica, da più di 40 anni, ripetono lo stesso rituale, che ha l’impressione di avere lo stesso profondo significato delle cerimonie religiose che si svolgono al tempio poco più in là. Ogni domenica, noncuranti del meteo, dei passanti, dei fotografi, dei curiosi, i due gruppi si sfidano a colpi di rockabilly, dando sfogo al loro vero io che forse, il lunedì mattina, sarà costretto dentro una camicia bianca e un paio di pantaloni neri.
Il Giappone è un posto meravigliosamente assurdo, dicevo. Assurdo per la rigidità, che noi non possiamo immaginare, per la pressione sociale, per l’ossessione alla perfezione fino nel minimo dettaglio. Meraviglioso per la serietà con cui la parte più folle ed estrosa di se stessi viene presa in considerazione, esaltata ed esibita senza vergogna.
Dovremmo imparare tutti molto da questo popolo, anche a ballare il rock’n’roll.