Gli Anni di Annie Ernaux come una linea del tempo
Quella che si dispiega ne Gli Anni di Annie Ernaux più che una storia, potrebbe essere una linea del tempo, di quelle che ci facevano disegnare a scuola, per farci fissare le date più importanti nella memoria: 1968, 1970, 1989, 2000…
Ad ogni numero corrispondeva un’immagine, scelta per convenzione, collegata con una freccia, che trascinava un mondo con sé. Quella che viene narrata da Annie Ernaux non è un’autobiografia qualunque, ma è un perpetuo riandare con la mente, il corpo e, soprattutto il cuore, a degli eventi passati che hanno contribuito a far di lei la penna che scrive. Ci sono tutte le età della donna in questo libro, edito da L’Orma Editore, che si succedono a ritmo lento e cadenzato, quasi fossero passi ben calibrati di un valzer lento ed intensissimo.
Quello degli anni, appunto.
L’unicità di questo romanzo si gioca tutto nella scelta del soggetto. Si percepisce un io narrante, ma non è un protagonista univoco, bensì è mero portavoce, voce facente parte del coro, che da questi non si distacca, anzi, tende a volerne far parte. Il soggetto è il “si”; è un “si” impersonale che noi italiani usiamo poco, se non per vanagloria o per un formalismo forzato. In francese, invece, è molto frequente, se non addirittura scontato. L”on” – si – indica infatti appartenenza, familiarità e condivisione. Ed è su questo asse che si snodano le immagini evocate dall’autrice. Si tratta per lo più di fotografie, ricordi che, da vaghi e indefiniti, sembrano delinearsi progressivamente, come quando si cerca di unire i puntini de La Settimana Enigmistica, nella speranza che riemerga la figura perduta.
Oltre al soggetto quello che colpisce è la lingua tagliente, diretta e soppesata, che fa del vocabolario dell’Ernaux un esempio nuovo di narrativa. Con uno stile che ricalca l’arte di Daniel Spoerri dei tableaux pièges, pezzi di vita vissuta che l’artista sceglie di cristallizzare e trasformare in quadri, senza spostare nulla, l’autrice ci riserva una lingua dolce, ma al contempo cosciente e puntuale; le parole non sono soltanto un veicolo, ma sono il sintomo, di quella narrazione multiforme che è la vita: “(le parole) quelle imparate durante gli studi, che davano la sensazione di trionfare sulla complessità del mondo. Appena superato l’esame, sparivano dalla memoria più in fretta di come ci erano entrate”.
Attraverso fotografie e ricordi sparsi su un tavolo, parole e cose, Annie Ernaux riesce a far percepire al lettore lo scorrere del tempo in tutte quelle piccole conquiste che riguardano il nostro modo di vivere, che cambiano la nostra visione del mondo, in un tempo che va dal dopoguerra fino a i giorni nostri. Al contempo, l’autrice riesce ad inscrivere l’esistenza in un modo tutto nuovo di narrare, in cui la penna diventa collettiva e corale. Una scelta coraggiosa, degna di un catalogo, Kreuzville Aleph, dato dalla somma di Kreuzberg e Belleville, due dei quartieri cardine di altrettante capitali cardine della cultura europea.
E non è vero che, come pretende di farci credere Ernaux nell’incipit del romanzo, « tutte le immagini scompariranno ». Ci svelerà cosa vuole salvare, quali immagini cristallizzare e quali piccole cose inutili vuole portare con sé nel ricordo.
Senza nemmeno una briciola di rimpianto.
Annie Ernaux, Gli anni – L’Orma editore, Traduzione di Lorenzo Flabbi, 16 euro.