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Piccola guida non esaustiva alla 57. Biennale di Venezia

Ci sono vari tipi di approccio alla Biennale di Venezia. Dalla modalità agonistica, preferita da chi proprio non può evitare di vedere tuttotutto, a costo di svenire all’Arsenale, a chi è alla ricerca dell’evento, che sia l’inaugurazione, il finissage, la presentazione, la cena, il buffet. In mezzo, tra le due tipologie di animale sociale, c’è il realista, diviso a sua volta in realista-ottimista e realista con tendenze nichiliste. Per tutti valgono però queste poche regole: attrezzatevi di curiosità, sappiate che non riuscirete a vedere e partecipare a tutto, indossate occhiali da sole. A voi è rivolta questa piccola guida non esaustiva e non sistematica, per orientarsi tra i padiglione di questa 57. Biennale d’arte.

 

Arsenale – 57. Biennale Venezia

 

Prima di attraversare Venezia in lungo e in largo, ci teniamo a dirvi che il titolo Viva Arte Viva, visitabile fino al 26 novembre, ci aveva già insospettito con la promessa di good vibration. Vista da vicino la mostra curata da Christine Macel si è rivelata niente più che un comò della nonna strapieno di centrini, gomitoli di lana e di cotone, con tanto di corredi completi, tappeti, tappezzerie e centrotavola. I due padiglioni, uno all’Arsenale e l’altro ai Giardini, sono infatti un trionfo di teoria anni Sessanta-Settanta, tipicamente francese, tutto ripiegato sui temi dell’antropologia con un tocco di antropocentrismo, che non stona affatto in una esposizione d’arte. Un discorso piuttosto chiuso basato su una sola idea: rintracciare le trame, le relazioni, le reti tra persone, identità e comunità.

 

Lee Mingwei, The Mending Project, Arsenale

 

Declinato in tutti i possibili formati e materiali, il risultato è ben rappresentato dall’installazione di Lee Mingwei che ci accoglie all’ingresso della mostra all’Arsenale, con i suoi gomitolini fissati alla parete di fondo, perfettamente corrisposta dall’opera che chiude il percorso, con i gomitoloni di Sheila Hicks, che ingombrano l’intero spazio.

 

Sheila Hicks, “Escalade Beyond Chromatic Lands”, Viva Arte Viva, Arsenale

Sheila Hicks, “Escalade Beyond Chromatic Lands”, Viva Arte Viva, Arsenale

 

In mezzo, per metri e metri, ancora stoffe, trame di tutti i generi, come la rete calata dall’alto che diventa una grande tenda nella quale accomodarsi a piedi scalzi e suonare alcuni strumenti musicali, opera di Ernesto Neto.

 

 

Ernesto Neto, “Um Sagrado Lugar (A Sacred Place)”, Viva Arte Viva, Arsenale

Ernesto Neto, “Um Sagrado Lugar (A Sacred Place)”, Viva Arte Viva, Arsenale

 

Ogni tanto spunta qualche libro, come quelli sempre eleganti di Maria Lai, e alcune videoinstallazioni. Nulla di sorprendente fin qui, se non l’opera di Anri Sala, un carillon che sembra leggere la partitura delle piccole figure sulla parete, conciliando leggere sonorità occidentali e orientali.

 

Anri Sala, “All of a tremble (Encounter I)”, Viva Arte Viva, Arsenale

Anri Sala, “All of a tremble (Encounter I)”, Viva Arte Viva, Arsenale

 

L’Arsenale continua con il Padiglione Italia, del quale vi abbiamo parlato qui e che, tra i molti, emerge per spettacolarità e una certa forza.

Il Padiglione Cinese conferma l’impegno costante nel ripensare la tradizione millenaria del paese con la continua ricerca di un linguaggio internazionale ma anche profondamente legato all’identità nazionale. La Repubblica Popolare Cinese è pur sempre una delle potenze mondiali e fa sfoggio dei suoi molti mezzi.

 

Padiglione Cina

Padiglione Cina

 

Intrigante è il Padiglione Turchia, con un lavoro ambientale sonoro, particolarmente discreto e pulito, dai connotati urban. Dovremmo, poi, sconsigliarvi la visione del Padiglione Argentina ma non lo faremo!

Accanto, poco distante, lo spazio dedicato alla Tunisia che torna alla Biennale dopo l’edizione del 1958, presentando un lavoro interattivo ma anche inquietante, incentrato sui temi della migrazione, delle frontiere, della libertà di spostamento e del controllo. Poche domande, formulate con grande solennità dai due funzionari, incarnazione della burocrazia, l’impronta del pollice del viaggiatore e il passaporto è belleffatto, per andare ovunque e da nessuna parte.

Passando ai Giardini, le sezioni di Viva Arte Viva continuano a non farci innamorare di questa edizione. Iniziamo, allora, un percorso di autoanalisi per capire se c’è qualcosa di sbagliato in noi. Visto il dispiegarsi degli stessi temi, con le stesse modalità, torniamo a essere abbastanza certi che non ci sia nessun problema personale con la nostra Christine, semplicemente non ci ha convinto, e non siamo i soli a pensarla così.

 

Green Light Workshop di Olafur Eliasson, Viva Arte Viva, Giardini

Green Light Workshop di Olafur Eliasson, Viva Arte Viva, Giardini

 

Alla monotonia di Viva Arte Viva, si contrappone la varietà degli altri padiglioni nazionali ai Giardini. Tra quelli assolutamente da visitare vi consigliamo il Padiglione Germania, vincitore del Leone d’Oro. Non disperate se non avrete la fortuna di assistere alla performance, poiché l’intero spazio sembra restituire l’atmosfera di sospensione e galleggiamento, grazie alla pavimentazione in vetro. In fondo, appena metterete piede nel Padiglione, sarete parte dell’opera.

 

Padiglione Germania - Anne Imhof , “Faust”, Giardini

Padiglione Germania – Anne Imhof , “Faust”, Giardini

 

Mentre il Padiglione Spagna, con i suoi numerosi video, è l’esempio dell’impossibilità di approfondire tutte le opere esposte, il giocoso Padiglione austriaco con “Just about virtues and vices” invita i visitatori ad attivare le opere seguendo le istruzioni, assumendo le pose più varie, a tratti ridicole.

 

Padiglione Austria - Erwin Wurm, “Just about virtues and vices in general”, Giardini

Padiglione Austria – Erwin Wurm, “Just about virtues and vices in general”, Giardini

 

Divertente e dolcemente kitsch il padiglione Korea, affascinante quello canadese.

Cosa resta di questa Biennale, allora? Piccolissimi brani interessanti, un po’ di delusione per non aver trovato la terza edizione del Padiglione della Santa Sede (si, sono una fan del Padiglione Vaticano) ma soprattutto le tante mostre collaterali.

Per voi abbiamo visto “Treasures from the wreck of the unbelievable” di Damien Hirst. Non si discute della potenza economica, dell’inventiva, della sapienza nella scelta di materiali, formati e soluzione espositive in grado di accontentare ogni collezionista, dal megalomane all’appassionato di disegni.

 

Damien Hirst, “Treasures from the wreck of the unbelievable”, Palazzo Grassi

Damien Hirst, “Treasures from the wreck of the unbelievable”, Palazzo Grassi

 

La sua monumentale mostra, divisa tra Palazzo Grassi e Punta della Dogna è un tripudio di oggetti che alludono a ogni cultura e luogo della terra, reale o immaginario, e racconta la storia di un eccezionale ritrovamento di cui, con l’autore, siamo testimoni. È una fakemostra, con molti meriti e forse qualche nota negativa come l’essere di esempio, suo malgrado, per cattivi copisti.

Poco convinti dell’inestimabile valore di questa scoperta, le abbiamo provate tutte e, infine, siamo stati accontentati dalla mostra “Intuition”, vasta per spunti, opere e artisti.

 

Anish Kapoor, “White Dark VIII 2000”, Palazzo Fortuny

Anish Kapoor, “White Dark VIII 2000”, Palazzo Fortuny

 

Dopo una interminabile fila per accedere a Palazzo Fortuny, ad accoglierci c’è Michel Basquiat il cui vitalismo è perfettamente bilanciato dalle stele antropomorfe che hanno qualche millennio alle spalle, e una profusione di artisti di assoluto rilievo come Paul Klee, Marcel Duchamp, Lucio Fontana, Vassily Kandinsky, Marina Abramovic, Joan Miró, Anish Kapoor, Joseph Beuys, Raoul Ubac, Man Ray, Cy Twombly, Ann Veronica Janssens, André Derain.

 

Lampada di Maria Fortuny, Palazzo Fortuny

Lampada di Maria Fortuny, Palazzo Fortuny

 

La casa-museo, come sempre affascinante, assume una particolare sfumatura grazie, tra gli altri, all’opera di Alberto Garutti che ha utilizzato le bellissime lampade progettate dal padrone di casa, l’artista e scenografo Mariano Fortuny, facendone aumenta l’intensità della luce ogni volta che un fulmine cade sul suolo italiano. Sul resto non ci dilungheremo, invitandovi a visitare la mostra che chiuderà il 24 novembre e che da sola ci lascia appagati.

 

Biennale d’Arte di Venezia – Giardini e Arsenale
dal 13/05/2017 al 26/11/2017
www.labiennale.org/it/arte/

Luciana Berti

scritto da

Questo è il suo articolo n°22

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