I ladri di Street Art ora rischiano il carcere
Seguo da tempo e con molto interesse i molteplici problemi sollevati dai furti sempre più frequenti di opere realizzate da street artists in strada. Prima dell’estate, qui a Parigi, sono scomparse nel giro di pochi giorni tre opere di C215, Vhils e Miss Tic. Oggi, ritorno su questo argomento perché un processo conclusosi pochi giorni fa in Gran Bretagna apre delle prospettive decisamente rivoluzionarie in materia di furti di street art.
Riepilogo rapidamente la storia per chi non l’abbia seguita negli ultimi mesi. Nel gennaio 2011, Banksy realizza un nuovo pezzo, Sperm Alarm, su uno dei muri dell’Hotel Hesperia nel centro di Londra. Nei giorni seguenti, lo street artist inglese rivendica la paternità dell’opera pubblicandone una fotografia sul proprio sito. Dopo pochi giorni, però, l’opera viene rubata da uno sconosciuto che stacca letteralmente il pezzo di muro sul quale era stata dipinta, riuscendo in seguito a far perdere le proprie tracce.
Il colpo di scena arriva dopo qualche settimana, nell’aprile 2011, quando un impiegato dell’albergo scopre per caso l’opera di Banksy su Ebay e segnala l’annuncio alla polizia. Il suo intervento permette l’identificazione e l’arresto del presunto ladro, un tale Leon Lawrence.
Tuttavia, Lawrence non nasconde il pezzo di muro a casa sua e le perquisizioni svolte dalla polizia non permettono di rintracciare l’opera. Il giovane inglese viene comunque arrestato, perché le numerose fotografie dell’opera di Banksy che conserva sul suo computer sono considerate come una prova della sua colpevolezza. Nello specifico, l’attenzione della polizia si concentra su alcuni scatti che documentano il momento dello stacco del muro.
A circa un anno di distanza dal suo arresto, il 14 settembre scorso, Leon Lawrence è stato condannato dal giudice ad una pena di nove mesi con la condizionale e a 240 ore di lavori sociali. Le motivazioni della sentenza non sono purtroppo note, ma sarebbe interessante capire di cosa è stato effettivamente accusato Lawrence. Il giovane inglese è stato ritenuto colpevole solo del danneggiamento di una proprietà privata (il muro dell’hotel), oppure la presenza di un’opera di Banksy su quel muro è stata considerata come un’aggravante?
Se così fosse, questo genere di vicende obbligheranno probabilmente, nei prossimi anni, avvocati, giudici, poliziotti e critici d’arte a scontrarsi ripetutamente nelle sale di tribunale. Immaginatevi infatti le ripercussioni che un approccio giuridico del genere potrebbe avere su quelle opere prelevate in strada da semplici appassionati di street art, che circolano oggi sul mercato dell’arte. I casi del genere si contano ormai a centinaia.
Questa vicenda solleva però anche un altro problema sul quale vorrei soffermarmi. Nonostante le motivazioni della sentenza non siano conosciute, le condanne come quella di Lawrence non possono sancire l’invendibilità di opere di street art rubate in strada. Obbligano quindi a chiedersi quale atteggiamento sia più giusto adottare quando il muro ricomparirà sul mercato dell’arte.
Fino ad oggi, galleristi e rappresentati di case d’asta hanno adotatto nei confronti delle opere di street art prevelate illegalmente in strada un approccio derivato dal mercato dell’arte tradizionale. Hanno cioè rifiutato opere d’arte che non disponevano di una provenienza certificata, perché “rubate” o “a rischio”. Arnaud Oliveux, responsabile del settore Urban Art presso la casa d’aste parigina Artcurial, lo ha ripetuto anche sull’ultimo numero di Graffiti Art Magazine: “Abbiamo il dovere di fare pulizia e di non accettare pezzi presi per strada. È una questione di rispetto nei confronti degli artisti. Non bisogna fare errori del genere”.
Se concordo pienamente sul fatto che si devono condannare i furti di opere realizzate dagli street artist in strada, è però altrettanto vero che importare nel sistema-mercato della street art una logica tipica del mercato dell’arte tradizionale – l’invendibilità di opere senza provenienza certificata – non basterà a fermare il fenomeno dei furti di street art. Insisto quindi su un punto specifico, poco presente nei dibattiti su questi questo argomento, perché ho l’impressione che si sottovaluti il fatto che il mercato stia riconoscendo la street art realizzata in strada come più “vera”, perché estratta dall’ambiente stesso che le ha dato vita: la strada. È un atteggiamento che si è lentamente diffuso tra i collezionisti e del quale capisco le ragioni. Tra un mosaico di Invader incollato per strada e la sua replica venduta in galleria, cosa collezionereste? Tra un vero muro di Vhils e una sua replica realizzata su un nuovo tramezzo fissato su una tavola di legno, quale avrà a vostro avviso più valore sul mercato dell’arte tra trenta o quarant’anni?
Al di fuori degli imperativi etici che ognuno di noi decide o meno di imporsi, condannando o meno chi scende in strada non per dipingere ma per rubare le opere dipinte, riprodurre i meccanismi di un mercato dell’arte diverso da quello della street art non aiuta a risolvere questo genere di problemi. Servono piuttosto strumenti nuovi e pensati su misura per proteggere opere d’arte che non devono poter diventare proprietà privata senza il consenso espresso dell’artista che le ha invece offerte allo spazio pubblico.