I Neon Indian inaugurano la due giorni più calda dell’Astoria
Quando leggo del concerto dei Neon Indian a 50 metri da casa mia quasi non ci posso credere, pensavo di dover aspettare il Primavera Sound per godermi la nuova ossessione stagionale 2012.
Temendo l’orario mi presento prestissimo: alle 21 e 30 sono già con il mio bicchiere da mezzo litro di long island (ogni volta che parlerò dell’Astoria ci terrò a precisarlo: è ottimo, e saper far bene questo cocktail vuol dire essere bravi, e ce ne sono addirittura varie versioni) nel novel dehor (dehor: termine torinese per indicare i tavolini fuori dal locale. Espressione particolarmente bruttina. Se mi siedo nel dehor invece già mi sento più elegante) appena inaugurato; la cosa interessante della posizione dell’Astoria nella pianta cittadina è che tu puoi incappare in gente di ogni tipo, anche in chi vuole venderti una maschera da scherma a 30 euro (“nuova costa 300, è un affare!”). La serata promette bene, ero partita con l’idea che non ci fosse il pienone essendo i Neon Indian un gruppo non troppo famoso o perlomeno non così hipster, e invece con mio stupore molte persone giunte all’ultimo minuto vengono mandate a casa a mani vuote proprio perchè il Basement fa sold out nel giro di mezz’ora.
Ovviamente il locale sotto non è di quelle immense sale da concerto che potete immaginarvi, quindi la temperatura è all’incirca di 45° (un’ottantina i percepiti), ma tutti paiono non preoccuparsene, tranne due che a Piacenza chiameremmo Fighe di Legno che passano una buona mezz’ora a ripetere “che caldo che fa, io adesso me ne vado!” alternato a “se non avessi pagato sarei già fuori di qui, basta! Ora me ne vado, c’è troppo caldo!”. Liberissime di farlo signore mie, soprattutto dopo che il roady sale sul palco a fare le prove strumenti e una di loro esclama: “E questo chi è? Non l’ho mica mai visto, ma è del gruppo?”. Dio, se esisti falle soffocare ora.
Come non detto. “Curu cucùùù Palomoooooooooo!!!”
Dio, perchè non ascolti mai le mie richieste? Ma soprattutto: queste quindi sono delle fan!
Palomo alla fine arriva sul palco: un po’ Hugh Grant e un po’ John Casablancas mi ipnotizza con il suo sguardo annerito da un filo di matita. La cosa inquietante è che sembra non sudare per tutta la durata del concerto, e poi capisco che è la fantasia della camicia che salva le apparenze.
Sarà la musica, sarà la sua matita nera ma mi convinco che sia un bel personaggio, questo Palomo. Il gruppo funziona, c’è anche una donna per accontentare proprio tutti.
I pezzi nuovi del gruppo mi convincono meno degli altri, sono più languidi, e a me piace il bel synth acido anni 80 investito da un po’ di psichedelia, quello che a loro riesce meglio è di farti sentire in vacanza, di non pensare a nulla se non a divertirti e ballare. Per la mia gioia fanno tutti i pezzi di Psychic Chasms, e sono molto felice di essere circondata da un gruppo di accaniti sostenitori quanto me che urlano, ballano e le sanno tutte a memoria. Non parliamo di quando è partita Polish Girl: secondo me allo Xanax Party (la festa indie elettronica del giovedì) è una hit assodata: non c’è una persona che non sia in delirio completo per il pezzo.
Ogni pezzo è un crescendo, da Terminally Chill fino al finale con il botto di Ephemeral Artery, anche se lo avrei lasciato come finalone nei bis, che difatti sono stati una caduta rispetto alla parabola ascendente di tutto il live.
Una piccola pecca sono stati i visual, purtroppo a livello logistico non si sono potuti sfruttare al meglio, ma questo mi offre un’ottima scusante per risentirli a Porto tra qualche giorno.
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