Il Dancity spacca
Nella cornice del centro di Foligno e con una line up impeccabile, il Dancity Festival si conferma ancora tra i migliori eventi musicali nostrani.
Se non fosse stato per il freddo e per la pioggia, fenomeni abbastanza inaspettati per la fine di giugno, sarebbe stato davvero un Festival perfetto. Due location nel centro storico della città e una fuori città, solo per una sera, hanno reso questo evento un festival a misura d’uomo dove, per caso, ti ritrovavi a bere a fianco degli artisti e magari, senza accorgertene, gli chiedevi anche una sigaretta.
Purtroppo la pioggia ha creato non pochi problemi e ritardi, soprattutto la prima sera quando Bradford Cox e i Deerhunter si sono ritrovati senza corrente proprio a inizio esibizione e ci hanno intrattenuto con una meravigliosa performance acustica e inaspettata, dove Brad si è cimentato alla batteria per una decina di minuti. Al ritorno della corrente il live è stato strepitoso, soprattutto per la parte finale, dei venti minuti di noise minimal con Brad e gli altri sdraiati per terra avvolti solo dal “rumore” da loro prodotto. Unica pecca: a volte sembrava di stare al concerto dei My Bloody Valentine, mancavano un po’ le voci.
Spostandoci poi al chiuso, Shackleton e Pinch, ormai anche collaboratori con l’album “Pinch & Shackleton”, ci hanno fatto smuovere gli arti atrofizzati con due favolosi live set.
Rivelazione del venerdì gelido è stata invece Sven Kacirek, artista tedesco ai più sconosciuto, che si avvale oltre ad un enorme xilofono, di strumenti un po’ “ a caso” come campanelli, pezzi di carta, sedie. Sven ci ha inaspettatamente ipnotizzati col suo live percuotendo e strofinando tutti i vari strumenti senza l’uso di sintetizzatori creando un suono elettronico, ma allo stesso tempo fluido e magico.
Sempre nella location dell’Auditorium, uno spazio dall’atmosfera sacra con affreschi antichi sullo sfondo e sulle pareti e travi di legno, il polistrumentista Vincenzo Vasi ha presentato il nuovo progetto “Dervishi” cimentandosi in una performance minimalista e melodica che è stata un vero e proprio viaggio mentale, accompagnato del theremin che già di per sè crea un suono surreale ma che con il violino e la voce di Valeria Sturba ti rimanda su un altro mondo.
Di tutt’altro mood il live seguenti, iniziando dall’inglese Andy Stott che ci ha riportato alla realtà con i suoi ritmi techno con un live carico e ineccepibile. Dopo di lui la fase “dance” del festival e della serata si è spostata nel locale “Serendipity” un po’ fuori città dove siamo arrivati congelati dopo l’attesa della navetta e dell’apertura delle porte. Ne è valsa la pena per i seguenti tre live di Claro Intelecto, Robert Hood e Ben Clock. Cassa dritta per tutti e tre, tosti e imperterriti ci hanno fatto ballare fino allo sfinimento.
L’ultimo giorno finalmente il sole è riapparso riscaldandoci il corpo mentre l’anima è stata coccolata inizialmente dal fantastico live di Lucky Dragons in collaborazione con Vasi e Sturba nell’Auditorium. Questi ultimi con il dolce suono del theremin e Lucky Dragons, progetto sperimentale dei due californiani Luke Fischbeck e Sarah Rara (presente solo Luke), hanno dato vita a un misto tra elettronica minimalista e sacralità melodica. Un’ora di sogno e di estraneazione dalla realtà, per far preparare la mente al resto della serata che è stata assolutamente la migliore delle tre, senza cambiamenti di programma, né pioggia, né freddo esagerato, ma solo un’escalation di ritmi e musica mozzafiato.
Dopo di loro l’esperimento tra il pianista prodigio armeno Tigran Hamasyan e il giovane collettivo londinese LV, ha dato il via a un live strepitoso con suoni hyperdub belli duri e pompati, degni della scuola di Kode9, e accompagnati dal jazz morbido e orientale del pianoforte di Tigran.
A causa di un piccolo accavallamento d’orario, siamo stati costretti ad abbandonare il loro live ancora prima che finissero per non perderci i favolosi Zombie Zombie. Ci spostiamo quindi a Palazzo Candiotti, il cortile a fianco dell’Auditorium per assistere a un live carico, pieno, doppia batteria e sintetizzatori a palla, ritmi incessanti, energia a manetta, pubblico in estasti, super concerto che ci ha fomentato per il resto della serata.
Intanto in Auditorium Ghostpoet ipnotizza la folla a lui più cara, ma personalmente preferisco ascoltare il live del finlandese Arttu, un misto di ritmi house e soul che non ci dispiace affatto ma che non ci pompa abbastanza per stare sotto cassa come di consueto. Tornati in Auditorium l’inglese Infinite Livez si conferma la rivelazione della serata, con un set che fa smuovere tutti, dagli appassionati dell’hip hop, dell’elettronica spinta e della dance.
Finalmente il duo Metro Area, attesissimi dopo il loro super live al Sonar, fa scatenare la folla nel cortile, impazzita per un’ora di balli sfrenati house e disco dove son stati riciucciati fuori anche pezzi “classici” provenienti dai loro primi dischi che hanno fatto impazzire i fan. Non da meno Mathew Jonson che fa salire i toni, con ritmi techno, minimal e drum’n’bass.
Tutto bene fino a qui, tutto perfetto, ogni spettatore con i suoi propri gusti ha preferito questo o quell’artista, si è fomentato meno o di più con questo o quel live, ha deciso di fare una pausa alcolica o mangereccia sacrificando questo o quell’artista. Beh, ora è arrivato il momento di James Holden, l’Artista. Ovviamente non si può paragonare a live minimal o strumentali come ce ne sono stati in precedenza durante tutto il Festival, ma sicuramente James ha creato qualcosa di unico.
Nessun assente, tutti i partecipanti del festival erano là, immancabile la presenza al miglior live del Festival. Molti dicevano: “ sono stanco, sento uno o al massimo due pezzi e poi vado via”, impossibile!!!
James è stato incredibile, impressionante, ci ha tenuti incollati al pavimento in due ore di set strepitoso, dove ogni nota precedente e quella successiva erano collegate impeccabilmente senza mai abbassare la guardia della “presa bene”, della perfezione. Le gambe si muovevano da sole, ormai stremate da dei tre giorni di musica, il cervello era in estasi, la mente chissà dove, dove volevi tu o dove andava da sola cavalcata da ritmi inconsci, belli, ondulati, ma carichi allo stesso tempo. Due ore fantastiche che non dimenticheremo mai, con l’alba che sorgeva alla sinistra del palco e la luna che era ancora lì in alto sulla destra, forse anche lei non voleva andare a dormire, e con James che non smetteva più, imperterrito, godurioso del fatto che stava trasmettendo quella felicità e quella beatitudine che solo la musica ti sa dare, che ti fa dimenticare tutto e che ti fa sentire su un altro mondo, dove tutto è possibile. A detta dei seguaci più accaniti di Holden, questo è stato il miglior set a cui abbiano assistito e così è stato.
Bilancio del festival, positivo, il sabato ha ritirato su di molto le sorti dei primi due giorni, un po’ sfigati col tempo e con qualche pecca organizzativa ma nel complesso un Festival imperdibile, una cornice mozzafiato e un cast artistico impeccabile.
Foto e testi di Michela Colasanti.