Il filosofico Carnevale ciociaro
Ne La Nascita della Tragedia, la prima pubblicazione importante di Nietzsche, l’allora giovane filosofo parlava dell’arte come della trasfigurazione apollinea, avvenuta solo con la polis greca, di un impulso che fino ad allora si era manifestato in ogni barbara società nella sua furia pura e selvaggia attraverso ricorrenze annuali, chiamate poi Baccanali, in cui il popolo tutto si ubriacava a morte e si dedicava ad orge ed accoppiamenti senza nessun tipo di pregiudizio verso qualsiasi forma di vita umana ed animale. L’arte diventava una sorta di modo per “scaricare” quell’impulso evitando di praticare una fellatio ad un cinghiale e tutto il progresso umano – che per Nietzsche restava ancora fortemente legato al riconoscimento sociale dell’arte – iniziava da quella capacità magica di simboleggiare il caos con la bellezza.
Ebbene, Nietzsche aveva ragione, la capacità di un popolo di uscire dalla propria barbarie proviene dal modo in cui riesce a trasfigurare le proprie pulsioni. Come lo so? Lo so perché sono nato a Frosinone, che è un posto che della barbarie ne fa un determinato stile di vita. Esempio ne è il fatto che chi nasce a Frosinone si rende, a contatto con chi vi è alieno, facilmente conto di due cose: lui, il ciociaro, non conosce il nome del suo santo patrono e l’altro, il non ciociaro, non ha paura del carnevale. Il ciociaro, in effetti, non ha mai partecipato ad una festa patronale e l’altro non ha mai abbandonato sanguinante una baccanale orgiastica in cui degli Unni con le labbra nere di aceto l’hanno frustato con delle radicate in piena faccia. Ma andiamo per ordine.
Dice la leggenda che i frusinati, stanchi di continue vessazioni, si fossero nel XVIII secolo ribellati ai dominatori francesi; la rivolta fu sgominata nel sangue con estrema rapidità ma i ciociari iniziarono incomprensibilmente a festeggiare quella ricorrenza nel celebre Carnevale ciociaro, detto anche Festa della radeca. La “radeca” è un ortaggio o meglio, la foglia di una sorta di pianta grassa – senza spine, grazie a dio – con il prezioso pregio di essere così elastica e così resistente e pesante da avere gli identici effetti, se battuta con forza sulla faccia di un malcapitato, di un bastone chiodato medievale.
Ebbene, provate voi a prendere una cittadinanza da sempre oppressa dai più sordidi e corrotti affari politici democristiani, un popolo che in gran parte si riconosce in solide posizioni di estrema destra, persone da sempre irrise per la loro parlata martufelliana e la loro mitica attitudine alla pastorizia persino (con tutti gli altri abitanti del mondo globalizzato) dal simpaticissimo McDonalds. Provate, nel giorno dell’unica festività riconosciutagli, a immaginarli uscire di casa dopo mangiato e trovare dei veri carretti pieni di otri dai quali dei personaggi già completamente ubriachi distribuiscono, attraverso dei budelli, vino/aceto a volontà. Ora, appena iniziano a parlare come Martufello ubriaco, provate ad armarli con dei bastoni chiodati medievali, solo nella versione vegetale. Quello che Nietzsche probabilmente non sospettava è che i suoi baffoni sarebbero bastati a fargli guadagnare l’attenzione di una massa di persone ubriache, muscolose e dotate di lunghissime radiche, con il solo obbiettivo dichiarato di riuscire ad ammazzare di botte qualcuno anche al di fuori di uno stadio di calcio. Persone che non hanno mai neppure sentito il bisogno di trasfigurazione alcuna, se non nel senso di trasfigurare qualcun altro. Ebbene, questo è il carnevale ciociaro, l’unica festa – oltre alle magiche Cantine Aperte, festa del vino novello che risulta identica al carnevale se non nell’uso crudo dei cazzotti al posto delle pratiche radiche – che il popolo ciociaro riconosca come sacra e degna di essere onorata.
Tanto vino, tante botte ed una canzone popolare che farebbe invidia alla Marsigliese; a metà tra una sommossa popolare e un rituale satanico, il carnevale ciociaro è dunque un esempio profondo di quello che solo una scienza folle come la filosofia potrebbe dire un nobile principio. Come solo nei limiti più estremi del vecchio Stato Pontificio, nel luogo in cui i nazisti venivano sgominati dalle truppe alleate, le donne venivano stuprate dai marocchini che riconquistavano lo stivale, a volte il cattolicesimo viene felicemente sospeso ed il dio Dioniso, per dirla in modo allegorico, fa la sua discesa. In quel giorno una città che, per il resto dell’anno, ha come unici pregi quelli di aver ospitato l’incontro tra Licio Gelli ed Andreotti e di avere un casello autostradale tra Roma e Napoli, guadagna la sua redenzione dalla continua sconfitta che la segna dalla sua nascita e trasfigura il suo anonimato mediocre in una unione di spiriti violenta e animalesca. E se pure, secondo Nietzsche, questo vorrebbe dire non essere civili, si potrebbe ben dire che tanto, qua, Nietzsche non lo conosce quasi nessuno.
Foto di Simone Sergio.