Elefanti capovolti, musica e impensabili incontri a bordo piscina. Il mio Bukruk Urban Arts Festival
Bangkok è una città molto particolare. Chiunque abbia avuto a che fare con la cultura asiatica avrà notato le profonde differenze che sussistono tra essa e la cultura occidentale. Il format del Bukruk Urban Arts Festival, è però un concetto europeo, sponsorizzato dall’Unione Europea. È un linguaggio che tenta la via di contatto. In una società e città dove le interazioni quotidiane si limitano a grossi sorrisi e la sistematica buddista cordialità, dove le barriere linguistiche sono impervie, il Bukruk Urban Arts Festival tenta la via più sensata. Quella dei sensi, delle immagini, della musica, dell’arte.
Il 23 gennaio è la data di partenza, il Bukruk Music Festival al Jam Factory, l’evento di lancio. È uno di quegli eventi dove certa cucina gourmet si incontra con sonorità da tutto il mondo sulle rive del leggendario fiume Menam Chao Phraya. Due graziosi capanni post industriali ospitano due ristoranti mentre due palchi ospitano le band. Uno si trova immerso tra grosse fronde che contribuiscono ad un’atmosfera intima che ben si fonda con le sonorità rock, dream pop e electro, l’altro, più in vista, si pone di fronte un grosso edificio come se ne vedono tanti in Thailandia, un mostro benevolo che sembra far da paravento al Bukruk Music Festival.
Sono lì con un gruppo di amici francesi. Bangkok è piena di francesi fissati con la musica elettronica. Ne conosco davvero troppi: vestono francese, mangiano francese, ascoltano musica francese, parlano il loro inglese con forte, meraviglioso accento francofono. Sul palco, nel primo pomeriggio, salgono band dal forte spirito goliardico. La folla è a maggioranza farang, anche i thai presenti sono animati da uno stile che sembra rimandare alle tendenze delle capitali occidentali dove magari hanno studiato.
Ho un pass semi-vip, mi consente di entrare nell’area dove si radunano gli addetti ai lavori del festival. Ci sono Sten e Lex presi da fitte conversazioni con quello che vengo a scoprire essere l’ambasciatore italiano in Thailandia. Mi faccio coraggio e vado a fare due chiacchiere con Sten, occhialone grande da nerd e marcato accento romano. Provo ad imbastire un paio di domande ma proprio non mi viene di rendere la conversazione naturale, gradevole. “Sì, è la prima volta che capitiamo in Asia per un evento del genere”. Per caso mi imbatto anche nell’organizzatrice dell’evento, francese. Quando provo a chiedere come mai l’Unione Europea supporta un festival delle arti urbane in Thailandia la sua risposta, accompagnata da quel pizzico di presunzione francese, assomiglia molto ad un “perchè no?” insignificante.
La serata scorre veloce. Il mio amico Vincent è tutto su di giri perché La Fine Equipe, gruppo francese ovviamente, sta per suonare ed a quanto pare è un nome piuttosto grosso. Ora si immagini questo palco nella penombra, intimo, un pubblico spazioso, questi giovani francesi che vanno sul palco e interagiscono con il pubblico, manovrando tra consolle, batterie elettroniche, fumo artificiale e luci. Uno spettacolo niente male. Al termine dello stesso mi ritrovo con un gruppo di dieci persone, in piedi sul paraurti di un pick-up, volando tra le strade di Bangkok. Sembra un sogno, è un qualcosa che è possibile solo qui. Finiamo all’after party ufficiale. Si fanno le ore piccole.
Il festival in sé per sé è costituito da una serie di opere in diverse zone della città. Un muro per artista. I nomi sono tanti: dai nostri Sten+Lex a ROA, passando per Aryz (il preferito di Sten, per sua confessione) e Martha Cooper, per finire con il locale Lolay e il giapponese Motomichi Nakamura. Mi decido di andare a fare un bel giro per i cantieri di Aitch, ROA e lo stesso Aryz che sta disegnando una grossa bicicletta proprio di fronte al palazzo dove lavora ROA. Il quartiere è davvero meraviglioso. È la Bangkok delle mille soi, una strada lunghissima puntellata da ferramenta e botteghe che vendono misterioso amuleti buddhisti. Il marciapiedi è invaso da thai che dormono o bivaccano con i loro compari.
I sorrisoni sono all’ordine del giorno, le poche parole in inglese che si sentono in dovere di proferire risuonano con quel ridicolo, meraviglioso accento thai. Arrivo al cantiere di Aitch. C’è una buona parte già fatta ma lui non si trova lì. Uno sfondo tra il rosa e il fucsia accoglie composizioni floreali bianche. Un tocco di gradevolezza in un contesto dove l’irrazionalità urbana la fa da padrone. Un tocco di bellezza in una città che ha un concetto tutto suo di bellezza. Come un orpello inutile che si manifesta meravigliosamente necessario.
Arrivo da Roa ed Aryz. Aryz è già disperso nell’aria, sulla sua gru, presissimo dal suo lavoro. ROA invece cazzeggia in libertà con il suo primo elefante capovolto ancora senza proboscide quasi pronto. ROA è tutto meno quel che mi aspettavo. Veste pantaloni larghi, un gran felpone, etnies ai piedi, ascolta il remix dei Prodigy di Release Yo’self di Method Man. Sono le 11 del mattina e in mano tiene salda una ghiacciata bottiglia di Chiang, la birra locale, neanche a farlo apposta la birra dell’elefante (chiang è il termine thai per elefante).
Ci facciamo una chiacchiera veloce. ROA disegna animali da sempre. Da sempre è impegnato nell’ambiente e prende come soggetti animali particolari del luogo, illustrandoli in pose animate, creando composizioni che hanno voglia di comunicare qualcosa anche a quei thai che nel sottostante parcheggio guardano divertiti e con poca cognizione di causa questo mastodontico elefante capovolgersi sopra le loro nuche spoglie. “Ho visto tantissimi elefanti qui in Thailandia, ma non ho ancora visto un elefante capovolto”. La genialità è un affare semplice, penso. L’elefante in Thailandia ha una valenza importantissima, sacra. Le torture, il modo disumano con cui vengono trattati sembrano voler dire che alla Thailandia non frega più niente della sacralità dei suoi elefanti. “Pensi che qualcuno coglierà questo tuo riferimento?”. “La speranza è che prima o poi qualcuno possa essere indotto a pensarci, a soffermarsi sul muro e pensarci”. Mi congeda con un bel sorrisone, si dirige a farsi una canna in riva al fiume. Roa non è come immaginavo ma è come un artista dovrebbe essere, penso tra me. Pacifico, appassionato, dedicato.
Ci sono mostre per tutta la settimana ed eventi/mostre ovunque nelle numerose, piccole gallerie d’arte della città. Scopro un mondo nuovo fatto di piccoli circoli intellettuali dove si sorseggia birra di qualità e si parla d’arte, gli artisti scorrazzano parlando con i curiosi. Al Soy Sauce Factory c’è l’esposizione di Lolay e Motomichi Nakamura con i suoi piccoli mostriciattoli che impersonano il dualismo della natura umana. Una mostra interessante ma che tuttavia perde un po’ della forza della strada. Il contatto con Bangkok si perde su quelle mura ben allestite e rifiniture che rimandano la mente ad un qualsiasi posto nel mondo. La strada di Bangkok, le gesta dell’artista, la sua personalità creano invece nei cantieri di strada un contrasto immediato, un impatto che è l’anima di Bangkok stessa.
È l’ultima sera e il festival si chiude col Projection Mapping all’edificio dell’ufficio postale. Una proiezione immensa e in movimento si staglia in fronte alla bella facciata dell’edificio mentre Sun Glitters si erge dal suo altare come fosse un monumento lui stesso. Poche, attonite persone sorseggiano birra su spogli gradini. Le proiezioni sono belle e intense, veloci e calzanti. Con Sun Glitters si chiude lentamente il festival, in una domenica sera inoltrata. Un bel modo per chiudere, per strada, con la musica che rimbomba tra i grossi viali di Charoen Krung Rd. L’invasioni delle arti urbane è completa nella città delle mille anime.
La festa in piscina con Roa, Sten e Lex
Passa una settimana e il mio amico Vincent mi invita ad una festa in piscina. E’ un Sabato sera e con un po’ di amici, tutti francesi, abbiamo deciso di mettere in atto una Boys Night. Arriviamo alla festa, ci sono poche persone a bordo di una piscina. Un gruppo di thai schiamazzano vicino alla consolle. Le lenti appannate e l’alcool rendono il tutto annebbiato. Ma non posso credere ai miei occhi quando vedo loro, Sten e Lex con Roa. Ma guarda un po’, i tre artisti con cui ero riuscito a far due chiacchiere sono insieme a questa festa in piscina. Roa è alticcio mentre Sten sfodera un ottimo inglese. Mille domande gli piovono addosso e lui risponde felicemente, si vede che si diverte. Mi ritrovo a fare una lunga chiacchierata con Lex.
Mi racconta delle difficoltà di fare della street art un impiego a tempo pieno, delle resistenze iniziali nei confronti della meravigliosa opera realizzata sulla facciata del Palazzo dell’Economia di Bari, di quando sono stati invitati al Cans Festival di Londra nel 2008 direttamente da Banksy con un gruppo di altri 39 artisti. E’ una chiacchierata piacevole, lei è appassionata, alla mano, acuta. Un modo meraviglioso per chiudere il mio festival. In una festa in piscina in una sperduta zona di Bangkok ritrovo un’intima atmosfera di casa festeggiando con alcuni tra i più grandi artisti di strada al mondo. Anche questo, credo, possa accadere solo a Bangkok.