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In memoria del Cox18 e di tutti gli spazi occupati

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Quando nell’ottobre del 2004 mi trasferii a Milano per la prima volta, ricordo che una delle mie prime serate da “emigrante” l’ho trascorsa proprio al Cox18, o come lo chiamava il mio amico milanese Paolo, al “conchetta”, nome preso dalla via in cui si trova quello che è stato uno dei più importanti centri sociali di Milano.

foto di Piero Meo

Da quella sera non ho potuto più fare a meno di quel posto. Ne sono rimasto praticamente folgorato. Ricordo, che sebbene non conoscessi ancora bene la città, in quel posto mi sentivo stranamente a mio agio, mi sentivo a casa. Sarà perchè nei centri sociali si respira la stessa aria, ovunque essi si trovino, fatto sta che in tre anni di permanenza a Milano, le alternative ai miei fine settimana avevano il conchetta in testa a tutte le altre le possibili opzioni. Qualcuno potrà pènsare che io faccia parte di quei gruppi di sinistra che sono degli abituè in luoghi del genere, o che sia un fricchettone impenitente che non conosce altri posti all’infuori dei centri sociali occupati. Non sono nulla di tutto ciò. Amavo il Cox perchè, rispetto ai tanti locali e localetti presenti a Milano, era l’unico o comunque tra i pochi posti dove si respirava un’aria “underground”. Parlo di quella cultura e di quelle atmosfere che abbiamo imparato a conoscere ed immaginare leggendo certe riviste o guardando certi film.

foto di Emanuele Madini

Uno dei motivi per cui ho apprezzato il Cox è legato all’elevata qualità della sua programmazione musicale ed artistica che negli anni di permanenza a Milano ho potuto apprezzare. Il Cox è stato il trampolino di lancio di tanti artisti poi consacrati sulla scena nazionale, penso ancora ad uno dei primi concerti dei Marta Sui Tubi, quando i loro spettacoli erano delle chicche che solo pochi a quell’epoca potevano apprezzare.

Ho ancora impresso nella mente il suono ed il ritmo delle bellissime serate animate dal djset più interessante di quel periodo, i Maniaci dei dischi, o le colorate serate funk sapientemente curate da Kleopatra j, per non parlare delle atmosphere queer firmate PornFlakes.

foto di Freak

Nelle sue più interessanti serate il Cox era capace di ricreare ambienti ed atmosfere rintracciabili solo nei club di New York o Londra. Chi ha frequentato come me il bancone e le latrine del Cox sa bene di cosa sto parlando. Il Cox negli anni della sua attività più intensa è stata un’autentica funcina creativa, protagonista indiscussa della “sub-cultura” metropolitana Milanese. Uno degli ultimi eventi del Cox a cui ho partecipato e che mi ha particolarmente colpito è stata la mostra dedicata ai lavori cibernetici dell’artista ed illustratore “Prof. Bad Trip“, morto poche settimane dopo quell’esposizione. La notizia dello sgombero di questo “luogo di culto” mi ha profondamente rattristato, sia perchè al Cox sono legati dei bellissimi ricordi della mia esperienza milanese, sia perchè penso che la sua chiusura rappresenti una perdita per Milano, per gli artisti che si sono esibiti negli anni e per tutti quelli che come me hanno potuto vivere delle belle esperienze intense frequentando quel luogo.

foto di Lucy Piccolaiena

Ma in generale penso che i centri sociali autogestisti, come tantissimi altri luoghi di aggregazione che non abbiano delle finalità meramente economiche, svolgano un ruolo importante nella formazione e lo sviluppo della nostra società. L’europa in questi giorni ha inaugurato l’anno della creatività e dell’innovazione. Ebbene sono fortemente convinto che molti dei cosiddetti spazi “occupati” siano per le nuove generazioni degli importanti incubatori dove poter dar sfogo alla loro creatività. Questi posti nascono laddove lo stato non riesce a soddisfare il bisogno delle persone di incontrarsi, confrontarsi e dar vita a progetti culturali che difficilmente troverebbero il sostegno delle istituzioni pubbliche o di soggetti privati. Ed è propro qui che da anni migliaia di persone danno prova delle proprie capacità e del proprio talento artistico. Le istituzioni sono abituare a celebrare gli artisti solo quando sono all’apice del loro successo o magari quando sono ormai morti, dimenticando spesso qual’è stato il loro percorso di crescita intellettuale, che spesso comincia proprio da posti come il Cox.

Dimitri Grassi

scritto da

Questo è il suo articolo n°319

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