In vacanza al Rione Sanità
Da poco è stato inaugurato Le luci di dentro, un percorso narrativo che attraversa le viscere di Napoli in uno dei quartieri più antichi della città e io c’ero, infatti, essendo solita imbucarmi e sfruttando i miei giri di conoscenze (o network come si dice ora) sono finita nel tour in anteprima organizzato appositamente per stampa e addetti ai lavori. L’invito è valido per due giorni in cui conosceremo meglio e più da vicino le Catacombe di San Gennaro in occasione della prima dello spettacolo, il rione Sanità e nel dettaglio le Catacombe di San Gaudioso, il Cimitero delle Fontanelle e Palazzo dello Spagnolo.
Il progetto Smart Rione Sanità si sviluppa nell’ambito del bando europeo per Napoli Smart City e ha l’obiettivo di rivalutare il patrimonio artistico e culturale del Rione Sanità attraverso la tecnologia. Il progetto infatti prevede la creazione di un’applicazione per smartphone che consiste in una guida al quartiere legata non solo al patrimonio materiale ma anche al folklore e ai costumi del rione, la creazione di un open space destinato ad essere piattaforma di riferimento per le attività di cittadinanza attiva e giornalismo partecipato, il netizenlab, il Laboratorio di Storytelling Digitale del Rione Sanità, uno studio netnografico sul rione e lo spettacolo multimediale Le luci di dentro.
La prima giornata comincia così: mi sparo tutta la salita di Santa Teresa degli Scalzi correndo perché quasi in ritardo, arrivo alla Basilica dell’Incoronata Madre del Buon Consiglio sbagliando ovviamente il dress code (micro short e suore sono proporzionalmente inversi) e siamo pronti per buttarci a capofitto nelle Catacombe di San Gennaro. Le Catacombe sono state create dai romani in epoca paleocristiana e si presentato come delle caverne scavate nel tipico tufo giallo napoletano che dà spazio a vari locali tra cui una fantastica “basilica” nella quale tempo fa erano custodite le spoglie del santo superstar. Vagare nelle catacombe è un’esperienza chiaramente mistica, si ha la sensazione di esplorare il vissuto di un’altra epoca e non nego un sottile piacere al pensiero di violarlo.
Le luci di dentro prevede tre momenti di multimedialità, il primo è anche didattico infatti a impartirci una lezione di storia sulle Catacombe è Andrea Di Jorio, uno storico procidano del ‘700 noto per aver scritto una guida sulle Catacombe che ci racconta le sue origini. L’attore che lo impersona si concede una recitazione ironica mentre fornisce dati storici e architettonici con un approccio leggero e dunque piacevole, il tutto avviene in una delle tante cupole che mi causano il mio primo attacco di claustrofobia smorzata però da una fantastica citazione che Andrea ruba a Goethe: “Napoli è un Paradiso, tutti ci vivono in una specie di inebriata dimenticanza di sé”.
Scivoliamo velocemente verso la parte inferiore delle catacombe dove assistiamo al secondo spettacolo, questa volta meno dati e più concettualità, infatti, la proiezione è incentrata sul principio della nascita, leitmotiv dell’evento. Il percorso procede al contrario e allo stesso modo, ripercorriamo la storia di questo luogo attraverso i racconti della nostra guida, Enzo dell’associazione La Paranza, e infine assistiamo a un’installazione che prende la nascita come punto di partenza per parlare di un luogo da sempre riservato alla morte. Il progetto visuale è a cura del collettivo Hypoikòn e si serve dell’architectural mapping e del sound design per costruire un racconto legato di nuovo alla nascita e sempre in forte contrasto con il luogo in cui ci troviamo.
L’ultima tappa è la Basilica di S. Gennaro, che ci ricorda l’epoca in cui viviamo dopo un viaggio nella cultura paleocristiana (mista alle nuove tecnologie off course), qui assistiamo allo spettacolo messo su da Studio Kanaka Project, Nuovo Teatro Sanità e il regista Mario Gelardi. Anche qui i temi centrali sono l’essenza umana, il viaggio, la vita.
Dopo l’immersione e dopo esserci ripresi dal continuo passaggio tra vita e morte, la vera sveglia ce la dà Scaturchio dispensatore di enormi babà. Ciao a tutti, ci rivediamo domani mattina alle 8:30 per esplorare il Rione Sanità.
Io che amo i luoghi macabri e misteriosi devo confessare che aspettavo con ansia la seconda giornata del tour perché nonostante abbia vissuto parecchi anni a Napoli, questo quartiere ha ancora un sacco di segreti per me e svelarli attraverso i racconti una guida verace è un’ottima opportunità. Antonio, ha gli occhi trasognati di un bambino ma non ci vuole molto a capire sono solo lo specchio inconsapevole di una personalità molto espressiva e decisa, i suoi racconti sono accuratissimi e basta provocarlo un po’ per farsi rivelare qualche aneddoto un po’ fuori dagli schemi.
Ci buttiamo occhi e mani nella celebre e colossale Chiesa di Santa Maria alla Sanità anche detta Chiesa di San Vincenzo alla Sanità. Il duplice appellativo è dovuto a quello che forse è uno dei tratti distintivi più forti dei napoletani, l’ostinazione. La chiesa cominciò ad essere identificata con il Santo durante l’epidemia del colera, un giorno, infatti, dopo aver portato il santo in processione arrivò una fortissima pioggia la quale si pensò stesse “lavando via il colera” dalle strade del rione, di conseguenza la chiesa fu rinominata in suo onore.
La chiesa è stata eretta intorno alla Cripta di San Gaudioso e progettata da Fra Nuvolo un architetto che fu inquisito dai Gesuiti per magia a causa della particolare architettura che contraddistingue l’edificio. Un altro personaggio poco fortunato legato alla chiesa è Giovanni Balducci, un pittore fiorentino di cui si racconta che affrescò gratuitamente la chiesa in cambio della sepoltura nella Catacomba di San Gaudioso. Dopo aver passato in rassegna leggende, la folle architettura mistica della chiesa e le varie vicissitudini, Antonio ci conduce nella Catacomba di San Gaudioso, un luogo ancor più viscerale e distaccato dal mondo di quella che ci aveva ospitato la sera precedente.
Caverne e dipinti antichissimi si celano nella poca luce e quello che più colpisce è certamente il contrasto con la fastosità della chiesa che le sovrasta. La catacomba ha origini paleocristiane ma venne recuperata in seguito dai frati benedettini i quali praticavano alcune e ai nostri occhi macabre usanze. Una di questa era la creazione di dipinti nei quali venivano incastrate le ossa dei morti, in particolare i teschi e che creano uno scenario molto rock.
Un’altra era l’utilizzo degli essiccatoi, delle poltrone scavate nel tufo sulle quali i cadaveri venivano messi a scolare. L’uomo che si occupava della cura di questo luogo era detto “schiattamuorto”, in quanto aveva il compito di punzecchiare i cadaveri per sgonfiarli e favorire la perdita dei liquidi, insomma, bella scenetta.
Corriamo verso uno dei luoghi che in assoluto amo di più a Napoli, il Cimitero delle Fontanelle, un ossario secolare che ha più storie da raccontare di quante se ne possa immaginare. L’ossario si disloca all’interno di una cava di tufo e raccoglie circa 40.000 teschi e chissà quante ossa, già nel 1656 vista l’epidemia di peste che provocò milioni di morti, si cominciò a disporre del cimitero per la raccolta di spoglie “anonime”, infatti, chi aveva migliori possibilità economiche trovava sepoltura nelle chiese.
Nel 1870 fu affidato al canonico Gaetano Barbati che per risistemare le ossa in seguito alle alluvioni dei Vergini si fece aiutare dalle “pie”, incontro che diede vita al culto delle “anime pezzentelle”. Da allora infatti, cominciò la tradizione che consisteva nell’adottare una “capuzzella” e averne cura in cambio di una grazia.
Il culto individuale prevedeva la scelta di un teschio, scelta che veniva confermata in sogno, la sistemazione su un fazzoletto o all’interno di una teca e la pulizia del feticcio, le visite erano frequenti soprattutto il lunedì, il giorno in cui si libera un posto in paradiso. Nel secondo dopoguerra le grazie che venivano richieste erano legate soprattutto alle tragedie che le famiglie avevano vissuto ma in epoca più attuale i napoletani chiedevano soprattutto i numeri a lotto e se il sabato i numeri non uscivano, il teschio veniva rimpiazzato con uno nuovo.
Dopo aver colto tutta la magia di questo luogo andiamo via ancora con l’odore di cera nelle narici e ci concediamo un bagno di sole nel caotico quartiere. Visitiamo tre antichi palazzi che sorprendono per la loro particolare architettura tra cui Palazzo dello Spagnolo. Ci salutiamo felici di aver imparato a conoscere meglio un quartiere complicato che solo pochi riescono davvero a penetrare.
Se vi va di replicare la mia esperienza, sappiate che Le luci di dentro è visibile fino al 6 gennaio, basta prenotare al numero 081.7443714 o all’indirizzo mail info@catacombedinapoli.it.