Inside the Festival | Un’intervista corale al direttivo di roBOt
Si è da poco concluso il lungo week-end di musica, arte e cultura che da sette anni va in scena a Bologna grazie a roBOt. Anche quest’anno eravamo lì e per non omettere nessun dettaglio a proposito del festival abbiamo parlato con i ragazzi di Shape per scoprire come è nato il roBOt, come si è evoluto e come sono andate le cose quest’anno. In un’intervista a dir poco corale scoprirete tutto quello che si nasconde dietro a uno dei festival più amati dai clubber di tutta Europa.
roBOt è ormai una macchina da guerra, nelle ultime sette edizioni è riuscito ad affermarsi come uno dei festival più interessanti nel panorama elettronico europeo e vanta un’ottima organizzazione. Ti va di raccontarci com’è è nato e come si è evoluto negli anni?
Andrea Giotti (project manager): roBOt Festival nasce dalla passione visionaria di un gruppo di amici che, ormai quasi dieci anni fa, dopo aver visitato i più importanti festival europei, si pone una domanda: “ma perchè da noi non è possibile realizzare qualcosa del genere?”. Da allora è iniziato un percorso lento, complicato, tortuoso ma al tempo stesso costante, gratificante ed entusiasmante che ci ha portato ad accreditarci come partner affidabile presso le istituzioni, il panorama artistico internazionale e il tessuto economico e quindi a consentirci di arrivare a questa edizione che è stata quella della svolta. Probabilmente una delle chiavi del nostro piccolo successo è stata quella di fare un passo alla volta, di consolidare sempre le posizioni di volta in volta raggiunte e di rimanere uniti senza scoraggiarci di fronte alle difficoltà e agli imprevisti. Oltre ad una piccola dose di fortuna che non guasta mai ma, si sa, la fortuna aiuta chi se la va a cercare.
Bologna è una città molto viva ma allo stesso tempo una realtà ristretta, come viene percepito il festival nel contesto urbano e culturale di questa città?
Andrea Giotti (project manager): il fervore artistico che si genera durante i giorni del festival coinvolge tante fucine creative cittadine e testimonia la posizione che roBOt ha acquisito nel panorama culturale di Bologna, che ormai lo riconosce come punto di riferimento nell’ambito delle arti digitali. Se pensiamo al contesto urbano, è interessante constatare come roBOt sia stato riconosciuto come reale investimento futuro per la città di Bologna, che a fronte di un capitale iniziale quasi totalmente privato, ha saputo generare un impatto economico positivo sull’intero tessuto cittadino. Se pensiamo che il Sònar di Barcellona, a fronte di un investimento iniziale di 6 milioni di euro, ha prodotto un indotto di 56 milioni di euro (studio Deloitte 2010) e che i numeri di roBOt, sebbene siano molto diversi in termini assoluti, seguono lo stesso trend di crescita in termini relativi, allora il passo è breve per spiegare come il festival possa diventare uno strumento di crescita economica di Bologna. Con buona pace di chi ancora ritiene che con la cultura non si mangia.
Chi c’è dietro a Shape e quali sono le altre realtà coinvolte?
Francesco Salizzoni (direttore produzione e presidente Shape): Shape è composta da sette persone con background molto diversi fra loro. Riteniamo che – per gli eventi legati alle arti digitali – ci siano grandi spazi di crescita sia in termini di offerta che di pubblico. Per questa ragione crediamo nella sperimentazione e nella ricerca/sviluppo di nuovi approcci che riguardano la scelta e la presentazione dei contenuti. Shape è l’anello di congiunzione di diverse realtà che lavorano sinergicamente per roBOt Festival. Se da un lato tutti gli aspetti organizzativi sono coordinati e gestiti internamente, dall’altro Shape delega l’operatività a realtà terze, mantenendo allo stesso tempo il totale controllo delle scelte strategiche e dei processi. Con questo approccio, Shape garantisce la scalabilità del festival ed è capace di crescere di anno in anno nonostante il grado di complessità sia sempre maggiore.
Il vostro Manifesto si spinge ben oltre il puro intrattenimento musicale e artistico e parla di società cultura e rapporto con i nuovi media. Puoi raccontare ai lettori pigri che non lo leggeranno, cosa muove la stesura di questo statuto?
Antonio Puglisi (direttore della comunicazione): Ogni anno chiediamo ad un ricercatore dell’Università di Bologna di sviluppare il tema del festival, il manifesto 2014 è stato scritto da Laura Sartori, mi viene da dire che è sicuramente lei la persone giusta a cui fare questa domanda. In ogni modo, da parte mia, posso dire che #lostmemories è stato un ulteriore passo fatto nel percorso di indagine – iniziato lo scorso anno con #digitalvertigo – che stiamo svolgendo nel campo dei new media. Siamo molto affascinati da come la tecnologia stia cambiando il modo di interagire fra le persone. Cambia tutto e molto in fretta. Cambia la il linguaggio sempre più veloce e crossmediale – fatto di immagini, brevi testi e audio. Cambia il modo il cui il nostro cervello seleziona e memorizza i ricordi. Nuovi processi di economia cognitiva. Abbiamo chiesto, tramite il nostro bando call4roBot, a giovani artisti di rappresentare questi cambiamenti – il risultato è stato sorprendente. Vi invito a dare una sguardo ai progetti selezionati, sono disponibili sul nostro sito: call4roBOt.
Cosa succede nel background del festival? Quali sono le eventuali difficoltà organizzative? La burocrazia e la logistica hanno rappresentano un ostacolo?
Francesco Salizzoni (direttore produzione e presidente Shape): Gestire la crescita e quindi la sempre maggiore complessità del festival è l’aspetto che Shape deve dominare ogni anno. Ci vogliono circa 10 mesi di lavoro per sviluppare l’intera idea che parte ogni anno da un tema scelto ad hoc. Da questo tema si sviluppa il manifesto del festival e a seguire l’immagine coordinata e i contenuti artistici. Parallelamente vengono definiti tutti quegli aspetti trasversali che garantiscono la qualità del festival anche dal punto di vista dei servizi . La burocrazia è difficile da gestire, costa molto in termini sia economici che di tempo messo a disposizione. Molte di queste attività (come ad esempio protocollare la domanda di pubblico spettacolo per le attività produttive) vengono delegate ad aziende terze. La logistica è parte integrante della produzione ed è composta da risorse umane e da una buona progettazione del flusso di fornitori coinvolti nel festival. Burocrazia e logistica vanno gestite con il giusto anticipo e grande attenzione, mettendo in campo le giuste risorse e una corretta progettazione.
Ma parliamo della line-up, musicisti da ogni parte del pianeta hanno fatto parte della cerchia che ha deliziato il pubblico di roBOt07 #lostmemories. Qual è la filosofia che sta dietro queste scelte e come le collaborazioni hanno influenzato l’offerta musicale del festival?
Marco Ligurgo (direttore artisitico): Il mio lavoro si basa sulla costante ricerca musicale che inizia dentro il mio laptop – da buon dj ascolto tantissima musica – prosegue con la lettura di riviste specializzate e spesso passa anche attraverso il confronto con tanti giornalisti ed appassionati musicali. Tutti sono per me fonte di ispirazione, seguo e provoco discussioni su artisti per capire come vengono percepiti, poi una volta individuato un elenco di nomi, faccio la mia selezione e parto in giro per l’Italia, per l’Europa, per il mondo, attraversando club e festival. Ogni occasione è buona per confermare o restare delusi da un artista, tante volte mi capita di andare per ascoltare un artista e alla fine ne scopro uno nuovo, è eccitante. Dopo la ricerca, inizia il lavoro fatto di mail e telefonate: lunghe trattative a volte estenuanti. Qui entra in campo la mia rete di relazioni con agenzie nazionali, internazionali, essere corretto, trattare bene artisti ed agenzie e far crescere il festival e farlo rispettare. Tutto questo e’ importante per me. È un percorso che dura circa 9 mesi da novembre a luglio e’ davvero come un parto. La difficoltà sta nel creare un cartellone col giusto mix tra headliner, artisti di qualità riconosciuti, nuove promesse e talentuosi perfetti sconosciuti. Le scommesse in particolare presuppongono fiuto e rischio oltre ad oculatezza: ho un budget da gestire e non posso sforare! Anche la visione delle location, degli orari deve essere chiara ed ancora una volta in questo mi aiuta l’essere dj. Una delle più grandi soddisfazioni consiste nel vedere che ogni artista si sente inserito nel giusto contesto, al giusto orario. È in quel momento che ho la certezza di ricevere il massimo dalla loro performance (mi prendo il rischio e il merito di aver messo ad esempio Jon Hopkins nella fascia oraria che in Italia è solitamente dedicata a Jeff Mills o Hawtin). In questo percorso devo ringraziare i miei soci che si fidano ciecamente di me e anche chi collabora col festival come Redbull Music Academy: è un partner perfetto, in totale sintonia e simbiosi con i miei gusti e le mie scelte, e’ bastato un incontro a Berlino e qualche mail per individuare i nomi giusti per la loro sala che comunque è curata da me in piena autonomia. Anche loro, come tanti, dopo averci studiato ora si fidano di noi, di me. E’ una grande soddisfazione.
Un altro aspetto interessante è quello artistico, infatti, anche quest’anno il bando call4roBOt ha chiamato ad esprimersi giovani artisti delle arti visive. Inoltre, cinque opere inedite prodotte da roBOt e una residenza d’artista hanno completato il quadro. Come convivono l’ambito artistico e quello musicale all’interno di roBOt?
Federica Patti (curatrice sezione arti visive e bando call4roBot): I progetti di arti visive sono parte integrante del programma del festival, si concentrano nei 4 giorni di palazzo Re Enzo ma quest’anno sono stati accolti anche da altre realtà cittadine che si occupano di ricerca artistica, distribuendosi in collocazioni non convenzionali pubbliche e private (spazi urbani, gallerie, associazioni culturali…). L’obiettivo è far vivere l’esperienza roBOt anche attraverso l’arte, nei suoi territori di confine e di dialogo con il mondo digitale e sonoro. Questa indagine è affidata a due sezioni: il laboratorio sperimentale del bando call4roBOt – rivolto a realtà emergenti e progetti artistici attinenti ogni anno al tema portante della manifestazione, in questo caso i 25 progetti selezionati si confrontano con il titolo #lostmemories – e i progetti curatoriali, con cui il festival si fa committente per offrire lavori inediti e site specific, coinvolgendo artisti nazionali e internazionali, quali Antonello Ghezzi (IT), Icaro Zorbar (CO), Jonathan Monaghan (US), Quiet Ensemble (IT) e Mattia Casalegno (IT). Da quest’anno, all’interno dei progetti curatoriali, roBOt promuove anche una residenza artistica internazionale dedicata alle arti digitali e alla musica elettronica: il primo artista invitato è stato il colombiano Icaro Zorbar, che ha realizzato un’opera collettiva insieme a un gruppo di giovani artisti della città, esposta nel foyer del MAMbo per tutta la durata del festival. Diamo inoltre spazio anche alla didattica, con roBOt Kids, laboratori pensati per far interagire i bambini con gli artisti di roBOt, realizzati in collaborazione con il Dipartimento educativo del MAMbo. Queste attività insieme costruiscono un percorso articolato attraverso performance, installazioni, video, animazioni….offrendo al nostro pubblico una vera e propria immersione nei suoni e nelle immagini di roBOt.
Parliamo di cinema, la sezione Screenings ha ospitato alcuni interessanti film legati dal filo “storia e società”. Come sono stati selezionati e come questa sezione ha arricchito l’offerta del roBOt?
Elisa Trento (curatrice sezione Screenings): Per l’edizione 07, il cui tema è #lostmemories, è stata fatta un’ampia ricerca di titoli che sapessero recuperare il senso ampio della storia, sia in riferimento ai contesti sociali, sia rispetto ai contributi artistici. L’approccio ambizioso della selezione Screenings di quest’anno è quello di recuperare memorie importanti e rielaborazioni curiose di stili e immagini passate e contemporanee. Memore ritrovate – trame che disegnano e rielaborano la narrazione collettiva: 12 proiezioni attraversate dal fil rouge “storia e società”, dove a fare la differenza sono i contesti geografici e sociali che influenzano modalità musicali, culturali e creative: dalla Russia al Canada, da Tokyo a New York, passando per la Thailandia e la Siberia. In ognuno dei lavori selezionati, seppure in maniera diversa, a colpire è il legame con la storia, la rielaborazione cosciente di una e più memorie collettive. La sfida in fondo è far comprendere che tutto ciò che si vive in questi contesti, dal semplice ascolto alle sensazioni collettive del ‘dancefloor’, è frutto di un processo intrinseco alla storia dei suoni, delle immagini, dell’evoluzione degli strumenti e della tecnologia, assieme all’arte dei pionieri.”
E infine, com’è andata quest’anno? Facciamo un bilancio dell’edizione appena trascorsa?
Antonio Puglisi (direttore della comunicazione): La VII edizione di roBOt Festival ha chiuso i battenti con la massima affluenza da quando ha inaugurato nel 2008, registrando oltre 20.000 presenze tra Teatro Comunale, Palazzo Re Enzo, MAMbo e Fiera di Bologna (senza considerare le location off). E’ il record di presenze raggiunto fino ad oggi dal festival: per cinque giorni la città di Bologna ha visto partecipazione di tantissimi visitatori, metà dei quali provenienti da fuori regione. Un pubblico giovane e internazionale, disposto a viaggiare, richiamato dal ricco programma che ha presentato i nomi più prestigiosi del panorama musicale internazionale. Con 123 act in cartellone, quest’anno roBOt Festival delinea ancora di più l’orizzonte artistico e culturale, confermando la vocazione che lo distingue fin dalla sua prima edizione: coniugare musica e arti digitali, mainstream e ricerca, nomi affermati e talenti da scoprire, grazie ad un programma molto articolato che coinvolge quattro sezioni. A partire da quella più importante, dedicata alla musica contemporanea con 39 Live e 26 Dj-set, passando attraverso la sezione dedicata alle arti visive che tra progetti curatoriali e bando call4roBOt, ha visto in cartellone 17 Performance, 9 Video, 2 Videomapping e 14 Installazioni. Sempre più ricca la sezione dedicata al cinema con 8 proiezioni quasi tutte in anteprima italiana, in crescita le inziative dedicate ai bambini con due appuntamenti (CoderDojo e roBOt Kids), per finire con 8 momenti di approfondimento, tra Talks e Workshop.
La qualità dei contenuti, il cambio location, il lavoro di una grande squadra (200 professionisti e 100 volontari) e l’averci creduto fino in fondo hanno determinato la buona riuscita di questa edizione: l’investimento economico è raddoppiato rispetto all’edizione 2013, superandoo i 600 mila euro di investimento. Il sold out è stato registrato sia durante la preview al Teatro Comunale di Bologna che a Palazzo Re Enzo nelle giornate di giovedì, venerdì e sabato. In Fiera, dove si è svolta la parte notturna del festival, il sold out di sabato 4 ottobre è stato rapidissimo e annunciato già dal giorno prima, mentre la serata di venerdì ci è andata molto vicino. Una edizione che ha visto soddisfatti tutti, a partire dagli dagli artisti coinvolti, passando attraverso gli addetti ai lavori fino al pubblico, che ha dimostrato di aver apprezzato lo sforzo organizzativo, i servizi e i contenuti in programma.
Tutte le foto sono Mario Covotta.