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Gianluca Maver, un fotografo oggettivo

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Ieri ho visto The Great Gatsby. Mi è sembrato un gran bel film (cazzo, a fare un brutto film su Gatsby con Di Caprio ci riuscirebbe solo Gigione) ma un pochino troppo barocco, in certe sue parti. A me le cose eccessive non piacciono troppo (a meno che non siano molto autoironiche). Questo per dire che Gianluca Maver è un artista davvero poco eccessivo che arriva al punto in modo piuttosto diretto. Senza orpelli. 

Network Tree

Metti una persona che prende un cavalletto fotografico e ci installa sopra un albero e poi, fotografa il tutto. Metti qualcuno che proietta dentro una casa filmati di esterni, di nature varie e poi, fotografa. Che cos è? Un fotografo, uno scultore, un artista?

 

La mia formazione è soprattutto fotografica ma l’interesse generale per le arti visive mi porta a sperimentare o meglio ad utilizzare i media più adatti a trasmettere ciò che voglio esprimere… I cavalletti, fotografati con l’innesto di alberi diversi, equiparano la stessa quantità di natura e cultura, il progetto si chiama network tree e mostra una sorta di metamorfosi fra oggetti naturali ed artificiali. Una natura, forzata e manipolata manualmente a tal punto da renderli quasi possibili… e infine, fotografati… mi creo il set! In out in nature, invece, la natura è riportata all’interno del fienile tramite due video-proiettori. E’ una retro-proiezione, un’installazione, e in questo caso la natura è stata fotografata prima per poi essere stata proiettata in un secondo tempo: adattata quasi maniacalmente allo spazio tenendo conto delle distanze, delle dimensioni, della densità di luce, cosi da creare veramente uno scenario possibile e reale… L’installazione è durata solo 12 minuti, il tempo giusto per confondersi con la densità del cielo delle 21.45 di un estate. In sintesi, anche quando mi trovo a costruire degli scenari e ad utilizzare media diversi, mi sento più fotografo…

Out In Nature

La prima cosa che mi ha colpito del tuo lavoro è stato l’uso delle ragnatele. In effetti penso di essere sempre stato attratto da esse per il loro essere delle architetture perfette: tanto fragili e tanto silenziose, qualcosa che nessun architetto umano raggiungerà mai. Qualcosa di adatto ad ospitare la vita. E’ come se tu avessi catturato qualcosa che mi piace. E’ questo “il lavoro” di un fotografo?

 

Ci sono molti modi di utilizzare la fotografia, è difficile dare un senso univoco. Questo mi è ancor più chiaro dal giorno che partecipai ad una tavola rotonda definita la prima a livello nazionale (e forse anche l’ultima). Ad un certo punto Claudio Marra disse: “definire cosa è la fotografia oggi è impossibile, è come parlare di medicina: ci sono tante branchie ed ognuna ha scopi ed interessi diversi, c’e quella che si occupa di chirurgia, chi di cardiologia, chi di odontoiatria, e cosi via…”.

Direi che ci sono modi diversi di utilizzare la fotografia o le immagini, ed ognuno ne fa un uso più o meno singolare: chi preferisce mostrare le bellezze che ci circondano, chi lavora con il mezzo a livello introspettivo, chi a livello commerciale, chi a livello documentaristico, chi per denuncia, chi per ricerca e c’è anche, chi la utilizza come terapia. Credo che la cosa più importante da fare sempre è comunicare qualcosa. Collegandomi al lavoro delle ragnatele, il mio interesse è nella precarietà di queste, di come si relazionano con lo spazio, e nel tempo incalcolabile che è servito per produrle, certe ragnatele trovate hanno un diametro  pari a quella di una corda di 20 mm e occupano uno spazio di 2 metri… ma sono fragili e labili, pronte ad essere spazzate via in un attimo, è questa la riflessione o il senso che più mi interessa, in quanto la relaziono a noi stessi…

Posso chiederti come lavori? Nel senso, te ne vai in giro e aspetti che qualcosa ti chieda d’essere fotografato oppure esci di casa con progetti ben precisi?

 

Difficilmente colgo l’attimo. In genere esco di casa con progetti ben precisi, anche se devo ammettere che a volte è capitato di uscire di casa e cambiare forma al progetto. Anche quando mi capita di vedere qualcosa di interessante e inerente alla ricerca in corso, tendo ad aspettare e tornare a fotografare in seguito, aspettando anche diversi giorni a volte mesi…

 

Hai spesso sostenuto che delle tue fotografie vada apprezzato lo sforzo verso l’oggettività. Ora vorrei che mi aiutassi a fare una specie di gioco: hai fotografato un cappio e l’hai chiamato Il senso del male. Quel cappio, per come l’hai fotografato tu, sembra nient’altro che corda. Poi però mi rendo conto che questo rende il tutto ancora più inquietante. Sono sulla strada giusta?

 

Sono contento che ti sia fermato un secondo in più sull’immagine, altrimenti sì…sarebbe stata una semplice fotografia di una corda. Le mie immagini sono lente, inizialmente silenziose e a volte apparentemente banali, quindi richiedono un attimo in più per essere tradotte. Il senso del male, è il nome del premio arti visive San Fedele Arte, l’immagine è stata realizzata in occasione del concorso stesso, quindi rispettando questo criterio… il titolo dell’opera è 30 dicembre 2006. Potrei aggiungere il luogo Al-Kazimiyya, che è stato il giorno di un’esecuzione importante a livello storico.

Ho notato che di rado fotografi persone. Ti soffermi piuttosto spesso, invece, sulle loro tracce, sui segni che lasciano nei posti che frequentano. Credi che questi raccontino meglio di noi stessi ciò che siamo?

 

Sì, fotografo pochissimi volti ! Spesso ho raccontato/racconto delle persone tramite le loro tracce lasciate, anche se l’interpretazione è molto soggettiva i segni possono raccontare molto di quello che siamo, nascondono tante storie diverse per ognuno di noi, il nostro immaginario ci porta a creare o a ripensare a fatti accaduti e la chiave di lettura di queste tracce o segni è molteplice. Nello specifico un lavoro alla quale tengo particolarmente, dove le tracce sono veramente il soggetto principale è Le Murate, un progetto sviluppato all’interno di un carcere abbandonato  a Firenze dove ogni cella aveva racchiuso in se una storia diversa, e dove le tracce, soprattutto lasciate da disegni e ritagli di giornale (come: giocatori di calcio, cantanti, macchine, moto, donne nude) attaccati alle pareti raccontavano le preferenze personali delle ultime persone vissute all’interno della cella.

L'Arno, un percorso visivo

Hai ricevuto un casino di premi e partecipato ad un altro casino di esposizioni. In che modo questo ha cambiato, concretamente, la tua vita?

 

Non saprei darti una risposta affermativa, oltre che ad aver allargato un network di conoscenze, posso dire che spesso sono esperienze gratificanti che rigenerano e mantengono vivo dentro di me il valore che ho per la fotografia, sono stimoli positivi.

Le Murate

A quanto ho visto sei stato selezionato per esporre al MoCa ed alle Biennali di NY e di Dubai. Ho letto che hai esposto anche alla NY Univeristy. Quello che voglio chiederti è se secondo te esista una differenza sostanziale tra il modo di trattare la cultura all’estero e il (non) modo di farlo in Italia. Voglio anche chiederti se c’è davvero un valore specifico degli artisti italiani che andrebbe valorizzato. Se gli italiani “lo fanno” ancora bene.

 

Di fatto, all’estero investono in cultura a livello pubblico e a livello formativo, quando penso che in certi paesi europei o extra-europei esiste un sussidio per gli artisti, sento la povera Italia ancora più povera, e penso alla grande fortuna che hanno questi artisti…quando sei all’estero questo rientra nella quotidianità, per loro è normale. Questo aiuto dà la possibilità all’artista di lavorare più seriamente e serenamente, ed investire il tempo necessario nella ricerca, senza doversi trovare altri lavoretti per mantenersi. Inoltre è uno stimolo ad invitare gli artisti a fare gli artisti. Secondo me ci sono molti artisti noti ed emergenti italiani molto validi, che “fanno” bene il loro lavoro. Di qualcuno se ne sente parlare spesso, di altri meno, comunque ci sono gallerie italiane importanti che portano molti artisti a fiere importanti “estere”, e dove spesso il lavoro viene valorizzato. In Italia e soprattutto in questo periodo è più difficile, ma esistono molte realtà “private”, mentre a livello pubblico manca veramente una valorizzazione dell’arte contemporanea.

Ideologies: America

Voglio chiederti che ne pensi, da fotografo di fotografie artistiche, dei seguenti fenomeni: 1) il dilagante fenomeno di diffusione delle reflex; 2) il dilagante fenomeno di gente che dice di essere fotografo perché ha una reflex; 3) Istangram e i filtri che sembrano tutti bravi.

 

Il dilagante fenomeno di diffusione delle reflex “digitali” non è un male se questi non si sentissero come il punto 2. La diffusione di macchine fotografiche reflex digitali, dove basta un click per avere un immagine tecnicamente buona corrisponde al boom delle macchine compatte analogiche degli anni 70, sono per la massa che vuole vedere le proprie immagini “migliori”. Di questi, qualcuno sviluppa un interesse maggiore che vuole andare oltre il semplice scatto “semplificato” dalla resa della macchina, e tende ad avvicinarsi ad una ricerca più approfondita…mentre qualcuno anche dopo anni che la possiede mi chiede, “ ma a cosa servono M, A, S, P o M, AV, TV, P ”…

Per il punto 3, il fenomeno Istagram ha abbracciato a pieno la globalizzazione dell’appiattimento dei gusti, dello stile e del linguaggio. Qualcuno mi ha voluto convincere che in un certo senso potrebbero sembrare immagini di Luigi Ghirri, ma forse non hanno le idee chiare, di cosa c’è stato dietro, e di quella leggere differenza che corre fra un immagine di Ghirri e quelle che si vedono on-line.

La Notte

Ultima domanda, la più facile: perché fai fotografie? Perché sentire l’esigenza  di documentare quello che, semplicemente, esiste?

 

Perché fotografi? la trovi la più facile? In realtà fotografo perché mi piace dire qualcosa con un mezzo che non sia la bocca o la scrittura, per far provare emozioni davanti a quei soggetti che potrebbero sembrare insignificanti, che il più delle volte non notiamo nemmeno, ma che visti in un secondo tempo portano a riflessioni più profonde e anche a un piacere estetico, sfruttando le potenzialità del mezzo. È vero che fotografo ciò che esiste, ma non sempre è una mera riproduzione del reale, il più delle volte mi servo di ciò che esiste anche per dire altro che vada oltre il senso oggettivo.

Hospital

Gianluca Maver | sito  – Facebook

 

 

Stefano Pontecorvi

scritto da

Questo è il suo articolo n°64

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