Intervista a IABO
Qualche tempo fa avevamo pubblicato un articolo sul progetto/performance di Augusto De Luca e IABO, “cacciatore di graffiti”. La cosa ci aveva incuriosito molto e siccome siamo soliti approfondire su tutto quello che più ci piace, oggi vi presentiamo anche l’intervista ad uno dei protagonisti.
– Non vedo differenza tra un writer e un artista, comunque chiamatemi semplicemente artista. Detesto quegli artisti che quando vengono definiti così dicono con falsa modestia: “che parolone! noooo”…E’ come andare dal dottore e dire: “come la devo chiamare?”
– Visto che siamo in tema, ci daresti la tua definizione di “Arte” e di “Artista”?
– Vedo l’Arte come un gigante con un terzo occhio che ha la possibilità di osservare le cose più in lontananza e prima degli altri. Questo gigante ha il compito di assorbirle e vomitarle in qualsiasi forma possibile e metterle in circolo, affinché tutti possano goderne democraticamente. Si continua a pensare all’artista come ad un bohémien parigino con l’aria da poeta e la tela sotto il braccio. Certo è un’immagine bella e romantica, ma anacronistica. Sebbene ancora oggi ne esistono di bohémiens rinchiusi nei loro studi, isolati nel loro mondo creativo, credo che gli artisti debbano mettersi in relazione con un contesto mondiale, con la sua smisurata produzione culturale ed economica.
-Era il 1994, avevo circa 14 anni. Ero il classico ragazzino irrequieto di periferia con il forte desiderio di dire a tutti: “io esisto”. In quel periodo iniziai a fare skateboarding e attraverso i pochissimi video e le riviste che circolavano a quei tempi cominciai a vedere dei graffiti. In realtà nel 1987, alla tenera età di 7 anni avevo già avuto la fortuna di vedere a New York la sua famosissima subway che ancora oggi ricordo perfettamente. A Napoli in quel periodo erano pochissimi i writers e di pezzi se ne vedevano davvero pochi, tranne qualcuno al centro storico e sulla metro, realizzati da Polo, Zemi e Shaone.
Subito mi appassionai a quella disciplina (allora non sapevo nulla di questa forma di espressione e dei suoi legami con l’hip hop). Immediatamente individuai un muro vicino casa mia e munito di guanti da cucina, 4 spray comprati alla ferramenta e un disegno appena abbozzato con su scritto IABO OR DIE feci il mio primo pezzo. Dunque fu allora che iniziò il mio percorso nel mondo dei Graffiti. IABO è il nomignolo che mi affidarono i miei amici di skate, poiché qualcuno mi fece notare la mia somiglianza con uno degli attori del famoso film “California Skate”… da quel momento tutti mi chiamavano IABO e quella divenne la mia tag. Molte sono state le crew di cui ho fatto parte dalla TPC, 13 BASTARDI, MCF, KTM, dove tutt’ ora ne faccio parte. Poi ad un certo punto del mio viaggio nel writing ho sentito l’esigenza di effettuare degli scarti. Oltre allo spray e alle lettere infatti ho iniziato ad utilizzare nuove tecniche e nuove forme di comunicazione come la pittura, la scultura, i manifesti, gli stancil, gli stickers, il video, la performance arrivando al punto di non sentirmi più soltanto un writers.
Certo, quello resta il mio fondamentale e imprescindibile background, sempre percepibile nel mio lavoro. Tuttavia attuare dei cambiamenti è fondamentale per crescere artisticamente e ricercare nuove forme di espressione, altrimenti c’è il rischio di restare imbrigliati in un’unica formula creativa, limitata e limitante. Come afferma Mara De Falco in un suo testo: “L’arte per IABO è ecologia. Intesa come riutilizzo di risorse creative. Consapevole dell’impossibilità di aggiungere all’esistente qualcosa d’inedito, sceglie di procedere per sottrazione, di esplorare anziché inventare. Terminato il tempo delle eclatanti rivoluzioni, superata l’idea dell’opera che fa gridare all’innovazione, Iabo succhia la sua linfa comunicativa dal mondo, la rimesta, la trasforma e poi la immette in un nuovo ciclo vitale. Tant’è che il suo linguaggio risulta immediatamente decodificabile, poiché la componente semantica – sebbene imperniata su concetti talvolta complessi – è veicolata attraverso una semiotica ampiamente diffusa e riconoscibile.
L’arte si riappropria così della sua utilità. Liberata dall’autoreferenzialità che non di rado la domina, essa diventa strumento divulgativo, in un’accezione non demagogica ma egalitaria. Al punto che la relazione medium/messaggio è percepita in termini più funzionali che meramente estetici o concettuali. Un alfabeto versatile e universale, contaminato e contaminante, che trova la sua ragion d’essere nell’attimo in cui colma distanze, tesse relazioni e innesca reazioni. Un continuo processo di de-strutturazione e di ricomposizione con cui Iabo si fa interprete del nostro tempo. Qui sta la sua forza e, inconsapevolmente, la sua innovazione.”
– Cosa ti ha spinto ad intraprendere questo percorso e soprattutto perché non cercarsi subito un lavoro serio ?
– Dipende da cosa intendi per lavoro serio. Lavorare in banca o alle poste? Comunque, sicuramente non ho “deciso” d’intraprendere questo percorso, è successo tutto automaticamente e all’improvviso. Qualche anno fa non davo importanza né ai soldi né alla fama. Facevo semplicemente quello che sentivo di fare, cioè comunicare senza nessun particolare scopo o fine. Oggi dopo aver fatto un po’ d’esperienza ti posso dire che bisogna fare attenzione alla propria produzione e a chi la gestisce, e ti posso dire anche che questo è un lavoro a tutti gli effetti. E’ un luogo comune il fatto che quello dell’artista non sia un lavoro serio o che, peggio, non sia affatto un lavoro. L’arte ti impiega 24h al giorno… non stop.
– Detto fra noi, si può campare d’arte al giorno d’oggi ?
– Probabilmente se metti a frutto l’esperienza e quella capacità tutta partenopea di saper giostrare gli affari è possibile che in qualche modo si riesca a campare anche d’arte. L’arte è un grande business, tutti lo sanno, dunque se non si ha un certo spirito imprenditoriale mi sa che è meglio cambiare mestiere.
Rispetto al mercato dell’arte penso che sia necessario creare uno spostamento radicale. La ricerca di molti giovani artisti è destinata spesso ad un nuovo tipo di fruizione, più fresca ed immediata. Pertanto la loro produzione non è adatta al collezionismo elitario che segue il tradizionale circuito galleristico, Dunque è necessario ipotizzare nuovi canali di vendita.
– Tu ci campi ? se no come provvedi ad arrotondare il bilancio ?
– Dato per scontato che già campare è una fortuna, posso dire che attualmente riesco più o meno a camparci. Tuttavia per arrotondare lavoro come graphic designer e art director.
– Tornando alla tua attività, chi sono stati e chi sono tutt’ora gli artisti a cui ti ispiri ?
– Sinceramente trovo riduttivo citare qualche artista o qualche corrente artistica. Secondo me l’errore è già nella domanda: perché bisogna aspettare l’ispirazione? L’attesa è un frattempo che provoca inutili pause nel proprio lavoro. Sono questi momenti che rendono l’arte e gli artisti noiosi nei contenuti. Io suggerisco meno ispira e più azione!
– Chi è il tuo mito oggi nel mondo dell’arte ?
– Non credo nei miti. Comunque apprezzo molto Maurizio Cattelan.
– Chi vorresti diventare ? Non mi dire anche tu Banksy.
– Quello che sono però amplificato al 1000 per 1000. Banksy?! Chi sono quelli che lo vorrebbero diventare? Ma tu ci credi ancora in questa favola?
– Dipende di quale scena parli. Se ti riferisci all’arte contemporanea in senso stretto, ti posso dire che a dominare il contesto giovanile ci sono una ventina di artisti under 30 o poco più che lavorano quasi tutti stabilmente con le poche gallerie del territorio. Devo dire ad onor del vero che quasi tutti sono di ottimo livello, paragonabili ad artisti di respiro internazionale.
Se invece parli del circuito urbano ti posso dire che Napoli nel suo grembo nasconde una fucina di creativi urbani molto sottovalutati dalla contesto territoriale. Le strutture che producono e promuovono arte nelle metropoli investono su questi giovani creativi sempre e solo dopo che il loro successo è conclamato. Allora la città li riconosce. A questo punto è meglio attrezzarsi prima e saltare fuori dalla giungla. Al momento non mi sento di dire chi sono le nuove promesse….stiamo ancora aspettando delle conferme…
– Napoli e l’arte: secondo te un giovane artista a Napoli ha la possibilità e gli spazi (fisici e culturali) per farsi conoscere? A quanto il tuo trasferimento a New York?
– Un giovane artista napoletano trova sicuramente difficoltà a mostrarsi e a farsi conoscere. Basti pensare che in città esistono non più di 15/17 gallerie e che gran parte di queste lavorano esclusivamente con artisti già affermati. Le possibilità in città per i giovani creativi sono davvero ridotte in confronto ad esempio ad un contesto come Milano, in cui esistono circa 800 strutture tra gallerie e spazi alternativi. Parlano i numeri ma io confido molto nelle grandi istituzioni pubbliche come il museo MADRE e il PAN che secondo me stanno facendo un ottimo lavoro per la città. Io fortunatamente non ho avuto di questi problemi.
Gli spazi me li sono presi da solo lavorando per strada, tant’è che le mie opere erano visibili tutti i giorni, ad ogni ora e gratuitamente… per me questo è stato l’unico modo possibile per mostrarmi e ha funzionato, perché ad un certo punto non ero più ricercato dalla digos ma dai galleristi e dai collezionisti. Riguardo al mio soggiorno a New York posso affermare con certezza che è stato costruttivo da ogni punto di vista. La grande mela offre a tantissimi giovani la possibilità di “fare”. Tuttavia in quel contesto non è semplice riuscire. NY è una città complessa, ma se tieni duro poi tutto ti sarà ripagato. Sicuramente per me NY sarà la tappa finale. La amo e ci vado quasi ogni anno. La scelta di ritornare a Napoli fu molto difficile allora, ma oggi ho capito che la mia città mi ha dato tanto, e che voglio portare la mia cultura in giro per il mondo attraverso le mie opere.
– L’arte in qualche modo potrebbe dare un contributo, ma non alla risoluzione del problema che è di competenza politica. Potrebbe intervenire sull’educazione culturale attraverso la comunicazione visiva. Lo Stato e le aziende ora dovrebbero impiegare i creativi per fare delle incisive campagne sulla raccolta differenziata e sullo smaltimento dei rifiuti. Nel mio piccolo ho già contribuito con ASIA e il COMUNE DI NAPOLI alla realizzazione della prime isole per la raccolta differenziata a Napoli. Mi sono occupato di tutta la parte visiva e comunicativa dei points di prossima apertura. Uno di questi è già attivo a Ponticelli.
– La collocazione, l’aspetto e le dimensioni di una galleria non sono importanti. Ciò che fa davvero la differenza è chi la gestisce e le sue metodologie di lavoro. Del resto non è detto che le cose più grandi e più belle siano le migliori. Probabilmente la galleria intesa come spazio espositivo elitario non è più compatibile con il nostro momento storico. La NOTgallery ne è consapevole, tant’è che si configura come uno spazio alternativo (lo dice il nome stesso: “NOT”).
Essa affonda le sue radici nella cultura contemporanea ma allo stesso tempo si propone come factory, agenzia, laboratorio, dove artisti, curatori, designer, architetti, grafici e creativi in genere si mescolano, si confrontano come in una centrifuga in cui s’innestano relazioni, creando così nuove ipotesi di promozione, produzione e fruizione dell’arte.
– Dove possiamo venirti a vedere prossimamente ?
– Il 27 settembre in una rassegna video intitolata “CAMERA CON VISTA”, curata da Adriana Rispoli ed Eugenio Viola al museo PAN. Nello stesso mese a Milano per LAB81. Dal 24 novembre all’8 dicembre sempre al PAN, nella collettiva “12×12 visualart”. Ad ottobre/novembre per la mostra “Giallo Napoli” al Castel dell’Ovo. Poi tutti i giorni e in ogni angolo delle vostre città!!!
– Iabo in realtà quest’intervista era la scusa per chiederti un’altra cosa, a Napoli dov’è che si mangia una pizza davvero insuperabile?
– Ormai la pizza non la mangio più né vicino al mare né sotto al sole e nemmeno col sottofondo del mandolino… proviamo a reinventare Napoli!
– Grazie e spero che tu non ci abbia preso troppo sul serio.
www.myspace.com/iaboindustrius
– Dimitri Grassi