Vuoi essere informato sui nostri Ticket Deals?
Iscriviti alla nostra newsletter.

* obbligatorio
Close

Intervista a 2501

Si parla di:

Dopo una cena in trattoria, in una classica serata milanese avvolta dalla nebbia senza colori, parliamo dell’evoluzione della street art con 2501, il quale ha appena inaugurato la mostra Veicolo Adamantino presso The Don Gallery di Milano. Chi meglio di 2501, pioniere dell’urban art italiana, poteva aiutarmi a decifrare un movimento cresciuto così tanto?

foto di ©ENDSTART PHOTO - 2501 alla Don Gallery

All’inaugurazione della tua mostra c’erano i maestri del writing e della “street art” milanese. Secondo te come viene vista la street art da un artista della cosiddetta old school e da un ragazzo che si avvicina solo ora a questa corrente?

 

Chi ha incominciato a riappropriarsi degli spazi della propria città prima del 2000 ha vissuto gli ultimi dieci anni di un’epoca, cominciata negli anni ’80, ormai chiusa. Chi iniziava in quegli anni voleva solo dipingere, non c’era il cosiddetto mercato della street art, si dipingeva per spaccare. Era come andare a giocare a pallone ed io l’ho sempre chiamata “pittura sportiva”. Ora è diverso. Chi inizia ha già in mente altri esempi, internet mostra ogni giorno migliaia di pezzi da tutto il mondo e così avere una foto su Facebook è più importante che aver dipinto un bello spot nella tua città. Gli spray sono al sapore di fragola con degli skinny (tappo fine per gli spray) fini e gestibili come una matita.
Gli anni ’90 sono finiti: allora c’era aria di rivoluzione che ora è sparita. Non voglio dire che “old” è meglio di “new”, ci sono tanti artisti giovani e validi, quello che intendo è che un’epoca è andata e mi sento fortunato di averla vista.
La lezione che deve lasciare il passato è che la voglia di essere creativi liberamente, senza stare in nessuna logica di mercato o di successo, è il vero punto di forza di questo movimento: trovarsi a tu per tu con la tua città e decidere, senza doppi fini. AGIRE.

 

Insieme abbiamo colorato molte superfici, ci siamo mossi come fantasmi in nebbie come quella di stasera, con lo scopo di dipingere, pensando solo alla soddisfazione di vedere il treno dipinto da noi, qualche giorno, in qualche stazione. Ora si pensa alla fama, non alla guerra del “writer contro writer”, dove si puntava a fare il pezzo più bello e maggiormente riconoscibile. Come sono cambiate pretese e intenti della street art?

 

La parola “street art” parla già da sè. È stata inventata da un esperto per definire un post-grafitismo più gentile, più popolare (nel senso negativo del termine) e smerciabile a chiunque.
Purtroppo il post-writing si è impantanato nella melma del mercato e ciò che sembrava innovativo, in molti casi, ha perso la sua potenza iniziale e dal “vandalismo” si è passati al “manierismo”.
La street art si colloca in un mondo dove è più importante sembrare che essere, l’arte è un prodotto qualsiasi e quindi deve poter essere veicolato a più’ persone e soprattutto non deve dare fastidio. Il writing non ha mai avuto queste potenzialità, è sempre stato poco vendibile. Dipingere sui treni o fare bombing per strada sono un gesto di rottura. Per me contano i percorsi, l’esperienza, l’originalità, la ricerca e soprattutto la persona.

foto di ©ENDSTART PHOTO - 2501 alla Don Gallery

Come te iniziai a dipingere non ancora maggiorenne, notti intere in Yard desolate, arrampicati su qualche impalcatura, nascosti dietro un muro. La mia passione per il writing mi portò a rischiare varie denunce ma credo che il writing sia stato una scuola di vita. Credi anche tu in questo suo potere formativo e propedeutico?

 

Sicuramente sì. Dipingere è da sempre l’unico filo rosso della mia vita. Ho visto amici perdersi durante il percorso perché non riuscivano più ad aggrapparsi a quell’unica cosa che li teneva a fuoco, dipingere.
Ho visto altri invece di aggrapparsi a quell’unica cosa che li faceva sentire vivi, attivi, presenti: il writing. Riappropriarti dei tuoi spazi è un antidoto contro la città-contenitore, dove lavori, produci e di conseguenza crepi. Quindi, oltre ad essere formativo, è anche una cura.
Inoltre, insieme a Ozmo a Milano, Mork in Palestina e da solo in Brasile ho potuto lavorare con i ragazzi, usando come mezzo di comunicazione il dipingere stesso, con risultati molto buoni, lavorando sul proprio nome, partendo dalla tag e sviluppando le lettere. Così, molti ragazzi hanno realizzato la propria presenza fisica nel mondo non subendo ma interagendo con la propria città.
Come dice Mork, nessuno ha mai chiesto il permesso di riempire la città di pubblicità e quindi perché un ragazzo che vive il grigiore di Milano dovrebbe chiedere il permesso di riappropriarsi del posto in cui vive?

 

Quali sono i veri valori su cui bisogna basarsi per giudicare un artista?

 

Credo che il “percorso” sia l’unico vero metro di giudizio per poter arrivare a un’opinione sull’operato di un artista. L’arte è ricerca e chi si ferma è perduto.

2501 + Orticanoodles and M-city

La tua carriera è un chiaro esempio di come il lavoro e il sacrificio portino a dei risultati concreti. Hai iniziato con il writing da giovanissimo, hai dipinto ovunque a Milano, hai studiato i maestri e i tuoi colleghi, ti sei spinto oltreoceano per confrontarti e realizzare opere con artisti di altre culture, sei stato apprezzato per il tuo lavoro ed esponi in importanti gallerie internazionali. E inoltre, passi quotidianamente dal fare arte in maniera istituzionalizzata all’illegale. Come valuti e giudichi questi due modi di esprimersi? Illustraci differenze etiche ed emozionali.

 

Per me l’interno (legale) e l’esterno (illegale) sono state sempre due situazioni da trattare in maniera completamente differente. Ho iniziato a dipingere le mie tele quasi per caso, una volta scoperta la tecnica, che ancora sto sperimentando con i colori a base di alcol e gli acetati, ho capito quanto fosse differente il lavoro in esterno e quanto fosse difficile mantenere un linguaggio altrettanto incisivo all’interno di una galleria. Dipingere su un treno o in una fabbrica abbandonata ha un valore già nella scelta di farlo; “the medium is the message”, preparare dei quadri o un’istallazione per una galleria è un processo diverso che coinvolge altri aspetti, ma che continua a nutrirsi della mia esperienza in strada.

 

Un posto dove ti piacerebbe disegnare.

 

Nella prossima fabbrica abbandonata…

 

Per saperne di più:
www.thedongallery.com
http://www.flickr.com/people/never2501/

testi di Alessandro Gorla
foto di ©ENDSTART PHOTO

Guest Author

scritto da

Questo è il suo articolo n°144

Sullo stesso genere:

Community feedback