Intervista al collettivo TQ
Dopo il prolisso articolo con la mia opinione sui TQ ecco un punto di vista meno parziale: due voci dalla “base” per vedere come ci raccontano le caratteristiche più sensibili del Gruppo. Politica, qualità e cultura. Un’angolazione più particolare rispetto ai manifesti collettivi; un’occasione per farsi un’opinione anziché sentire quella prevenuta, o piena di pregiudizi, del sottoscritto. E poi non dite che non siamo democratici.
Che cosa ti ha spinto a aderire alla generazione TQ?
Giovanni Di Iacovo: credo che sia giunto il momento di superare la fase del lamento individuale e della sterile litigiosità per aprirsi ad una fase dove si possa fare fronte, dove si possa creare un coagulo delle migliori idee, menti ed energie del nostro paese. Ho condiviso il manifesto dei TQ e credo che sia condivisibile dalla grande maggioranza di chi opera con onesta e capacità nei settori della cultura. Credo che TQ abbia una testa abbastanza capiente per ospitare idee in modo non asfittico e gambe abbastanza robuste per camminare a lungo. E forse anche abbastanza muscoli da tirare qualche cazzottino.
Maria Grazia Calandrone: la mia convinzione che la società possa essere cambiata – anche con il poco di lavoro sul campo che possiamo fare tutti noi, individualmente o in gruppo – soltanto a partire dalla scuola. Così, ho aderito con particolari entusiasmo e gioia al sottogruppo “Scuola” di TQ. Trovo importante “fare”, specialmente adesso che la scuola è con ogni evidenza sotto attacco. Proprio perché la libertà di pensiero, l’indipendenza di giudizio si formano con la cultura. Lo sa benissimo il nostro governo. La scuola è il fondamento della libertà sociale. Dunque ritengo appunto fondamentale portare nella scuola voci differenziate, per allargare la capienza e la varietà del pensiero dei ragazzi che sono l’oggi declinato al futuro.
Che utilità può avere politicizzare la cultura? Non è dannoso?
Maria Grazia: la cultura è già politica. Come lo sono ogni gesto e ogni nostra scelta quotidiana. La tua domanda presuppone una diffidenza nei confronti della politica e una visione specialistica della politica che manifestano la sua età anagrafica! perché la tua generazione è “stata” cresciuta nel pensiero che la politica sia quell’oscuro intreccio di trame che si svolge nel Palazzo. Io non penso così. Non “solo” così. Se mi perdoni l’autocitazione, lo scorso luglio ho pubblicato un pezzo su “il manifesto” che si intitolava precisamente “Fare poesia è un’azione politica”. Penso che anche stare qui seduta a rispondere alle tue domande sia un’azione politica, come lo è la scelta del menù del mio pranzo o della scuola dove mando i miei figli. In questa visione umanistica e collettiva della politica non c’è alcuna differenza tra cultura e politica. Quindi spingendo al loro estremo limite queste considerazioni, siamo tutti personalmente responsabili dello sfascio culturale del nostro paese. Lo siamo a causa della nostra trascorsa indifferenza, sebbene essa sia da attribuire più alla mancanza di questa messa a fuoco di canali di azione che a una tendenza all’individualismo. Non escludo però che la spinta carrieristica e narcisistica dell’ultimo trentennio ha influito sulle nostre anime: anche se non abbiamo votato per l’attuale governo, siamo responsabili di aver coltivato il nostro orto di parole in silenzio e il nostro silenzio si è reso complice indiretto dello Stato e dello stato di cose. Nel prendere coscienza del nostro isolamento volontario e della nostra omertà comincia questa svolta, politica e umana.
Giovanni Di Iacovo: politicizzare la cultura non sarebbe solo limitativo, sarebbe tornare un inquinamento della capacità creativa, un ritorno a forzare il pensiero in chiave strumentale. E’ però indispensabile in questo momento storico che chi fa cultura abbia una visione più complessiva della cultura nel nostro paese, una visione politica intesa come ampliamento della propria partecipazione e presa di responsabilità (e scelta di azione) nei confronti della attuale situazione.
Cosa manca alla cultura in Italia secondo te?
Giovanni di Iacovo: l’Italia non crede più nella cultura. Manca una robusta iniezione di energia, investimenti, coraggio, fiducia, mestiere.
Maria Grazia: mancavamo noi! Cioè un progetto che convogliasse il disagio e il malessere che ognuno di noi pativa individualmente nel non riconoscersi nei canoni etici ed estetici della propria contemporaneità. Mi sento molto coinvolta dal suggerimento di Raimo a guardare ciascuno le proprie connivenze, magari fatte solo di silenzio, con la discultura che abbiamo contribuito a formare. Spesso passivamente. L’epoca che abbiamo attraversato ha lasciato tracce profonde nell’immaginario e nella struttura psicologica dei nostri giovani. Per restare nel mio specifico, i giovani “poeti” hanno spesso una idea carrieristica della poesia. Niente di più lontano. La poesia è lenta ed è il contrario dell’”io”, è un “noi” possibilmente sempre più vasto ed è il luogo dove le cose accadono se devono accadere. Soprattutto, richiede una postura etica dell’intera persona. La poesia è di per sé politica perché sta fuori da ogni mercato. Per ciò stesso è libera. Per ciò stesso è paziente. Ma non dimentichiamo che è “poiein”, fare.
Che cosa intendete per qualità letteraria?
Giovanni Di Iacovo: per qualità letteraria intendo il mestiere dello scrivere, intendo lo studio, l’applicazione e la produzione di cultura come artigianato consapevole non come avventurismo egontrico o come ossequio a nuove mode.
Ti andrebbe di spiegarci più o meno come funziona dall’interno TQ?
Maria Grazia: siamo in vivissimo e continuo dibattito. I documenti vengono scritti insieme e cercano di rappresentare per quanto possibile il pensiero di ciascuno dei firmatari. Ci siamo accorti che pensavamo da anni cose simili e che ciascuno di noi aveva già reagito per proprio conto. Ed è già di per sé un gesto fortemente politico, la dimostrazione di un diverso modo di essere rispetto all’isolamento e all’individualismo al quale siamo indotti da almeno due decenni. Così, ognuno di noi ha un portato di entusiasmo e di idee che non sperimentavo dai tempi della Pantera (il movimento studentesco del 1990). La Pantera si arenò proprio sul tema dell’uscita del movimento dalle aule scolastiche. L’assemblea si divise. Diversamente, TQ è formata da persone che hanno a che fare da anni con il lavoro, dunque la loro (nostra) capacità di intervento è più incisiva dello spontaneo, generoso e creativo moto di ribellione dei ventenni di allora. In questo senso la “generazione” ha una sua ragione: non così giovani da non avere focalizzato gli obiettivi ma giovani abbastanza da essere motivati dal sentimento di una fattiva Utopia.
Per saperne di più: http://www.generazionetq.org/