Intervista a Georgia Taglietti, head of communication del Sónar Festival
Abbiamo incontrato Georgia Taglietti, Head of Communication e International Media & PR Department del Sónar Festival, per conoscerla meglio e farci raccontare gli ultimi 25 anni di uno dei festival più amati al mondo.
Georgia lavora per il Sónar Festival sin dalla seconda edizione. Ne conosce ogni segreto. Ne cura la comunicazione con dedizione e costanza, ma soprattutto, con tanto amore. Mentre negli anni la musica elettronica conquistava spazi immensi, non solo nell’olimpo del pop e del rock, il festival diventava sempre più imponente. Un pubblico di oltre centomila persone, decine di show al giorno. Georgia, col suo team ha sviluppato nuove idee del comunicare, spostando lo sguardo verso l’arte e la tecnologia.
È a capo di Shesaid.so per la Spagna, un network globale di donne che lavorano nella musica e docente di digital communication e pubbliche relazioni per eventi ed enti istituzionali. Con gli occhi che guardano al futuro, i sensi rivolti verso lo spazio, Georgia ci ha raccontato è nato su un grande festival come questo…
Ciao Georgia, siamo curiosissimi di conoscerti. Quello di quest’anno è un anniversario decisamente importante perchè il Sónar fa 25 anni! Tu come lo stai vivendo questo compleanno?
Lo stiamo vivendo molto positivamente già a partire da un anno fa, quando i direttori del festival hanno deciso di andare contro corrente e, invece di fare qualcosa di scontato, avviare il progetto Sónar Calling, che poi abbiamo annunciato a ottobre. Siamo dunque partiti con un progetto interessante che rimanda a un immaginario di Sónar del futuro il che, mi ha ispirato molto anche dal lato della comunicazione, per cui devo dire che era già iniziato bene.
Ora siamo molto contenti della risposta pubblico, ma anche della risposta professionale, degli artisti, ancor prima di iniziare! Noi non siamo molto nostalgici, anzi! Però quest’anno sarà sicuramente più emotivo.
Anche noi, che frequentiamo il Sónar da sempre, ci sentiamo un po’ come se stessimo festeggiando il compleanno.
Esatto! È un po’ una festa per tutti. Per me è sempre difficile rispondere quando mi chiedono di raccontare i momenti più importanti degli ultimi 25 anni. Devo dire che, aver lanciato la musica nello spazio o, in generale, proporre al pubblico ogni volta progetti di comunicazione moderni e vicini all’arte, mi rende soddisfatta e mi aiuta ad essere in linea con il resto dello staff. Adesso, stiamo già lavorando al 2019, abbiamo voglia di chiudere questo 2018 in bellezza e andare avanti!
Attualmente il Sónar è tra i più importanti festival in Europa, ponendosi come punto di riferimento a livello internazionale e ispirando le line-up di altri festival. Cosa rende questo evento così importante? Cosa ha fatto la differenza nella sua evoluzione?
Credo che sia stata innanzitutto una questione di timing. Siamo stati bravi ad azzeccare il momento in cui c’era bisogno di questo tipo di musica. Bisognava affermare la parola “festival” in un modo nuovo, c’era bisogno anche di chiudere il contesto notturno della musica e ampliarlo al giorno.
La formula del Sónar è una formula abbastanza conosciuta ma difficile da riprodurre per il fatto che è un microcosmo/macrocosmo con un particolare equilibrio tra notte e giorno, con due produzioni diverse, due discorsi complementari ma non sempre uguali. E poi, su tutto, il fatto che abbiamo considerato il dj un artista nel 1994 quando in un festival non lo aveva fatto nessuno. Questo è stato probabilmente il fattore che ha sovvertito l’ordine.
Credo che il Sónar abbia influito su tutti gli altri festival, perché ha creato la consapevolezza che il dj poteva avere il controllo di una sala, poteva portare avanti un discorso artistico che andasse più in là di suonare in un club. Tutto questo, prima non c’era. E credo proprio che sia stata quella la formula che ha funzionato meglio.
Poi andando avanti negli anni, la musica elettronica è diventata sempre più rilevante, riuscendo a contaminare tutti i generi musicali e noi siamo stati quelli che l’hanno sostenuta sempre, nella maniera più pura e meno contaminata possibile, in realtà!
Attualmente, un agente musicale viene al Sónar per ascoltare quello che arriverà nei prossimi 12 mesi anche in altri generi musicali. È quello che fa la nostra forza, riuscire ad essere un punto di riferimento per il pubblico ma anche per i professionisti del settore musicale. Al Sónar il pubblico viene a sentire non tanto gli artisti già affermati, ma quelli che probabilmente influenzeranno i grandi headliner di altri generi musicali nel futuro. Formula vincente, più a lungo termine…
Come nasce la line-up del festival e quante menti sono a lavoro durante tutto l’anno per darle vita?
Grazie a dio, non siamo il festival dell’algoritmo. Conserviamo tutta la parte di interpretazione, di ricerca, di direzione artistica. Qualcosa che oramai va avanti da 25 anni. Questo profondo know-how ci aiuta a capire cosa può funzionare meglio. La musica elettronica che proponiamo non è la musica elettronica che ascoltiamo su Spotify. Quello che facciamo al Sónar sono concerti dal vivo, sono dj che devono sapere gestire il loro set, il loro concerto. È qualcosa che non si può andare a selezionare su Soundcloud!
Recepiamo input diversi, interni ed esterni e da varie età. Veniamo tutti da posti diversi. Facciamo il Sónar anche in altre parti del mondo, il che ci dà molti spunti diversi. È importantissimo viaggiare. E lo è anche per la comunicazione. È fondamentale ricevere dei feedback, i più variegati possibili. Non serve l’agenzia inglese o il mega agente americano a dire la sua, serve la sensibilità dei media, ma ancora di più la sensibilità dei ragazzi che lavorano con noi e che vanno a vedere un dj set o un live e lo segnalano con entusiasmo.
L’input è molto informale, non è una scala gerarchica. Soprattutto adesso che non c’è la possibilità di ascoltare tutto perchè c’è troppa musica in giro. È importante che ci siano dei canali di informazione soprattutto professionali tra promoter e artisti, ma anche tra tutti gli altri componenti dello staff. Bisogna riunire tutte le informazioni che arrivano. La scelta finale viene fatta dai tre direttori del festival che individuano una “shell” determinata da più proposte, dalla comunicazione, ma anche dai grandi artisti.
Come responsabile della comunicazione, quali sono le difficoltà che hai dovuto affrontare nella promozione del festival? E com’è cambiata la comunicazione negli ultimi anni, anche grazie ai nuovi strumenti del web?
Ho gestito i social dall’inizio, li ho creati insieme al mio team. Abbiamo un tono tranquillo che non incita ad azioni radicali. Siamo un festival musicale e vogliamo restare nella nostra nicchia. Non siamo né media, né opinione pubblica. Inoltre, non vogliamo far prevalere una personalità che potrebbe marcare tutta la comunicazione. Per me è importante far capire quello che non siamo. Per un brand così grande come il Sónar, vendere quello che non è realmente ti dà la certezza di creare dei problemi.
Nella mia esperienza lavorativa nella comunicazione, mi sono imbattuta spesso nel pregiudizio verso i festival di musica, un pregiudizio che ogni due, tre anni resuscita. Un pregiudizio che abbiamo combattuto con armi chiare.
Abbiamo utilizzato la cultura. Abbiamo proposto tutti i tipi di musica possibile, con produzioni di altissimo livello. Abbiamo proposto un congresso come il Sónar+D, uno spazio dove si pensa, si riflette, si discute insieme. Abbiamo creduto in un festival che rappresenta un’Agorà piuttosto che un club. Questa è sempre stata la nostra lotta, far capire che il lavoro che facciamo va oltre la musica, ha un vero valore culturale ma che, a volte, viene sfortunatamente giudicato con superficialità.
La cultura deve rimanere un lavoro di curatela artistica, di direzione, ecco perché non vogliamo essere gli schiavi dell’algoritmo. Spesso le scelte che abbiamo fatto ci hanno creato problemi, scelte controcorrente. C’è sempre qualcosa di distruttivo nella creatività. Rompere i codici della creatività è comunicare qualcosa di veramente artistico. Spesso abbiamo trovato qualcuno che non l’ha capito, ma siamo stati sempre coerenti.
Accanto alla programmazione musicale, il Sónar ha un’offerta relativa all’arte e alla cultura digitale. Tra le iniziative più rilevanti il Sónar +D, che ormai si può considerare un festival parallelo e dal grande valore culturale. Come nascono queste questi progetti e quanta importanza hanno per voi e per il pubblico?
Il Sónar +D è un congresso parallelo. Ha il suo budget, il suo team. È la parte mentale del festival. Abbiamo sempre avuto esposizioni multimediali, c’erano già delle conferenze. Finalmente nel 2013 siamo approdati alla Fiera di Montjuic e abbiamo avuto più spazio. Credo che il Sónar abbia più senso insieme al Sónar +D, lo completa…
Il Sónar rappresenta il cuore pulsante della musica elettronica mondiale. Cosa pensi dell’organizzazione di tutti gli eventi secondari, che si nutrono del festival? Tutti i party che muovono la città durante il Festival, in location alternative, fanno bene al festival e alla cultura elettronica generale?
Non fanno male. Noi veniamo dalla cultura del club, ma non siamo un club. Siamo un festival che nasce dalla rottura dei club e che ha fatto dei dj le stelle del firmamento di pop e rock come, ad esempio, Diplo. La maggior parte dei party secondari prevedono dj ma non ci sono live e concerti. I dj hanno la necessità di ritrovarsi in un ecosistema familiare, invece, il Sónar è un festival, qualcosa di molto diverso!
Anche per questo non abbiamo mai voluto una struttura come per esempio quella dell’Ade ad Amsterdam, finanziata completamente dall’amministrazione, perché per un’azienda privata come è il Sónar sarebbe ingestibile. Non abbiamo a che fare con nessuna produzione di party off, la nostra scommessa è restare un grande grande festival.
Qual è il tuo ricordo più bello legato al Sónar?
Aver conosciuto i Beastie Boys. Riuscire a conoscerli molto da vicino. Li ho intervistati a New York per la televisione catalana, non c’era un giornalista disponibile e me lo hanno chiesto. Il mio cuore è quello di una giornalista, per me è stato un onore. Averli al Sónar è stata un momento di emozione profonda. Non solo per quello che la band significava per me, ma soprattutto perché erano lì. Persone con una grande cultura, ha significato così tanto.
Il Sónar mi ha donato anche l’amicizia di due grandi artisti: Laurent Garnier e Ruji Sakamoto. Sono parti della mia mitomania personale! Un’altra cosa che mi ha molto “incamminato” nella vita, lo dico sempre, è il fatto di aver tradotto una conferenza stampa di Björk intorno al 2000, una famosa conferenza di due ore in cui disse “sono stufa di rispondere a quelli che mi chiedono chi ha prodotto il mio disco, quando quella che produce il disco sono io, e sono una donna”.
Da lì il mio percorso fino ad adesso si è evoluto, infatti, da 3 anni sono direttrice qui a Barcellona di Shesaid.so un’organizzazione di donne nella musica, un impegno che sottolinea l’importanza di raccogliere tutti i semi che ho seminato. Un’altra persona fondamentale è stata Mary Anne Hobbs della BBC, una persona che conosco da sempre, da quando le donne erano veramente poche ad avere ruoli di decisione e responsabilità nella musica. È una cosa importante che ha lasciato dei souvenir, della storia di come siamo andati avanti, anche sul palco del Sónar…
Quest’anno ci sono molte donne cazzutte… ne abbiamo parlato anche su ziguline!
Certo! Ce ne sono alcune davvero incredibili: Nathy Peluso, Rosa Pistola, Rosalia… non vediamo l’ora di sentirle. Ma appena riusciremo ad aprire Shesaid.com in Italia … riprenderemo questo discorso! Ci sono tremila donne nel mondo in questa organizzazione. La creatrice è Andrea Magdalina a Los Angeles, io sono suo mentore da tre anni e mi è stata presentata da un’italiana che lavorava a Dissonanze, Giulia Baldi…
Cosa c’è nel futuro del Sónar? Cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi anni?
Nel futuro del Sónar c’è il futuro della musica! Nel frattempo ci ascolteranno gli alieni e arriveranno a ballare con noi al Sónar Village…
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