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Investiti da Graziano Panfili

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Scrivere su Ziguline non è sempre cosa facile, come sembrerebbe dall’infima qualità dei miei articoli. Bisogna avere degli argomenti, essere colpiti da cose e sapere che quelle cose stesse potrebbero colpire anche qualcun altro. Bisogna investire su quelle cose stesse. Bisogna appassionarsi per poterne parlare e, il momento della curiosità viene prima di quello dell’informazione. Se potessi scrivere di ciò che non mi piace scriverei sceneggiature per la Rai, d’altronde. Questo per dire che a volte ciò che colpisce proviene dall’ultimo posto in cui saremmo andati a cercare, un posto che si rivela molto vicino. Ebbene i lavori di Graziano Panfili li ho trovati per caso, in quella pratica comunemente definita “cazzeggiare su Facebook”. Li ho trovati e non ho potuto fare a meno di capire che avevo per le mani qualcosa di speciale, qualcosa su cui non si investe, perché è essa stessa che investe te.

ALIENation

Una domanda a bruciapelo per scaldarci: un libro, un disco, un film, un artista (o due film, o senza libro, insomma fai tu) per descrivere con chi stiamo parlando. Tipo quelle cose di chi porteresti su un’isola deserta, ma senza isola deserta che sennò mi sento Paola Perego.

 

Il Vangelo a Benzina di Marco Ciriello, una band che ascolto spesso sono i Porcupine Tree, Quintorigo per gli italiani, Edward Hopper, Modigliani, Cattelan sul fronte artisti visuali. La lista sarebbe molto lunga. Sono un tipo curioso e mi piace smontare tutte le arti per guardarci dentro.

 Bosnia Erzegovina: daily life stories, 2009

Per la tua serie Alienation ritrai persone vestite da astronauti nei luoghi più disparati. Questo, ho letto, per sottolineare quell’urgenza che le persone sentono di andare oltre la propria vita, di lasciare il ruolo e l’ambiente a cui sembrano condannati. Il fatto di sentirsi troppo diversi da ciò che si è per il resto del mondo. Quello che voglio chiederti è: l’alienazione è qualcosa di positivo?

 

Lo sono ogni volta che fotografo. Lo stesso viaggio di lavoro in una nuova città mi fa sentire sempre un “alienato” e mai un cittadino del luogo. Questo mi rende una spugna e mi permette di cogliere aspetti che sfuggono a chi vive tutti i giorni nella propria città.

Italy, 2012, Italian Landscapes

Nei lavori American Life e  Paesaggio Americano metti in attenzione un contrasto d’identità, ed una conseguente ricerca di essa. Che cos’è, per te, l’America? E che cos’è per noi, italiani?

 

Il mito americano ha segnato molto la mia vita, è sempre stato per me un sogno, l’America che conquistava la luna, Hendrix, il cinema ecc..I parenti della mia famiglia, come del resto di molte altre del centro Italia, in passato si sono spostati in America per cercare lavoro. Rimane così nei miei ricordi da bambino sempre quell’aria fantastica di chi tornava e raccontava di grattacieli altissimi che si trovavano in un luogo molto lontano, dove per arrivare dovevi viaggiare in aereo per ore ed ore. Oggi,  per noi italiani rimane il mito di una vita diversa, di un sogno mai finito. Anche se la situazione è ormai cambiata. Diciamo che rimango fedele a quell’industria creativa d’oltreoceano rimasta viva fino agli anni Ottanta.

Italy, 2012, Italian Landscapes

Vedendo le tue serie “Stunt”  e “Burlesque” non ho potuto fare a meno di pensare che il circo sia vita reale, che lo spettacolo mantenga sempre il suo piano di verità. Io ci vedo sempre lo stesso contrasto, sempre lo stesso mischiare le carte delle nostre identità – delle nostre sicurezze. Ci vedo male?

 

Chi lavora nell’ambiente artistico sposa lo spettacolo come qualcosa di cui non può fare a meno, una specie di droga, mentre il resto delle persone che non ha queste capacità paga per ammirarlo. L’identità è un tema sicuramente impegnativo da affrontare. Per quello che mi riguarda sono sempre affascinato dagli uomini. Ogni persona che incontro per me è un nuovo pianeta da scoprire.

 Molte delle foto che fai rappresentano situazioni di vita piuttosto estreme, ai margini di quella che siamo abituati a considerare come normalità. Che cosa possono dirci quelle situazioni della nostra vita? Che cosa vuoi fargli dire con la tua fotografia?

 

Nel reportage bisogna raccontare cosa succede con la massima trasparenza possibile e con il proprio occhio; non bisogna mai perdere un punto di vista importante: fuori non è tutto rose e fiori. Così, la fotografia racconta di storie e luoghi magari a noi non accessibili e ci fa capire cosa sta succedendo in quell’angolo di mondo.

 

Una domanda difficile: perché fotografare? Perché i fotografi?

 

La fotografia è una missione, un’esigenza che ci fa fare le cose più assurde.

Bosnia Erzegovina: daily life stories, 2009

Ho notato spesso come la modernità sia piuttosto ambivalente con la fotografia: da una parte si diffonde la possibilità di fotografare e di condividere con ogni tipo di dispositivo, in modo veloce e senza badare alle possibilità di personalizzazione: conta solo il soggetto. Dall’altra si diffondono le camere digitali altamente specializzate, per cui non vedi un turista che non abbia la sua bella reflex da offrire agli scippatori. Alti e bassi, e pochi medi. Che ne pensi? Sto sragionando?

 

Quello che tu dici si chiama marketing, operazioni mangiasoldi. Il solo fatto di mettere sul mercato una nuova reflex a distanza di pochi mesi dalla precedente la dice lunga sulla tendenza verso cui stiamo viaggiando. Non approvo questa linea, non approvo questi “SUV” fotografici che scattano milioni di pixel quando poi rimarrà tutto su un hard disk. Ma purtroppo il mondo va così.

 Italy, 2012, Italian Landscapes

Ho letto che sei un insegnante: che cosa significa insegnare fotografia?

 

Insegnare fotografia significa far scoprire alle persone la strada giusta per tirar fuori il proprio talento; alle persone che ne hanno meno insegno come leggere le persone attraverso le loro immagini.

Refugees in  Bosnia-Erzegovina 2008

Che ne pensi delle nuove generazioni, e del loro rapporto con le immagini? E’ cosa buona, per un aspirante fotografo, essere nato in un mondo bulimico di immagini?

 

I ragazzi di oggi sono nati senza le basi fotografiche necessarie per poter mettere in atto una critica costruttiva che riesca a farli crescere. Non hanno la “lentezza”, la pazienza necessaria per “guardare bene” e tirar fuori delle belle immagini. Fare una foto richiede del tempo, ragionamento, respirare le situazioni, sentirle nella testa e nella pancia, scoprire, e solo alla fine di tutto questo si può scattare. Tralasciando, poi, la cultura generale e una scuola di fotografia di base.

 Bosnia Erzegovina: daily life stories, 2009

Vedendo i tuoi scatti mi succede quello che mi succede quando vedo gli scatti di quelli bravi: capisco come la fotografia, pur essendo la pratica artistica apparentemente più alla portata di tutti, possa essere un’arte estremamente poetica ed intelligente. Che cos’è questa cosa? si tratta di stile, di personalità, di bravura tecnica, di occhio?

 

Si tratta di “persone”, di come sentono le cose e di come le respirano. Quando una fotografia ti trasmette emozioni e lo fa parlando in tutte le lingue del mondo allora è successo che abbiamo scoperto un uomo che ha molto da dire e lo fa semplicemente “guardando”.

Italy, 2012, Italian Landscapes.

 Mi tolgo un sassolino dalla scarpa: ho visto che, come me, sei nato a Frosinone. Ti ho fatto un sacco di domande sull’alienazione, sulla necessità di attivare i propri motori, sulla ricerca di identità, sul fatto di non averne una. Io ci vedo molte connessioni con quello che penso della nostra città, e sul fatto che le sue mancanze possano essere una spinta a superare le proprie. Che ne dici?

 

Sono d’accordo, la nostra città non è mai stata un catalizzatore di movimenti artistici e non si è mai respirato nulla che non fosse mediocrità, politica spiccia e bassa cultura. Ma questo ha permesso di far scattare quella giusta repulsione per “cercarmi” altrove.

 

Bosnia Erzegovina: daily life stories, 2009

Se Graziano vi ha investito, trovate altri lavori qua:

www.grazianopanfili.com

www.onoffarchive.com/photographer.asp?idf=7 

 

 

Stefano Pontecorvi

scritto da

Questo è il suo articolo n°64

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