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Jaehyo Lee fa sculture elementari

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Se la Filosofia è la cosa più inutile che riusciate a immaginare, sappiate che non avete fatto granché. Perché la Filosofia, presa così in generale, non significa niente. La Filosofia, così in generale, esiste solo sulla bocca di quelli che non sanno spiegare facilmente il perché della loro collezione di libri di Osho: quelli, a volte, dicono ‘mi piace la sua Filosofia’. Ciò che comunemente è definito filosofia è in verità un’insieme di discipline, argomenti, approcci, metodologie di studio con scopi molto differenti tra loro, e che in comune hanno il solo fatto di essere praticate da persone che non hanno mai imparato ad impennare con il Booster. Dire che Osho è un filosofo è come dire che Benedetta Parodi è una scrittrice: si può rispondere che sì, anche lei ha scritto un libro. Ma a definirla tale sarebbe capace solo Paolo Liguori (il giornalista, ahah).

Questo per dire che dire ‘la filosofia è inutile’ è molto impreciso. Ci sono parti della filosofia che non lo sono affatto. Ebbene, la filosofia dell’Arte è la parte più inutile della filosofia in generale, e la maggior parte delle persone che la studia lo fa solo per far vedere il cappotto nuovo nei corridoi fuori dalle aule dei professori, o per rimorchiare al Circolo degli Artisti millantando di saper spiegare Wim Wenders. Ad ogni modo, la filosofia dell’Arte è fatta da persone che hanno impegnato la propria vita a domandarsi perché l’opera d’arte piaccia, perché si faccia arte, che cosa sia un’opera d’arte. Hanno dedicato la propria vita a questo, e vedere una sola puntata di un qualsiasi Talent Show renderebbe evidente tanto a me quanto a loro ciò che voglio dire quando parlo di inutilità.

Arthur Danto è un grande filosofo dell’arte americano. Arthur Danto è un tizio che dice che, nell’opera d’arte, l’opera è ciò che conta di meno. Per spiegare il suo punto di vista fa molti esempi, ma uno dei migliori è quando invita ad immaginare che, nel corso del tempo, una macchia di muffa su una parete componga accidentalmente un’immagine esattamente identica ad un quadro di, chessò, Van Gogh.  Quello che Danto dice è che nessuno sarebbe disposto a definire quella macchia un’opera d’arte (nessuno che sia sano di mente o che non lavori alle fotogallery di Repubblica.it): al massimo qualcuno potrebbe usarla per dimostrare l’esistenza di un Dio che disegna come Van Gogh. Ma in questo caso non si renderebbe conto che sta dimostrando Dio con la muffa, né che sta facendo un grosso complimento a Van Gogh.

Tutto questo per arrivare al paradosso cui mi hanno portato le sculture di Jaehyo Lee, scultore 47enne coreano che soprattutto nell’ultima decade ha iniziato ad esporre nelle gallerie di mezzo mondo. Jaehyo (che, d’ora in poi, chiameremo per comodità J.) compone delle installazioni usando pietre, legno, fieno e persino neve e ghiaccio. Prende queste cose così come sono in natura e ne modifica i lineamenti fino a farle entrare in strutture geometriche, forme talmente perfette e create con un tocco così minimale da far dubitare che sia opera dell’uomo. Perché è a questo che mirano le sculture di J.: mettere in rilievo l’essenza stessa della natura, la sua perfezione, e non il contrario: è impossibile che quelle forme siano caso, ma è allo stesso modo impossibile che siano opera dell’uomo, e delle sue scienze che sono sempre esteticamente imperfette. Quelle composizioni sembrano reggersi da sole, sembrano mettere in mostra ciò che nella natura non vediamo solo perché non le diamo sufficiente attenzione: il suo non essere nient’altro che sé, il non esistere altro che la natura stessa. E, in questo senso, anche il caos diventa solo uno dei tanti nomi di quella stessa perfezione assoluta.

La filosofia dell’arte, l’ho detto, è la cosa più inutile che ci sia. E’ inutile perché non serve a niente, non ha nessuno scopo che sia immediato. Ma, nonostante ciò che pensano in Vaticano, anche il Mondo non ne ha. J. è uno scultore che prende cose del mondo e le trasforma, le compone e le plasma in forme e significati nuovi e che pure non sembrano in alcun modo artificiali; e’ come se desse voce a quelle pietre, a quel legno, come se permettesse a quelle cose di esprimersi in un linguaggio finalmente comprensibile. Ebbene, la filosofia dell’arte fa parlare le opere ed il nostro rapporto con esse, dà a quelle cose delle forme nuove eppure incredibilmente efficaci. Le rende finalmente riconoscibili.

Dare senso al mondo non si mostra mai come utile, non ha nulla di immediatamente pratico. Eppure è quanto di più importante abbiamo, l’unico potere nelle nostre mani. Riconoscere questo è riconoscere la strada che, sola, può ricondurci a tutto ciò che siamo. Ebbene, tutto questo la filosofia dell’arte, l’arte in generale e le sculture di Jaehyo Lee in particolare ce lo mostrano nel modo più inutile e più efficace possibile.

Stefano Pontecorvi

scritto da

Questo è il suo articolo n°64

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