Jake & Dinos Chapmann ci sono piaciuti
Dopo la mostra Barock non poteva nascere in me un amore nei confronti di Jake e Dino Chapman, o meglio un triangolo amoroso con gli artistici fratelli inglesi, o meglio ancora un connubio pindarico, perché ahimè non li ho mai visti, ma le loro opere si. Figli della Young British Art, la generazione di artisti, pittori, scultori inglesi lanciati nel mondo dell’arte con la celebre mostra Sensation del 1997 alla Royal Academy of Arts di Londra, utilizzano “schock tactics”, tattiche schock, per poter dar vita alle loro opere. Dal 1997 in poi per i fratelli Chapmann c’è stato un successo dopo l’altro, che li ha portati ad esporre nei migliori musei del mondo e ad ottenere in Italia il premio Pascali 2010.
La loro arte consiste nel dissacrare la realtà contemporanea, nel renderla scioccamente ironica nel mostrare genocidi, errori della natura, fatti storici, riprodotti in particolari istallazioni elaborate in una chiave grottesca e crudele. Le loro opere elaborano in maniera ossessiva ogni dettaglio, come nelle agghiaccianti scene ricostruite in modellini delle orge delle SS o nei riferimenti espliciti alle guerre di sterminio etniche. Si parte così dalle inquietanti sculture delle bambine-siamesi della serie “Mannequins”, per poi passare attraverso l’Inferno e l’orrore appunto di “Hell” e giungere poi alle sculture africane del ciclo “Shamanov Sculptures”. Non dimentichiamo poi le 83 incisioni di Goya sui “Disastri della guerra” (1810-1820), ritoccate dai fratelli terribili e rielaborate in maniera del tutto personale e gli acquerelli dipinti da Hitler in gioventù, che gli artisti hanno comprato anonimamente da vari collezionisti e poi ridipinto con arcobaleni e motivi hippy, dando il nome alla mostra “If Hitler Had Been a Hippy How Happy Would We Be”.
Le loro installazioni presentano però un pallino rosso ovvero un avvertimento a non portare con sé bambini e gli stessi musei spesso avvisano che la mostra è consigliata ad un pubblico adulto. Non sono i temi trattati quelli che potrebbero turbare le coscienze, quanto le agghiaccianti scene ricostruite in maniera maniacale. In the “Hell” i soldati dell’esercito nazista tedesco, le SS, subiscono le torture più atroci e violente. La scenografia è sconvolgente: un Inferno ricostruito nei minimi particolari, fiumi pieni di cadaveri, dove a scorrere non è più l’acqua bensì il sangue, chiese sconsacrate, maiali e ratti che corrono dietro soldati ormai non più umani e ridotti a scheletri, croci di legno capovolte dove il martire è il soldato nazista, orge maschili, corpi mutilati e violentati. Insomma il tutto viene rivisto dai fratelli Chapmann come un capovolgimento dello sterminio della razza ebrea. Stavolta ad essere nella bolgia infernale sono i nazisti, vittime essi stessi delle loro azioni. La loro opera di denuncia sfocia nell’ironia scioccante che genera una forte contrapposizione e sconvolgimento sensoriale. Il massacro dell’essere umano viene portato all’estremo, ma la minuzia nei particolari e le scene dettagliate rappresentate fanno comprendere quanto scioccante sia la loro ironia.
Lo spettatore riceve in maniera devastante le informazioni delle installazioni che lasciano, come nel mio caso, uno sconvolgimento interiore ma anche un particolare fascino. I fratelli terribili non fanno altro che trasferire in installazioni simboliche ciò che accade nel resto del mondo. Si prendono gioco della seriosità e la tragedia viene rappresentata in lavori in cui abbonda il grottesco e la comicità. La loro è comunque un arte “istruita”, figlia della Storia dell’Arte e del Barrocco, del pittore Goya e dei testi freudiani, da cui i fratelli Chapmann recuperano un’ispirazione per analizzare simbolicamente il lato oscuro dell’uomo, che va dall’irrazionale all’incubo. La tragica bellezza degli eventi, l’irrazionalità della vita e della morte vengono trasferite sul piano allegorico per lasciare un’impronta profonda nell’arte contemporanea.