Kurt Cobain, l’alieno
Prima di cominciare a leggere fermatevi un attimo e tornate con la memoria all’8 aprile 1994. Il giorno in cui Kurt fu trovato morto suicida nella sua casa a Seattle. Cosa stavate facendo? È la domanda che ho fatto a Danilo Deninotti quando l’ho incontrato in occasione della presentazione del suo fumetto Kurt Cobain, quando ero un alieno. Uscito per Edizioni BD e presentato al Lucca Comics, è già alla seconda ristampa e ad aprile sbarcherà oltreoceano.
Ma facciamo un passo indietro. Qualche tempo fa ho seguito un interessante corso sulla letteratura americana tenuto da una bravissima insegnante, la McMusa (la trovate su WordPress e su Facebook), che ci ha portato in un viaggio on the road lungo la costa dell’America del Pacifico, facendoci incontrare città, laghi, boschi, autori, libri, racconti e tanta musica. Seguendo questo percorso pieno di vita e cultura abbiamo fatto tappa a Seattle, e quando nomini Seattle la prima parola che ti viene in mente è Nirvana.
Penso sia universalmente riconosciuta l’importanza che questa band ha avuto non solo nella storia della musica e nell’adolescenza di tutti noi, ma soprattutto per quella città. Kurt e compagni hanno portato allo scoperto quel desiderio di totale annullamento che si prova soltanto vivendo in un luogo dove il grigio, le nuvole e il cielo ti fanno vivere sempre “sotto qualcosa”. La vera cultura underground è nata qui, in questa parte d’America che vive di vita sua, come in un’isola. Perché tutte queste premesse? Secondo me sono necessarie a capire quanto l’ambiente influenzi la personalità, in particolare quella di un musicista così sensibile a tutto ciò che l’ha circondato.
Carrie Brownstein nel saggio su Seattle (e sui Nirvana) scrive “Exposure can be strange and disorienting for people who spend most of the year under cloudy skies. And when you feel exposed the urge is to disappear”. È una chiave di lettura che non avrei del percorso artistico di Cobain e della sua inevitabile morte che non avrei compreso fino in fondo, senza queste lezioni.
E questo corso si è concluso proprio con un omaggio all’epoca del grunge, dagli Alice in Chains ai Pearl Jam fino alla presentazione del fumetto di Danilo, che ha scelto di raccontarci una storia diversa da quella che abbiamo imparato su Kurt.
Conosciamo a menadito la sua carriera, Gus Van Sant ci ha dipinto fin troppo bene il senso di angoscia dei suoi ultimi giorni, abbiamo –quasi- tutti odiato Courtney Love indistintamente e siamo finiti tutti ad ascoltare Dave Grohl e i Foo Fighters. Ma cosa c’era prima? Prima di tutto, prima di quella copertina iconica, prima del golfino verde, dei capelli lunghi affollati su quel volto mentre cantava, laggiù, alla prima chitarra.
Danilo penna alla mano ed Explosions in the sky nelle orecchie (alla sua affermazione “non ho ascoltato i Nirvana mentre scrivevo, ma tanto post rock” non ho potuto fare a meno di chiedere se anche lui, come me, ascolta quel gruppo per rilassarsi) ci scrive una biografia che ripercorre le radici di un mito, fino ad arrivare su un altro pianeta. Perché il leader dei Nirvana raccontava un sacco di balle e prendeva per il culo i giornalisti con tanta fuffa, come ci ha ricordato giustamente Danilo, ma forse lui agli alieni ci credeva per davvero, da piccolo, quando non comprendeva il comportamento dei genitori e si sentiva lontano dal mondo, lontano da tutti. Non si sentiva parte di questa realtà. Per molti Kurt non era un uomo, era un angelo caduto e che sarebbe dovuto tornare, prima o poi, da dove veniva. Era un extraterrestre che si riconosceva soltanto in altri personaggi come lui, con i quali è arrivato fino a là, su quel palco a gridare “Here we are now/Entertain us”.
E, senza troppi affondi in una storia personale in cui addentrarsi sarebbe troppo azzardato e forzato, Danilo ci tratteggia una serie di episodi che aiuta a collegare tutti i pezzi, per creare quel grande puzzle che era l’uomo dietro Kurt Cobain.
È un lavoro di sottrazione: i dialoghi sono essenziali, così come la descrizione di tutti i personaggi che incrociamo, ma non è una scelta dettata dalla mancanza di profondità o analisi, semmai il contrario. Tutto quello che dovevamo sapere lo abbiamo già letto, visto e sentito. Qui contano le espressioni e i silenzi immersi nelle tinte azzurre di Toni Bruno, che condensano ogni istante in malinconiche cartoline di un Pacific Northwest fatto di provincia, segherie, wilderness, acqua che ridonda e cielo grigio.
Non dovete essere per forza fan dei Nirvana per leggerlo, ma per deduzione logica se siete cresciuti strimpellando una chitarra accordata mezzo tono sotto vi colpirà al cuore. Vi consiglio di sfogliare queste pagine e di meravigliarvi di come possa essere comune la storia di un personaggio fuori dal comune.
(Una piccola postilla: ho avuto la fortuna di prendere l’edizione limitata con la copertina che omaggia Bleach. E ne vado molto fiera).
Kurt Cobain – Quando ero un alieno | scheda libro