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La consapevolezza del Signor Rossi

di Guido Fabrizi

 

 

Nel Paese dello stivale viveva un uomo, Mario Rossi, che aveva l’abitudine di dormire quasi sempre. Si addormentava ovunque e in qualsiasi posizione. Sul tram aggrappato ad un sostegno, in ascensore appoggiato con il dito sulla pulsantiera, al bar con la tazzina di caffè sulle labbra, o in mezzo alle strisce pedonali mentre attraversava la strada.
Un giorno la moglie, Maria Bianchi, dovette chiamare addirittura i vigili del fuoco perché si era chiuso in bagno ed aveva preso a dormire profondamente, seduto sul water. Maria era molto preoccupata di questa situazione, spesso pericolosa per la vita, ma la cosa che veramente la preoccupava più di tutte, era il fatto che Mario, ad ogni suo risveglio, perdeva brandelli di memoria, esperienze fondamentali della sua esistenza dimenticate per sempre. Maria decise di consultare urgentemente uno specialista. Dopo un’accurata visita, il Professor Brambilla prescrisse a Mario un esercizio mnemonico riabilitativo. Consigliò ad entrambi di fare ogni sera, prima di coricarsi, un percorso della memoria, mediante la visione di tutte quelle fotografie che avevano segnato momenti importanti della loro vita. Iniziarono la sera stessa.
Maria scese in cantina a prendere la scatola di velluto rosso che conteneva tutte le foto che avevano scattato da quando stavano insieme. Si misero a letto e, messa la scatola fra loro, Maria l’aprì, sciogliendo il nodo del nastro di seta che la teneva chiusa. La prima foto a portata di mano mostrava una grande piazza, attraversata da una strada larga, percorsa da un tram, e sulla destra si vedevano, da dietro, le guglie del duomo di Milano. “Iniziamo da questa” disse Maria. “Ricordi? Qui stavamo a piazza Fontana. Dovevamo andare alla Banca Nazionale dell’Agricoltura per chiedere un mutuo per la nuova casa. Eri così emozionato al pensiero di fare una famiglia, di vivere un futuro insieme… Fammi leggere cosa c’è scritto dietro: ‘Milano Piazza Fontana 12 dicembre 1969’. Non conoscevi cosa fosse la paura, ricordi?”. Mario non rispose, come se quel ricordo appartenesse ad altri.

“Bene” disse Maria, non lasciandosi intrappolare dallo sconforto, “vediamo la prossima”. La seconda immagine era piena di volti giovani e anziani, di uomini e donne. Occhi puri che chiedevano rispetto per la vita e che si ribellavano ad uno stato di paura. “C’eravamo tutti e due Mario, con le bandiere del sindacato in mano a chiedere allo stato di difenderci, ricordi?”. Dietro la fotografia c’era scritto ‘Brescia 28 maggio 1974, Piazzale della Loggia’.

Maria notò che Mario non l’ascoltava, intento a guardare in direzione del televisore al plasma di fronte al letto, con gli occhi persi, privi di coscienza, come se qualcuno avesse spento la sua luce interiore. Doveva fare qualcosa per strappare da quel limbo l’uomo che aveva scelto per il suo coraggio, amore per la vita e per la libertà. Automaticamente prese un’altra foto: erano su di un treno. “Ricordi che caldo quell’agosto Mario? Partimmo la sera da Roma per arrivare all’alba a Vipiteno, ci avevano assegnato la carrozza n°14. Ricordo che giocai per un po’ di sguardi buffi con un bambino sui sette anni che andava e veniva dal corridoio. Ti sovviene?” Disse Maria. “Lo aiutasti a rimettere una ruota al modellino di fiat 500 con la quale percorreva ogni centimetro quadrato del vagone, mentre i due genitori, che stavano nello scompartimento avanti, di tanto in tanto venivano a cercare il loro piccolo Marco, da cui non si sarebbero mai separati.” Girò la foto per leggerne la data ed una scritta riportava: ‘Viaggio sul treno Italicus Roma-Brennero, 04 agosto 1974’. Mario la guardava, annuendo quasi per convezione, ma era palese che continuava a non ricordare nulla. Forse per imbarazzo in quel momento era più attratto dal suo nuovo cellulare, dal quale partivano suoni e lucette di tanti colori. 

“Va be’!” sospirò Maria, “andiamo avanti…”. E tirò fuori un’altra foto, quella di quando decisero di andare in vacanza a Palermo. “Ricordi? Non avevi mai fatto un viaggio in aereo ed eri talmente emozionato che avevi le mani zuppe di sudore. Partimmo da Bologna alle h 20.08. Guarda, nella foto si vedono ancora gli oblò illuminati dalla luce del tramonto e anche quell’hostess che non smettevi di guardare…”. Maria voltò la foto dove lesse ad alta voce ‘ITAVIA DC-9 volo IH870 Bologna/Palermo 27 giugno 1980’.

“Guarda quest’altra”, aggiunse Maria. “Ma non è la stazione di Bologna? Guarda quanta gente, quanti turisti… Quasi tutti vacanzieri come noi! C’era chi tornava, chi partiva, tutti accaldati e pieni di valige. Nel bar c’era una fila assetata che arrivava fino al binario 1 e il carretto passava e quell’uomo gridava gelati”. Ancora una volta girò la foto e lesse: ‘Bologna Stazione Centrale h 10.25, 02 agosto 1980’. Maria su questo pensiero si arrestò e senza più speranze chiuse la scatola.

Alzò lo sguardo verso Mario, che nel frattempo si era alzato, e vide che aveva gli occhi sbarrati, vitrei, la bava alla bocca e un’espressione terrorizzata, mentre cadeva in terra come un albero, perdendo definitivamente i sensi in preda a crisi convulsive. Maria disperata saltò giù dal letto e si piegò su di lui, gridando: “Mario, Mario dimmi qualcosa!”. Mario non rispose, allora chiamò l’autoambulanza che dopo qualche minuto arrivò, portandoli all’ospedale più vicino. Maria gli teneva la mano continuando a parlare con il suo silenzio. Giunti all’ospedale, lo portarono d’urgenza in rianimazione per prestargli le cure adeguate. Maria aspettò trepidante per diverse ore nella saletta d’aspetto, fino a quando un medico le si avvicinò per dirle che Mario era fuori pericolo e che lo poteva andare a trovare.

Maria entrò in una grande stanza, illuminata dalla forte luce cianotica dei neon. Nel centro esatto c’era un letto dove Mario, sdraiato immobile, guardava fisso il soffitto, circondato da strumentazioni che registravano costantemente le sue funzioni vitali, espresse da un regolare bip digitale del suo battito cardiaco. Una lacrima iniziò a percorrergli il volto, simile a una goccia di pioggia che cerca la sua strada sul vetro di una finestra. Maria si avvicinò come quando si entra in chiesa e con un fazzoletto asciugò quella lacrima mentre lui, guardandola negli occhi, le domandò: “Come ho potuto dimenticare tutto questo e pensare che non potesse più accadere?”.
Maria, china su di lui, accarezzandolo con la delicatezza di una madre, gli disse: “E’ stata la paura a corrompere la tua memoria, più aumentava una, più l’altra si dissolveva, distratta da mille optionals che ti venivano concessi per illuderti di essere libero”. Il sorriso di entrambi fece strada a un lungo bacio che venne brutalmente disintegrato dalla deflagrazione della bombola di H2O che portava l’ossigeno a Mario. Nessuno scoprì mai responsabilità e colpevoli della morte dei due, visto che i responsabili vennero prosciolti e il caso venne chiuso definitivamente.

 

 

Testi e foto di Guido Fabrizi

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Guido Fabrizi inizia il suo percorso professionale come fotografo d’arte collaborando con la Professoressa Angiola Maria Romanini, consigliere del Presidente per i Beni Artistici del Quirinale, per la quale ha realizzato campagne fotografiche d’arte in Europa pubblicate dall’istituto dell’enciclopedia italiana Treccani e FMR. Oltre a queste esperienze nel settore editoriale, grazie ad un percorso di studio, inizia a lavorare nell’ambito della comunicazione sociale con ruolo di regia collaborando con istituzioni e associazioni umanitarie. Attualmente si dedica alla scrittura di soggetti cinematografici e racconti brevi.
Tiene un blog per i racconti http://guidofabriziraccontibrevi.wordpress.com e ha un sito per le foto http://www.guidofabrizi.com/

 

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Scrittori in ascolto, se volete mettervi alla prova mandateci i vostri racconti: saranno selezionati dal nostro Patrizio D’Amico. Scrivete a: testicitrolu@gmail.com.      

Patrizio D'Amico

scritto da

Questo è il suo articolo n°73

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