La corsa
Corri, scappa, salvati, avanza, non fermarti, non voltarti, agisci, chi si ferma è perduto.
Testa, cuore, cervello, avanza, stop, retromarcia e poi ancora a 100 all’ora, non fermarti sei fottuto, è davanti a te, è lì, è tuo, un altro passo e lo prendi, lo fai tuo.
Non arretrare, vietato arrancare, vietato sbagliare anche solo un passo, vietato vietare, vietato respirare, vietato spirare, cospirare, illuminare, buio.
E poi lento, lento di nuovo, lento fino ad esplodere. E riponi le armi. E non trovi mica l’equilibrio e quindi corri e poi frena e poi riparti e poi stoppa tutto, slow motion, slow motion, slow motion, the end.
Corpuscoli ribelli che dibattono su tutto, hanno da mettere lo zampino in tutto, si ritrovano nel contrasto, nell’indifferenza, mai tempo per ragionare, riflettere. Viviamo la vita a doppia velocità, sappiamo che dobbiamo correre, è il segno distintivo di questa società, una società sempre in corsa in cui chi si ferma è fottuto, perde spazi vitali, vita. Poi ci fermiamo e ragioniamo e magari capiamo, capiamo tante cose meravigliose, ci compiacciamo di tutto quello che sappiamo fare ci guardiamo davanti lo specchio. Bum. Non siamo noi. NONSIAMONOI.
Davanti allo specchio ritrovi te stesso, trovi te stesso e ti rendi conto che vivi, che le tue membra sono tra la gente e interagiscono con loro, sesso, virtù, amicizia, sentimenti, ma tu, tu sei ignaro, tu hai bisogno di quello specchio per riacquistare te stesso, roccaforte violata dall’incessante movimento della vita. Tu hai potere su te stesso ma non lo sai, vivi nella tranche infinita della vita ed è così che devono passare gli anni senza che ce ne si renda conto.
Sono nel vivo della realizzazione del fatto che sono io ad esistere e non la proiezione di me stesso. Sempre più spesso prima di rispondere, prima di far rispondere la proiezione di me stesso mi fermo, rimetto in moto il processo e valuto, valuto. Ti serve, ti serve a non cadere nella trappola dell’incomprensione, ti serve a non dire quel che tutti direbbero nella tua parte.
Sei un complesso reticolo di anima e razionalità, commistioni e miti derivanti dalla notte dei tempi in un corpo calato nel presente più attuale che c’è, in cui la mentalità è una e predomina e tu invece sei una macchina perfetta dettata da millenni di mutamenti, sei una macchina potentissima adattata ad un sistema che cerca di ammazzarti, che cerca di ridurre il tuo tempo all’osso, 40 ore settimanali di lavoro e credere, credere che sia questo il giusto del vivere, che sia giusto avere 1/10 del proprio tempo per se stessi, di cui il 99% per cento passato a rilassarsi per le fatiche fisiche e mentali di recitare il ruolo che ci siamo dovuti creare.
Non ci resta spazio per noi, spiriamo, maciniamo anni come fossero noccioline tostate, non abbiamo spazio per noi, per essere uomini, per essere gli animali del mondo, ci distruggiamo e pensiamo che bisogna conquistare sempre un pezzo di materia, è il mondo, è la cultura dominante, ci ammazzeremmo per un pezzo di materia.
Buio, stop, black out e ripartire da 0.
Noi stessi.
Non ci rendiamo conto che non sappiamo nemmeno essere noi stessi. Se arrossisco sono frocio, se non piango sono senz’anima, se urlo al mondo il complotto sono pazzo, se non amo sono nullo, se non corro sono un fallito, se non sono alla moda sono un poveraccio, schifoso, se faccio soldi sono un vincente. Non ci rendiamo conto che non c’è spazio per essere noi stessi, quelli che lo sono, sono disadattati, non ci rendiamo conto che black out, di nuovo, che la vita la fanno altri per noi, un pacchetto superdeluxe da prendere o lasciare, lasciare = morire, lasciare = codardo, lasciare = niente, nessuno, solitudine, morte.
RIAPPROPIAMOCI DI QUEL CHE CI SPETTA, vita, gioia, noi stessi, macchine no, uomini sì, animali sì, istinti sì, amore sì, forza sì, pace sì, noi, noi, noi, sì.
testo di Stefano Paris