La memoria di Pablo Mesa Capella
Voi non ci crederete ma c’è qualcuno a cui piace davvero vivere nel nostro paese, qualcuno che se ne frega del traffico del raccordo e dell’impiegato postale che va in pausa pranzo mentre tu hai fatto la fila di quasi un’ora per pagare una multa.
D’altronde la rubrica de La Germanz insegna qualcosa no? Parlo di qualcuno come Pablo, un giovane artista spagnolo con un curriculum da paura, tra lauree e progetti Erasmus e Leonardo, il quale un bel giorno ha messo tutto in una valigia e è venuto a vivere nella nostra bella capitale. In occasione della sua personale Cartes de visite. Materia sensibile al Pastificio Cerere di San Lorenzo gli ho chiesto di fare due chiacchiere e con molto piacere abbiamo parlato di fotografia, di memoria e di emozioni. Leggete cosa mi ha raccontato e scrivete questa data: 18 giugno 2013 ore 19.
Pablo raccontaci come sei finito a Roma?
Sono arrivato a Roma ormai quasi quattro anni fa e la mia è stata una scelta casuale. Ho finito i miei studi in Scienze della Comunicazione e sono venuto qua con il progetto Leonardo. Ho iniziato a fare uno stage in una galleria d’arte e in questo modo sono entrato nel giro delle gallerie d’arte contemporanea.
Come è il tuo rapporto con Roma?
Ormai Roma la sento mia, per il momento non riesco ad immaginare un altro posto, qua ho costruito qualcosa, ho dei progetti, ho iniziato a conoscere gente interessante, anche se non è stato un amore a prima vista, non è una città facile, è molto bella ma è una città dispersiva.
Dopo l’Erasmus sono tornato a Malaga e dopo due mesi ho deciso di ritornare a Roma, avevo la sensazione che c’era ancora qualcosa che doveva succedere qua. Mi piace il confronto tra l’antico e il moderno di questa città.
Raccontaci il progetto Cartes de visite. Materia sensibile.
Il progetto è nato dalla mia passione per la raccolta di foto che colleziono da tanto tempo, in genere le acquisto nei mercatini di tutta Europa e sono cartes di visite, una tipologia di fotografia francese che veniva usata come scambio fine 800 e all’inizio del 900, un po’ come noi facciamo con i biglietti da visita. Queste tipologie di foto sono tra i primi formati, sembrano dei ritratti pittorici e secondo me sono delle fotografie che nascondono un fascino, sono un po’ al limite della realtà e del mondo onirico: i colori, le sfumature, le patine, non c’è negativo, è un pezzo unico. E’ una responsabilità di documentazione.
Tutto è iniziato quando ho partecipato al progetto a Maranola per il festival Seminaria Sogni in terra, perché giocando con l’anonimato delle immagini degli abitanti del paese si ricostruisce una memoria di questi stessi personaggi che vengono allestite all’esterno. Così anche per questo progetto sul quartiere San Lorenzo, le immagini vengono allestite all’esterno per dargli un significato: facciamo diventare queste immagini come un gioco con lo spazio e con la memoria urbanistica, con gli spazi che hanno vissuto e che hanno avuto un loro perchè. Cartes de visite ha un’istallazione principale, ovvero il Pastificio Cerere, e un’altra nelle strade del quartiere, in cui si viene a creare una mappa, una topografia della memoria, tramite delle immagini che ogni visitatore percepirà come un viaggio introspettivo del quartiere attraverso ogni singola storia che è un racconto fatto in prima persona. In altre parole un confronto dell’immagine fissa con la parola.
Ciò che mi interessa non è tanto una memoria documentativa e, a San Lorenzo questo elemento è forte vista la storia del bombardamento, ciò che mi interessa è la memoria emotiva ricostruita dal racconto fatto in prima persona, il suo vissuto, la sua intimità, le sue emozioni, e dipende da te come visitatore e spettatore ricostruire la documentazione. La parte bella è che devi anche immaginare quella persona mentre sta parlando. L’altra parte del titolo è Materia sensibile e si riferisce alla fotografia, a un oggetto che ha una scadenza e che prima o poi sparirà, l’immagine si rovinerà, scomparirà o si ingiallisce;ma materia sensibile si riferisce anche alla persona della foto, mi è piaciuto giocare con questo concetto del parallelismo dell’oggetto con la materialità e la persona.
Perché proprio san Lorenzo?
Mi è stato proposto dall’associazione Sguardo Contemporaneo che ha apprezzato il lavoro a Maranola e mi ha proposto di rifarlo a San Lorenzo. Conoscevo già il quartiere per gli eventi ma è stato interessante vedere come è cambiata la visione di San Lorenzo quando ho inziato a girare per le strade del quartiere la mattina, al mercato, al Verano. È un quartiere poliedrico, multiculturale con tante realtà, quella dei bombardamenti è la memoria più recente e collettiva, è l’identità del quartiere, poi ci sono gli studenti, gli immigrati, poi c’è la parte rossa e il Verano: è come la tavolozza dei colori. Non volevo fare un progetto solo sui bombardamenti ma alla fine anche i ragazzi più giovani fanno tutti riferimento a questo e allora ho voluto far vedere quello che ho vissuto io. È nato tutto dalla mia esperienza, dai primi giorni si è creata una catena di relazioni, ho conosciuto delle persone molto interessanti e la parte più bella è stato il contatto con delle persone che senza questo progetto non avrei mai conosciuto. Ho capito che il quartiere ha formato il suo carattere e la sua forza dopo i bombardamenti.
C’è un racconto che ti ha colpito in particolare?
Penso che tutti mi abbiano colpito e questa è la parte bella del progetto. Sono arrivato a 20 racconti e ad un certo punto mi sono dovuto fermare per rendere fruibile il progetto, ma io non mi sarei mai fermato. Ogni storia è molto particolare, alcune molto più profonde, altre più leggere ma tutte hanno un senso. Potrei dire forse la storia di una donna bulgara e di suo nipote, un racconto fatto a due voci, potrei anche parlare del musicista romano che suona con la fisarmonica e a me ha fatto un racconto cantato e poi anche della coppia novantenne che si è conosciuta i primi giorni del bombardamento. Ormai questi racconti fanno parte di me, della mia esperienza.
A chi o a cosa ti ispiri?
Alla tipografia, al tipo di carta, ecco sono loro la mia ispirazione, così come tutti i fotografi anonimi, quelli che non cercavano l’esperienza artistica ma intendevano ritrarle, per renderle immortali.
A quale progetto ti piacerebbe lavorare in futuro?
Vorrei continuare a sviluppare questo progetto in altri posti, anche fuori dall’Italia, mi piacerebbe portarlo in Spagna. Ho molte cose in testa. Ormai queste persone sono parte di me, formano un archivio assieme alle storie di Maranola. Per me è come una sfida, ovvero quella di aggiungere altri racconti.
Sto anche sviluppando un altro progetto fotografico che parte dalla natura morta pittorica e si chiamerà Natura onirica, la memoria degli oggetti.
Pablo Mesa Capella | sito