La perfezione conturbante di Ray Caesar
Scoprire Ray Caesar è come addentrarsi in un mondo che sai essere profondamente sbagliato, ma che ti attira nella sua inquietante perfezione. Nato nel 1958 a Londra, ultimo di quattro fratelli, si definisce un cane. Come si legge dalla sua biografia, vive a Toronto con la sua bellissima moglie, un coyote e sinceramente non gli dispiace essere un cane. Comincia a dipingere fin da piccolo, ovunque, e nelle sue mani le idee si trasformano in bambole, dame, fanciulle eteree che nascondono oscene verità.
Questa ambiguità, che caratterizza tutta la sua opera, ha la sua massima espressione nel contesto del magnifico palazzo settecentesco Saluzzo Paesana di Torino, dove è in corso la sua personale fino al 19 aprile. Dove, una volta varcata la soglia di ingresso, ti trovi a passeggiare tra stanze che non hanno un’età e personaggi che ti fissano con occhi vuoti, rimanendo impigliato in un non luogo perfetto e sbagliato da cui è impossibile uscire.
Grazie a un allestimento egregio, che esalta ogni quadro creando uno scambio osmotico con le pareti e l’ambiente che lo circonda, Ray Caesar, prendendo spunti dai dipinti di Watteau, dall’architettura neoclassica, dai colori del romanticismo plasma volti di porcellana vivi e inespressivi, dà forma al suo immaginario e ti costringe a vivere il suo personale incubo.
I suoi angeli sono donne violate stese su un letto in una stanza di un motel che prende vita tra lo squallore dei numerosi dettagli, sono dominatrici in maschere di latex e vestiti rococò, sono mostri che nascondono zampe di ragno sotto le vaporose gonne. Sono regine di una Torino innevata che non è mai esistita se non nelle più oscure fantasie. Sono la nostra intimità più recondita che si mostra, sfacciata e lussuriosa, sul sedile posteriore di un’auto.
Non a caso la mostra si intitola “Trouble with angels”: ogni figura ostenta purezza per distogliere lo sguardo da una realtà marcia piena di errori, spine, cavi, carcasse. Una realtà che non si può fuggire.
Soltanto in due momenti il senso di turbamento lascia spazio a un istante di intimo lirismo. Con le due opere “Turning POint” e “love letter”, l’artista lascia che l’innocenza infantile delle due protagoniste si esprima in tutta la sua forza vitale. Nella prima, trattata come una fotografia di Marey, la bambina indossa un vestito fiorato, volteggia su se stessa in un campo di grano al sole.
Non c’è traccia di negatività, se non nella certezza della possibilità che il punto di svolta porti proprio alla disillusione e allo svelamento di una verità scomoda. Anche nella seconda la giovane, abbracciata alla lettera del suo amato, si abbandona, piena di grazia fanciullesca, al suo desiderio, al suo mondo di nuvole e vagheggiamenti.
Ma dopo aver attraversato i peggiori incubi sorge spontaneo domandarsi quando questo incanto diventerà un incubo. Quando questa ragazzina perderà il bagliore vitale del suo sguardo e diventerà l’algida regina del regno dell’impossibile? Quanto manca al risveglio da un sogno così bello e così conturbante?
Una realtà che vive di dualismo necessita di due mostre. Infatti alla Dorothy Circus Gallery trovate l’altra metà di questa esposizione.
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