La sfida alla realtà del gruppo TQ
Ho pedinato, origliato in treno, inseguito due macchine e perso un autobus, toccato il sedere ad una studentessa universitaria in tram, chiesto informazioni a vicini di casa che dicevano di non aver mai visto nulla e raccolto testimonianze inconcludenti. Mi sono gettato da auto in corsa, schivato all’ultimo alcuni carrelli della spesa lanciati a folle velocità e fatto finta di non sentire alcune assurde accuse di molestia su un affollato tram. Avevo dei buoni motivi, lo facevo per la Cultura e sapevo di essere dalla parte giusta. Dovevo raccogliere informazioni sul misterioso gruppo TQ.
Nell’estate di Google Plus e della P4 la cerchia di amicizie e conoscenze più intima l’hanno creata un gruppo di scrittori, giornalisti e insider vari del mondo dell’editoria: sono il gruppo TQ. Hanno un sito dove sono già stati postate diverse traduzioni (spagnolo, inglese e francese: asì si querer leer puede) dei loro manifesti, e vogliono migliorare la cultura italiana.
Ma l’idea di un gruppo di rivoluzionari della cultura aveva un certo non so che. Poi ho capito: tutte le rivoluzioni partono bene ma finiscono male: citofona la tua mente alla voce Trockij o Robespierre se non ci credi.
I manifesti, tre per ora, dovrebbero spiegare gli intenti, insieme ai video girati al teatro Valle occupato in cui Christian Raimo fa Bob Dylan con alcune slide cartacee e spiega quali sono le finalità dei TQ. Poi mi sono letto un po’ di articoli e opinioni, e ho letto più volte “TQ for Dummies” (dove si abusa della parola “lapalissianamente” senza una ragione evidente). Il primo manifesto chiarisce la natura politica del gruppo, il secondo l’approccio verso l’editoria e l’ultimo verso gli spazi pubblici. Il secondo non dice nulla dei nuovi media e degli spazi sul web e le informazioni che vi circolano (nemmeno dell’interessante proposta di Scurati su un periodico di qualità nel web avanzata durante la primissima assemblea). Invece l’ultimo è così evanescente che sarebbe troppo facile sparare a zero su : “guerriglia artistica o culturale in luoghi di forte connotazione politica”.
Sento più vicini il primo e parte del secondo manifesto, come “consumatore” di cultura (siamo in tanti e ci passano sotto gli occhi: brutti libri, mega-fiere, “eventi”, o librerie dove c’è sempre qualcuno che consiglia a alta voce a qualcun altro 1984 ,“mi ha cambiato la vita”) ed è interessante chiedersi quali saranno gli effetti dopo il passaggio dei TQ.
Il primo manifesto ha una panoramica da sindacato, parla delle condizioni di lavoro (“contro la svalutazione di chi diffonde e produce cultura”) , critica l’evidente inadeguatezza del modo in cui è trattata la cultura e chiude col desiderio di ampliare lo sguardo facendo migrare queste idee a altri lavoratori in modo da influenzare e cambiare le cose. La condizione del gruppo è precisata da Raimo che chiama i TQ “lavoratori della conoscenza che fanno politica”. Abbiamo: poca incentivazione, disinteresse e lontananza della classe dirigente e insoddisfazione generale.
In nuce la situazione è come quella dei contadini del basso Piemonte: professionisti che stanno perdendo il lavoro a causa delle altalene del mercato, di leggi che favoriscono la speculazione e dell’impennata dei prezzi delle materie prime(vedi l’omaggio alla fame nel mondo che è la scelta di usare il granoturco negli impianti a biogas per generare elettricità). A questo proposito gli agricoltori si lamentano nei cortili, appoggiano il piede su un punto rialzato, si grattano il mento e ripetono: “Cazzo mica facciamo cemento, facciamo roba da mangiare. Le cose devono cambiare” mentre alle loro spalle uno schematico orizzonte di montagne e mais li osserva indifferenti.
I TQ vogliono far politica per cambiare la situazione: ma se per migliorare, o anche solo adeguare, le mie condizioni devo fare politica allora divento come chi per non essere processato scende in politica. Sorvolo su una possibile definizione di cultura, non mi compete, e per comodità dico solo ciò che la vera cultura deve fare: volare alto.
Ma non può la cultura volare alto se deve politicizzarsi, adeguandosi a ideologie o schemi rigidi; pensa al sussidiario fascista che si studiava durante il ventennio e rileggeva la storia in base al fascismo: lì cosa si faceva cultura o politica?
Il limite dei TQ è la voglia di multitasking dove chi deve agevolarmi l’accesso alla cultura fa anche politica: un atteggiamento collaudato per cui i politici fanno anche gli imprenditori, i professori vogliono anche essere simpatici, i genitori vogliono essere anche tuoi amici, la tua ragazza vuole frequentare anche altre persone e tu, e qui Scurati ha ragione, sei solo uno spettatore. Oppure i servizi dei tg che sembrano videoclip, gli articoli che vogliono fare narrazione (mmmm) e le informazioni che vogliono anche commuoverci. L’errore è non rendermi tutto più pratico, lontano dai suddetti interessi, ma pensare che devo essere aiutato, imboccato. La stessa sensazione che proviamo guardando il tg4, l’informazione del potere o certa editoria dove non ho un’informazione o un’idea per il mio interesse, ma per influenzarmi. Qui sbaglia il gruppo TQ , e anche quando parla di dover “educare una comunità di lettori forti”, ci tratta come di chi vorrebbe abbattere.
Oh cari miei, mi piacerebbe altroché dire cose come: mettiamo i lavoratori manuali e della conoscenza assieme, nei campi, formiamo coscienze e favoriamo interazioni; i primi avranno supporto e i secondi spunti; ma non servirebbe a niente e dimostrerebbe quanto sono asciutte le fonti del mio umorismo. La realtà è che andiamo sempre peggio, che si parli di cultura o di lavoro e non esistono scorciatoie a portata di mano come le facili ironie che possiamo fare sui savonarola della cultura. Per me l’idea di un consorzio che promuova qualità e merito secondo una propria politica è medievale e utopistica, figlia della mancanza di idee più che di motivazione, sintomatica di un vuoto di contenuti. Dove si rincorre il “dialogo” ma se qualcuno critica è o provinciale o cinico o sprovveduto o semplicemente invidioso.
Avrei trovato più utile un manifesto con soluzioni tecniche, non che evidenzia problemi e raccoglie lamentele. Che vuol dire “battendosi contro l’omologazione delle scritture indotta da una produzione editoriale sempre più orientata al largo consumo.”? Che se leggo un harmony sul divano arriva Giorgio Vasta con una katana e lo taglia in due?
Raimo denuncia una mancanza di complessità. Invece c’è confusione, la cattiva informazione fa sì che ci accontentiamo di servizi mediocri, politici inetti, manifesti che mischiano economia e cultura senza chiarire il perché e il come. Manca la specificità, che ognuno sappia fare bene il suo lavoro (non che io sia un esempio, parlo sempre da consumatore), ma non per il suo interesse o soldi, come invece accade in politica. Mancano metodo e mezzi, sì, ma sicuramente manca la cultura stessa e il suo autodefinirsi limpidamente senza surrogati.
Leggere questi manifesti è come vedere Casini che dice alle telecamere “In Italia Servono le Riforme”. Questi sono i rivoluzionari, bene; ci hanno detto cosa vogliono, bene; non resta che aspettare, perfetto. Leggiamoci un harmony finché siamo in tempo. Prima che vengano accesi falò nelle piazze. Per ora il gruppo TQ ha stilato liste e fatto manifesti, vedremo come andrà, i progetti sono tutti da decidere, le assemblee da programmare; il futuro nessuno lo conosce.
Per chi volesse saperne di più: generazionetq.rg